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Meditazione per riflettere il Venerdì Santo

La Passione di Gesù è dovuta all’amore per noi

Autore: Autori Cristiani

La Passione di Gesù è dovuta all’amore per noi

«Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mt 27, 46). «Gesù ha provato l’abbandono totale, la situazione a Lui più estranea, per essere in tutto solidale con noi. L’ha fatto per me, per te, per tutti noi, lo ha fatto per dirci: “Non temere, non sei solo. Ho provato tutta la tua desolazione per essere sempre al tuo fianco”»[1]. Quello che affligge Cristo è soprattutto la sofferenza che, frutto del peccato, proviamo noi uomini e donne di tutte le epoche: «Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli» (Lc 23, 28).

Non c’è dolore che faccia desistere Cristo dal suo proposito di salvarci. «Le sue braccia inchiodate si aprono per ciascun essere umano e ci invitano ad accostarci a Lui, certi che ci accoglie e ci stringe in un abbraccio di infinita tenerezza»[2]. La liturgia del Venerdì Santo ha inizio con il sacerdote prostrato a terra. È la posizione nella quale stava Gesù nell’Orto degli Ulivi. Era sovrastato da tutti i peccati degli uomini, da tutti i loro dolori e dalla loro solitudine – anche dai nostri –, e così si rivolge a Dio Padre per ottenere da Lui la forza per affrontare questo momento decisivo.

Gesù è venuto sulla terra per riparare il male che noi abbiamo inflitto a noi stessi e agli altri. Vuole restituirci la libertà e la gioia. La sua predilezione per noi non conosce limiti, sicché «il suo giogo è dolce e il suo peso leggero» (Mt 11, 30). I nostri peccati non hanno l’ultima parola se lasciamo parlare Gesù, se gli lasciamo dire che ci ama e che non ci rimprovera per tanta sofferenza. Oggi ricordiamo che «Gesù è caduto perché noi ci risolleviamo: una volta e sempre»[3].

Tenere compagnia a Gesù nella sua agonia

Uno dei motivi del peccato è convincersi, falsamente, che la volontà di Dio è un rischio per la nostra libertà. Così è successo, per esempio, ad Adamo, nostro progenitore. Comunque, la volontà di Dio è che siamo felici, che ci lasciamo amare da Lui. «Siamo liberi solo se siamo nella nostra verità, se siamo uniti a Dio. Allora diventiamo veramente “come Dio”, non opponendoci a Dio, non sbarazzandoci di Lui o negandoLo. Nella lotta della preghiera sul Monte degli Ulivi Gesù ha sciolto la falsa contraddizione tra obbedienza e libertà e aperto la via verso la libertà. Preghiamo il Signore di introdurci in questo “sì” alla volontà di Dio, rendendoci così veramente liberi»[4].

Come vorremmo ringraziare il Signore per il suo sacrificio, volontariamente accettato, per liberarci dalla morte! Gesù Cristo entra in agonia e arriva a spargere sudore di sangue; ma la fiducia in suo Padre non viene meno e prega ripetutamente. «Si avvicina a noi, che dormiamo: Alzatevi, pregate – ci ripete – per non cadere in tentazione»[5]. Alcune ore dopo la furia dei peccati dell’umanità intera scarica i suoi colpi sul corpo innocente di Gesù Cristo. L’ingratitudine dei nostri cuori circonda il Signore nella sua solitudine. «Tu e io non possiamo parlare. – Non occorrono parole. – Guardalo, guardalo a lungo»[6].

«A volte ci sembra che Dio non risponde al male, che rimane in silenzio. In realtà Dio ha parlato, ha risposto, e la sua risposta è la Croce di Cristo: una parola che è amore, misericordia, perdono. E anche giudizio: Dio ci giudica amandoci. Ricordiamocelo: Dio ci giudica amandoci. Se accetto il suo amore sono salvato, se lo rifiuto mi condanno; non da Lui, ma da me stesso, perché Dio non condanna, Egli solamente ama e salva»[7].

Sulla Croce troviamo il nostri rifugio e la nostra salvezza

Le piaghe del Signore, dalle quali sgorgò a torrenti il suo sangue preziosissimo, saranno un rifugio sereno per le nostre ferite. Nelle piaghe di Cristo siamo più al sicuro. Impregnati del suo sangue redentore, inebriati di Dio, nulla dobbiamo temere. «Nell’ammirare e nell’amare davvero la Santissima Umanità del Signore, scopriremo a una a una le sue piaghe […]. Sentiremo il bisogno di metterci in ciascuna delle sue santissime ferite: per purificarci, per godere del suo Sangue redentore, per fortificarci. Accorreremo come le colombe che, come dice la Scrittura, si rifugiano nelle fessure della roccia quando giunge la tempesta. Ci nascondiamo in questo rifugio, per trovare l’intimità di Cristo»[8].

E in questa contemplazione è facile gustare la profonda tenerezza con cui oggi canta la Chiesa: «Dolce legno, dolci chiodi, che sostengono un così dolce peso»[9]. È «il segno luminoso dell’amore, anzi della vastità dell’amore di Dio, di ciò che non avremmo mai potuto chiedere, immaginare o sperare: Dio si è piegato su di noi, si è abbassato fino a giungere nell’angolo più buio della nostra vita per tenderci la mano e tirarci a sé, portarci fino a Lui»[10]. Questa è la verità del Venerdì Santo: sulla croce Cristo, nostro redentore, ci restituì la dignità che ci appartiene. Si consolida il nostro desiderio di inchiodarci volentieri alla croce, di associarci alla sua redenzione, facendo in modo che la nostra debolezza sia lavata con il sangue che sgorga dal corpo di Gesù.

Al termine di questo momento di orazione il nostro sguardo si rivolge ai piedi della croce, dove si trova la madre dolorosa in compagnia di alcune donne e di un adolescente. Quelli che hanno trascorso tali frangenti sanno che non esiste un dolore simile a questo. Cristo, in quei momenti, aveva bisogno di averla accanto a Sé e noi ne abbiamo ancora più bisogno.

[1] Papa Francesco, Omelia, 5-IV-2020.

[2] Benedetto XVI, A conclusione della Via Crucis, 21-III-2008.

[3] San Josemaría, Via Crucis, III stazione.

[4] Benedetto XVI, Omelia, 5-IV-2012.

[5] San Josemaría, Il Santo Rosario, Primo mistero doloroso, 4.

[6] San Josemaría, Il Santo Rosario, Secondo mistero doloroso, 9.

[7] Papa Francesco, A conclusione della Via Crucis, 29-III-2014.

[8] San Josemaría, Amici di Dio, n. 302.

[9] Adorazione della Santa Croce, Inno Crux fidelis.

[10] Benedetto XVI, A conclusione della Via Crucis, 22-IV-2011.

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