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Mi fido di te! La parola che guarisce il fallimento

Meditazione per la Terza domenica di Pasqua (anno C)

Autore: Gaetano Piccolo

«Se mi ami, non pensare a pascere te stesso,
ma pasci le mie pecore, come mie, non come tue;
cerca in esse la mia gloria, non la tua;
il mio dominio, non il tuo;
il mio guadagno e non il tuo»,
Sant’Agostino, Omelia 123, 5

Fallimenti

L’esperienza del fallimento accompagna tutta la nostra vita: fallimento professionale, fallimento nelle relazioni, fallimento apostolico…fallimento anche nella relazione con Dio. Siamo fragili, possiamo sbagliare: il fallimento fa parte della nostra realtà di creature. Il fallimento però non dovrebbe mai diventare l’ultima parola: se è vero che possiamo sbagliare, è anche vero che possiamo ricominciare.
Il brano del Vangelo che ci viene proposto questa domenica ci mostra non solo come Dio ci aiuta a rialzarci dalle nostra situazioni di fallimento, ma forse ci insegna anche – cosa molto più difficile – come ricostruire quelle relazioni che sembrano inesorabilmente spezzate sotto il peso dei fallimenti affettivi.

Dimenticare

Quando siamo delusi da noi stessi e da come sono andate le cose, quando ci rendiamo conto di aver sbagliato e quando ci sembra impossibile o troppo difficile rimediare, la reazione molto frequente è quella di provare a dimenticare. Vorremmo archiviare quelle esperienze che ci hanno consegnato un’immagine di noi che preferiamo non guardare.
Anche Pietro vorrebbe mettere da parte la sua amicizia con Gesù: torna a pescare, torna al suo vecchio mestiere, come se volesse riavvolgere un nastro per tornare al punto in cui le cose sono cambiate, quasi con l’intento di dare una direzione diversa alla sua vita. Pietro non è da solo, ma c’è una comunità dispersa e incerta che si trova coinvolta nelle sue decisioni. Tutti insieme si ritrovano a vivere, nonostante tutto, una nuova esperienza di fallimento: anche quella notte non prendono nulla.
Possiamo anche provare a dimenticare, ma molte volte le situazioni della vita ci rimettono davanti a quella realtà con cui dobbiamo fare i conti. Quella notte sembra molto simile a quella che aveva segnato l’inizio della sequela di Pietro (cf Lc 5,1-11): quella volta si trattava solo del fallimento professionale di Pietro, adesso si tratta anche di un fallimento relazionale. Pietro ha tradito l’amico e il maestro. Quella rete vuota gli fa sentire forse ancora di più il vuoto del suo cuore.

Ritornare

Come quella prima volta, così adesso Gesù entra nei nostri fallimenti, ci aiuta a guardarli, a trasformarli e a farli diventare un’occasione di grazia. Non è facile, perché quando siamo delusi e scoraggiati non riusciamo a riconoscere la presenza di Dio nella nostra vita. Siamo concentrati sui nostri errori e su quella storia che sembra sbagliata. Gesù invita i discepoli a ritornare con lui in quelle situazioni di fallimento: ancora una volta li invita a calare di nuovo le reti. Il discepolo amato riconosce, in quei gesti e in quelle parole, il Signore; lo riconosce perché non è fuggito, ha saputo restare ai piedi della croce e ha accolto la madre di Gesù nella sua intimità.

Guarigione

Lo sguardo di Pietro invece ha bisogno di essere guarito: il peso del tradimento offusca la sua vista. Il cammino di guarigione di Pietro comincia nel momento in cui il discepolo amato lo avverte della presenza del Signore: quel cammino comincia prendendo consapevolezza del proprio peccato. Pietro infatti prima di buttarsi in acqua si veste. Un gesto incomprensibile e paradossale, ma se pensiamo al gesto di Adamo dopo il peccato, possiamo forse riconoscere il tentativo di Pietro di coprirsi per la vergogna davanti a Gesù. Pietro si butta in mare, si getta nella morte, con la certezza che ancora una volta Gesù lo tirerà fuori, offrendogli nuovamente la salvezza.

