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Meditazioni: Sabato della 25ª settimana del Tempo Ordinario

Temi proposti: Lo stupore dinanzi a Cristo e la vita contemplativa - La Croce è sempre vicina - La vita come dialogo con Dio.

Autore: Autori Cristiani

L’EVANGELISTA SAN LUCA fa notare che «tutti restavano stupiti» (Lc 9, 43) di fronte alla grandezza di Gesù. Non appare difficile immaginare le cause di questa fama. Per un verso, il Signore parlava con una autorità e un carisma che attiravano le folle. Inoltre i suoi insegnamenti non si riducevano a semplici parole, ma venivano uniti alle opere. I miracoli confermavano la sua origine divina e il suo modo di vivere rispecchiava la misericordia di Dio. Nessuno di quelli che vedevano Gesù poteva rimanere indifferente davanti alla ricchezza della sua personalità e al tesoro delle sue parole.

La stessa profonda impressione che Gesù lasciava nei suoi discepoli l’ha lasciata anche in noi; è un sentimento che, grazie a Dio, si rinnova in momenti precisi, ma vorremmo che fosse sempre presente. L’ammirazione consiste nel guardare con i nostri occhi quel che si ama, perché non c’è amore che non abbia un sapore di novità. Una persona innamorata non si stanca di contemplare l’amato; non tanto per un desiderio di curiosità, ma per un desiderio di continuare ad apprezzare tutta la sua ricchezza. Proprio in questo consiste la vita contemplativa: sapere che Gesù è vicino e non stancarci di penetrare nel suo mistero.

Come ogni relazione, la vita di preghiera è un cammino nel quale si avanza un po’ per volta. «Dapprima una giaculatoria, poi un’altra, e un’altra ancora…, finché questo fervore appare insufficiente, perché le parole sono povere»[1]. La meta è abbandonarci nelle sue mani e lasciare che sia lui a conquistarci: «Allora subentra l’intimità divina, lo sguardo fisso in Dio, senza soste e senza mai stancarsi. Si vive allora come in cattività, come prigionieri. Mentre svolgiamo con la massima perfezione possibile, pur con i nostri errori e con i nostri limiti, i compiti propri della nostra condizione e del nostro lavoro, l’anima vorrebbe fuggire. Ci si volge a Dio, come il ferro attirato dalla forza della calamita»[2].


NON PUÒ SORPRENDERE come Gesù reagisce all’ammirazione che suscitava. Invece di compiacersi dei loro sguardi attoniti, parla loro della Croce, come per far vedere che la vera contemplazione non si può separare da una profonda purificazione interiore: «Mettetevi bene in mente queste parole: il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini» (Lc 9, 44).

Innumerevoli volte Cristo spiega chiaramente che «la fede non può essere ridotta a uno zuccherino che addolcisca la vita»[3]. Forse qualcuno di quelli che seguivano Gesù lo faceva col desiderio che assicurasse loro un’esistenza un po’ più comoda o semplicemente per sentirsi parte del gruppo guidato da un profeta famoso. Però non era questo il messaggio di Cristo: l’amore autentico procede dalla verità, dalla realtà, e non può fare a meno del dolore. «Non dimenticate – scriveva san Josemaría – che stare con Cristo vuol dire, senza possibilità di dubbio, imbattersi nella Croce. Se ci abbandoniamo nelle mani di Dio, è frequente che Egli permetta che assaporiamo il dolore, la solitudine, le contrarietà, le calunnie, la diffamazione, la derisione, dall’interno e dall’esterno: perché vuole configurarci a sua immagine e somiglianza»[4].

Contemplare il volto di Cristo, addentrarci nel mistero del suo amore, significa scoprire i messaggi delle sue ferite, aprirsi al dolore del suo cuore, anche nelle persone che soffrono vicino a noi. Perciò l’orazione contemplativa, che è «il respiro dell’anima e della vita»[5], ha bisogno della mortificazione interiore: quella lotta serena, ma decisa, per tenere tutti i nostri sensi liberi per metterli in Gesù e fare esperienza delle cose come ne fa esperienza lui. Se la nostra orazione ci unisce a Cristo, ci unirà anche ai problemi del mondo e li farà propri secondo la prospettiva di Dio.


«ESSI PERÒ NON capivano queste parole: restavano per loro così misteriose che non ne coglievano il senso» (Lc 9, 45). La folla che circondava Gesù rimase sconcertata sentendo le sue parole sulla Croce. Sembrava a tutti strano che un uomo che aveva dimostrato di possedere un potere così grande, che era addirittura capace di risuscitare i morti, parlasse loro della sua fine dolorosa. Non potevano accettare che Gesù, nel bel mezzo del suo palpabile successo, descrivesse la sua futura sconfitta. Le sue parole sembravano in pieno contrasto con il clima generale di gioia e di speranza.

Eppure, invece di parlare con Gesù delle loro perplessità, quelle persone «avevano timore di interrogarlo su questo argomento» (Lc 9, 45). L’ammirazione che sentivano per il Signore, spesso era in realtà una mescolanza di conoscenza superficiale e di riverenza timorosa. Gesù, comunque, li invita a fare in modo che quella contemplazione non sia solo l’impressione di un momento passeggero, l’emozione di un istante, ma produca nella loro vita un profondo cambiamento: propone loro di concepire tutta l’esistenza come un dialogo con Dio.

L’unione del nostro cuore con quello di Cristo ci permette di contemplare il mondo con occhi nuovi. Scopriremo così, pur tra le ombre della storia e della nostra stessa biografia, un bagliore della luce divina. «Gesù è stato maestro di questo sguardo. Nella sua vita non sono mai mancati i tempi, gli spazi, i silenzi, la comunione amorosa che permette all’esistenza di non essere devastata dalle immancabili prove, ma di custodire intatta la bellezza»[6]. Maria, maestra di orazione, ci può ottenere la grazia di avere un cuore contemplativo come il suo.


[1] San Josemaría, Amici di Dio, n. 296.

[2] Ibid.

[3] Papa Francesco, Omelia, 15-IX-2021.

[4] San Josemaría, Amici di Dio, n. 301.

[5] Benedetto XVI, Udienza, 25-IV-2012.

[6] Papa Francesco, Udienza, 5-V-2021.

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