Meditazioni nel giorno di San Matteo - 21 Settembre
Autore: Autori Cristiani
– L’incontro di Matteo con Gesù
– Un amore che guida nelle difficoltà
– Riconoscersi peccatore
«GESÙ VIDE il pubblicano e, avendolo amato, lo scelse»[1]. Queste parole di san Beda condensano i tratti essenziali di qualunque vocazione. In ogni chiamata l’iniziativa parte sempre da Dio, che pensa a noi fin dall’eternità e ci accompagna passo passo. Nel caso di Matteo, è Gesù che passa accanto al posto in cui stava riscuotendo le imposte. E, vedendolo, decide di chiamarlo senza tanti preamboli. È il mistero della vocazione. Può darsi che Matteo si sia domandato, per esempio: perché a me? Perché ora? Ho le qualità necessarie? Dove mi porterà questa scelta? Egli era un pubblicano, considerato sul piano sociale un pubblico peccatore. Però la sua storia dimostra che nessuna di tali caratteristiche è decisiva. Quello che è realmente importante, nel caso di Matteo e in qualunque vocazione, è che sia avvenuto un incontro personale con Cristo ed è lui che ci invita a collaborare al suo progetto di salvezza.
Gesù rivolge a Matteo una parola: «Seguimi». Non si tratta solamente di un invito ad accompagnarlo. Inoltre «vuol dire: “Imitami”. Gli disse: Seguimi, più che con i suoi passi, con il suo modo di agire. Infatti, chi dice di rimanere in Cristo deve vivere come è vissuto lui»[2]. E fu così che la vita di Matteo trovò il suo pieno compimento. Avrebbe visto tutta la sua esistenza con occhi nuovi, con una luce che è anche calore e impulso a dare una risposta generosa: «Se mi chiedete come si nota la chiamata divina, come uno se ne rende conto – diceva san Josemaría –, vi dirò che è una nuova visione della vita. È come se si accendesse una luce dentro di noi; è un impulso misterioso, che spinge l’uomo a dedicare le sue più nobili energie a un’attività che, con l’esercizio, diventa una funzione naturale. Questa forza vitale, che è un po’ come una valanga travolgente, è ciò che altri chiamano vocazione»[3].
MATTEO RISPONDE immediatamente alla chiamata. Il Vangelo dice con grande semplicità che «si alzò e lo seguì» (Mt 9, 9). I dati sono scarni. Non sappiamo se prima aveva ascoltato il Maestro o se aveva conversato con lui a Cafarnao, dove viveva e lavorava. Quello che il testo, nella sua concisione, sottolinea è la prontezza con la quale segue il Signore quando riceve la chiamata a condividere la sua vita. Qualcosa di molto simile troviamo nel caso di altri apostoli, come Andrea e Pietro, Filippo e Natanaele o Giacomo e Giovanni (cfr. Gv 1, 40-50; Mt 4, 18-22).
Che cosa mosse quei semplici pescatori e il pubblicano Matteo a seguire Cristo senza indugio? Non è del tutto facile dare una risposta. Sappiamo poco su chi erano, come la pensavano, quali erano i loro aneliti e le loro speranze. Comunque nei vangeli appare evidente che Gesù si mise nei loro cuori. Fece loro provare vivamente l’amore che portava sulla terra. E questa scoperta li riempì di una gioia indicibile. «Ogni vocazione vera inizia con un incontro con Gesù che ci dona una gioia e una speranza nuova; e ci conduce, anche attraverso prove e difficoltà, a un incontro sempre più pieno»[4].
Matteo permise che il suo cuore fosse conquistato da Gesù. Sperimentò che stare con lui dona una felicità che il mondo non può dare. Probabilmente dopo poche settimane che stava accanto a Gesù si rendeva conto che avrebbe avuto delle difficoltà, perché non tutti ricevevano il Maestro con la stessa apertura di cuore. Forse avrà percepito i propri limiti e le proprie miserie, che contrastavano con la missione che Gesù iniziava. Comunque Matteo preferì la speranza, rifiutando ogni pessimismo; confidò nel fatto che avrebbe potuto avvalersi del suo amore a Gesù, che lo avrebbe purificato e rinnovato ripetutamente. «Innamorati di Gesù. Certo, ci sono prove nella vita, ci sono momenti in cui bisogna andare avanti nonostante il freddo e i venti contrari, nonostante tante amarezze. Però i cristiani conoscono la strada che conduce a quel sacro fuoco che li ha accesi una volta per sempre.[…] Coltiviamo sane utopie: Dio ci vuole capaci di sognare come Lui e con Lui, mentre camminiamo ben attenti alla realtà»[5].
DOPO QUEL PRIMO incontro Matteo decise di organizzare una festa in casa sua. Volle festeggiare la nuova vita che stava per iniziare invitando i suoi amici perché anche loro conoscessero Gesù. Molti di loro, come lo stesso Matteo, erano considerati peccatori per la loro collaborazione con le autorità romane. Perciò, «vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: “Come mai il vostro Maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?”». Ma Gesù, avendo udito questo, chiarisce il significato della sua venuta al mondo: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate a imparare che cosa vuol dire: “Misericordia io voglio e non sacrifici”. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori» (Mt 9, 12-13).
Colui che si considera giusto sta chiudendo le porte a Dio; invece quello che si riconosce peccatore lascia che Cristo si avvicini per curarlo. Egli non ci chiede una vita immacolata e senza errori, ma un cuore contrito e umiliato: questo è il miglior sacrificio che possiamo offrirgli (cfr. Sal 51, 19). «Siamo poveri vasi di creta: fragili, delicati. Tuttavia, Dio ci ha fatti per riempirci della sua felicità per sempre. E già ora, sulla terra, ci dà la sua gioia per trasmetterla a tutti»[6]. Possiamo chiedere a nostra Madre del cielo che ci aiuti a sperimentare nella nostra vita la forza risanatrice della misericordia di Dio. Specialmente nella Confessione e nella Eucaristia riceviamo la grazia che ci permette di essere testimoni dell’amore che Dio ha per noi.
[1] San Beda il Venerabile, Omelia 21.
[2] Ibid.
[3] San Josemaría, Lettera 3, n. 9a.
[4] Papa Francesco, Udienza, 30-VIII-2017.
[5] Ibid.
[6] Mons. Fernando Ocáriz, Alla luce del Vangelo, pp. 198-199.