Comunità

Nel frattempo però la rete si è riempita: Pietro infatti deve ricordarsi che non è solo, ma che proprio ora che è consapevole della sua fragilità può davvero prendersi cura della comunità. Pietro trascina a riva la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. Quel gesto sarà più chiaro dopo il suo dialogo personale con Gesù. Nel frattempo però quella rete non si spezza perché è sotto lo sguardo di Gesù, così come la tunica di Gesù non poteva essere divisa. Quella rete e quella tunica sono immagine della comunità che però lungo la storia è diventata oggetto da parte nostra di continui tentativi di lacerazione. Il numero dei pesci potrebbe essere un espediente per indicare che il racconto è opera di un testimone oculare, che sa nel dettaglio come sono andate le cose, ma forse è un’allusione alle specie ittiche conosciute a quel tempo, come per dire che in quella rete ci siamo proprio tutti, nonostante le differenze.

Misericordia

Dopo la cena, con la quale Gesù si fa riconoscere nuovamente nel gesto della consegna e della condivisione, giunge il momento dell’incontro personale con Pietro. Quell’incontro è segnato da tre domande sull’amore che sembrano alludere a quelle tre volte in cui Pietro ha rinnegato Gesù: è un cammino di guarigione. Davanti a colui che lo ha tradito, Gesù non banalizza, non finge che non sia successo niente, ma non indaga, non interroga Pietro sulle motivazioni, non gli interessano le spiegazioni. Gesù riparte dall’amore: chiede a Pietro cosa è disposto a mettere in gioco in quella relazione.
Al di là delle diverse interpretazioni, è abbastanza evidente che la costruzione del dialogo non può essere casuale: nella prima domanda, Gesù usa il verbo agapao, che indica un amore alto, esclusivo, e chiede a Pietro non solo se lo ama con quell’amore, ma se nel suo amore c’è un di più (si potrebbe tradurre più di tutti gli altri o più di tutte queste cose). È una richieste esigente e molto forte. Davanti a questa domanda, Pietro risponde usando il verbo phileo, che è il verbo dell’amicizia. La sua risposta può infatti essere tradotta come un generico ti voglio bene.
Nella seconda domanda, Gesù usa ancora il verbo agapao, ma rinuncia al di più. Nonostante ciò, Pietro continua a rispondere con il verbo phileo, come se non sentisse il verbo usato da Gesù o come se non riuscisse ad andare al di là di quel generico ti voglio bene.
Nella terza domanda, Gesù rinuncia anche al verbo agapao e usa il verbo di Pietro: chiede a Pietro se (almeno) gli voglia bene. Pietro si rattrista, perché si rende conto che Gesù vede in lui delle risorse e una capacità che Pietro invece non riesce a scorgere. Ma nonostante ciò, dopo ogni risposta di Pietro, Gesù gli consegna il gregge, gli agnelli e le pecore, come a dire: va bene, Pietro, anche se oggi riesci solo a volermi bene, io mi fido lo stesso di te!
Gesù non ci impone uno standard da raggiungere per essere suoi amici. Ciò che gli interessa è la nostra disponibilità a mettere in gioco nella relazione con lui quello che ci sembra possibile. È infatti, anche per Pietro, l’inizio di un cammino. Gesù gli chiede nuovamente di seguirlo, ma questa volta, la risposta di Pietro non si basa più sulla sua forza di volontà, adesso si rende conto che il motivo per cui può seguire Gesù sta nel fatto di sentirsi perdonato. Questo infatti è il vero fondamento di ogni cammino di sequela. Se all’inizio Pietro credeva di essere capace con le sue forze di seguire il Signore, adesso si rende conto che la sequela è una consegna: lasciarsi guidare, permettendo a Dio di portarci là dove egli vuole.
Pietro ha sperimentato uno sguardo di misericordia su di sé, ma quello sguardo è affidato alla Chiesa, affinché possa esercitarlo per tutti quei centocinquantatré grossi pesci che stanno nella rete, per tutti, nessuno escluso. E quando la Chiesa tradisce quello sguardo, viene meno alla sua missione fondamentale.

Leggersi dentro

Cosa vuol dire per me tornare a guardare i miei fallimenti insieme con il Risorto?
Cosa sento di poter mettere in gioco oggi nella mia relazione con Gesù?

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