Meditazione per riflettere il Giovedì Santo
Dio si dà a noi nell’Eucaristia
Autore: Autori Cristiani
Gesù lava i piedi ai suoi apostoli
«Prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine» (Gv 13, 1). «Qualcosa di grande avverrà in questo giorno. È un esordio teneramente affettuoso […]. Cominciamo fin da ora – ci suggerisce san Josemaría – a chiedere allo Spirito Santo di prepararci a comprendere ogni gesto e ogni parola di Gesù»[1]. Questa disposizione di attenzione ci fa ricordare oggi il gesto eloquente che ebbe Gesù lavando i piedi ai suoi apostoli.
Durante l’Ultima Cena, nell’imminenza della Passione, il clima era di amore, di intimità, di raccoglimento. «Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto» (Gv 13, 3-5). Per gli apostoli dovette essere piuttosto scioccante vedere Gesù compiere questo gesto che era riservato al servo. Lo avranno capito sicuramente dopo qualche tempo. Anche oggi a noi può apparire sorprendente immaginare Dio in questo atteggiamento, mentre ripulisce con le sue mani dalla polvere della strada.
Lasciarci lavare i piedi da Cristo vuol dire riconoscere che non siamo noi a renderci puri, puliti o santi. «Questo è difficile da capire. Se non lascio che il Signore sia mio servo, che il Signore mi lavi, mi faccia crescere, mi perdoni, non entrerò nel Regno dei Cieli […]. Dio ci ha salvati servendoci. Normalmente pensiamo che siamo noi quelli che serviamo Dio. No, è lui che ci ha servito gratuitamente, perché ci ha amati per primo. È difficile amare senza essere amati, ed è ancora più difficile se non lasciamo che Dio ci serva»[2].Questo è il paradosso cristiano: è Dio che si fa avanti, è lui che prende l’iniziativa. Ecco perché è così importante, prima di intraprendere qualunque attività apostolica, imparare a ricevere quello che Dio ci vuol dare, imparare a lasciarci ripulire continuamente dalle sue mani.
Dio si dà a noi nell’Eucaristia
Se non smetteremo mai di sorprenderci del gesto di Gesù che lava i piedi ai suoi apostoli, dobbiamo pur riconoscere che il suo amore e la sua umiltà raggiungono altezze infinite quando, durante la Cena, «prese il pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: “Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me”. Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me”» (1 Cor 11, 23-25).
Il Signore «istituì questo sacramento come memoriale perpetuo della sua passione, come realizzazione delle antiche figure, come il miracolo più grande che abbia compiuto e la consolazione più grande per quelli che avrebbe lasciato tristi con la sua assenza»[3]. Si dà a noi Egli stesso: convertito in pane e in vino per noi, è, nello stesso tempo, una dimostrazione di sovrabbondanza di amore e la più grande espressione possibile di umiltà. Il Sacramento Eucaristico ci permette di identificarci con l’amato, di essere una stessa cosa, di fonderci, compenetrarci in Dio. San Josemaría affermava che «nostro Signore Gesù Cristo, come se non bastassero tutte le altre prove della sua misericordia, istituisce l’Eucaristia perché possiamo averlo sempre vicino, dal momento che Egli – per quanto ci è dato di capire –, pur non abbisognando di nulla, mosso dal suo amore, non vuole fare a meno di noi. La Trinità si è innamorata dell’uomo»[4].
Non riusciamo a superare il nostro stupore. Per quanto possiamo immaginare tutto quello che Dio Padre ci ha regalato, mai saremo in grado di comprenderlo: «È medicina di immortalità, antidoto per non morire, rimedio per vivere in Cristo per sempre»[5]. Non meritiamo tanta cura, tanto affetto, tante attenzioni. Cerchiamo di corrispondere, ma anche per far questo abbiamo bisogno del suo aiuto. Ecco perché «all’inizio non sta il nostro fare, la nostra capacità morale. Cristianesimo è anzitutto dono: Dio si dona a noi; non dà qualcosa, ma se stesso […]. Per questo l’atto centrale dell’essere cristiani è l’Eucaristia: la gratitudine per essere stati gratificati, la gioia per la vita nuova che Egli ci dà»[6].
Una disposizione di gratitudine per l’Eucaristia e per il sacerdozio
Nelle parole del sacerdote che precedono la consacrazione – «ti rese grazie con la preghiera di benedizione, lo spezzò, lo diede ai suoi discepoli, e disse…» – percepiamo la disposizione grata del cuore di Gesù nei confronti di Dio Padre. Noi vogliamo avere la stessa disposizione di Cristo in questa santa vigilia. Dalla gratitudine è facile che nasca la generosità nel diffondere la vita nuova che abbiamo ricevuto. Facciamo in modo di amare quelli che egli ama e come egli li ama: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13, 34). Per Cristo, con Lui e in Lui, siamo capaci di amare fino alla fine. Come Gesù, ci inginocchiamo davanti agli uomini per pulire i loro piedi. Comprendiamo le loro miserie e le carichiamo sulle nostre spalle.
Scompaiono i giudizi, le invidie e i paragoni, che diventano intercessione, gioia e gratitudine verso Dio per le meraviglie che opera negli altri. «Nella santissima Eucaristia è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo, nostra Pasqua e Pane vivo che, mediante la sua carne vivificata dallo Spirito Santo e vivificante, dà vita agli uomini»[7]. Da lì traiamo forza e vita per portarle fino agli estremi angoli della terra, fino al cuore di ogni persona che ci sta attorno.
Possiamo utilizzare questa giornata nella quale Dio donò alla sua Chiesa questo sacramento per pregare anche per la santità dei sacerdoti, perché servano ogni giorno la Chiesa con lo stesso amore del Signore. Con la nostra preghiera possiamo aiutarli a realizzare quel desiderio che li spinge come sacerdoti. «Non scegliamo noi cosa fare, ma siamo servitori di Cristo nella Chiesa e lavoriamo come la Chiesa ci dice, dove la Chiesa ci chiama, cercando di essere proprio così: servitori che non fanno la propria volontà, ma la volontà del Signore. Nella Chiesa siamo realmente ambasciatori di Cristo e servitori del Vangelo»[8].
A parte un tale dono che oggi ricordiamo, sappiamo che Gesù ci ha dato anche sua Madre. A lei, principale testimone del sacrificio di Cristo, possiamo ricorrere per avere, con il suo aiuto, una vita stimolata dall’umile gratitudine per i tanti doni ricevuti.
[1] San Josemaría, È Gesù che passa, n. 83.
[2] Papa Francesco, Omelia, 5-IV-2020.
[3] San Tommaso d’Aquino, Opuscolo 57, nella festa del Corpus Domini, lect. 1-4.
[4] San Josemaría, È Gesù che passa, n. 84.
[5] Sant’Ignazio di Antiochia, Epistola ad Efesios, 90.
[6] Benedetto XVI, Omelia, 20-III-2008.
[7] Concilio Vaticano II, decreto Presbyterorum ordinis, n. 5.
[8] Benedetto XVI, Lectio divina, 10-III-2011.
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