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Sopportare pazientemente e pregare

Misericordia nella vita quotidiana - Opere di Misericordia Spiriturali - III

Autore: Mons. Javier Echevarría Rodríguez

Nel corso di quest’anno stiamo facendo in modo che la misericordia di Dio lasci una traccia nella nostra vita interiore e si traduca in opere.

Come diceva san Josemaría, è nelle situazioni ordinarie che si forgia l’ambiente più adatto per rendere presente la bontà di Dio: o lo troviamo lì o non lo troveremo mai. Così la convivenza con gli altri e il luogo di lavoro o la famiglia si trasformano in occasioni per identificarci con Lui e, grazie a questa leva dell’amore, elevare il mondo a Dio.

In questo senso, sarà molto opportuno che ci esaminiamo su come viviamo l’opera di misericordia che ci disponiamo a considerare questo mese: sopportare e amare pazientemente i difetti del prossimo. Amore e sofferenza sono due realtà difficili da separare. Chi non ha sofferto per amore verso un coniuge, un figlio o un amico? A volte questa singolare combinazione può apparire un mistero, ma Gesù dalla Croce ci dimostra che questa è stata la via percorsa da Dio stesso. Consapevoli che il Signore ne sa di più, quando ci dobbiamo misurare con questo mistero nella vita quotidiana, rivolgiamo lo sguardo alla Croce, che sarà sorgente di pace. Il fondatore dell’Opus Dei consigliava sempre di portare in tasca un crocifisso o di metterlo sul tavolo di lavoro, accanto alla fotografia delle persone amate. In tal modo – baciandolo o rivolgendo qualche parola al Crocifisso –, sarà più facile accettare le contrarietà della giornata, far fronte alle nostre sconfitte senza scoraggiarci, o superare gli inevitabili dissensi con gli altri. San Josemaría aggiungeva che non si deve sopportare il prossimo, ma amarlo per percorrere assieme a lui il cammino quotidiano. Non avere paura della croce, amarla, abbracciarla senza timore quando si presenta nelle situazioni ordinarie o in maniera straordinaria, ci allargherà il cuore e così accoglieremo gli altri quando ne avranno più bisogno.

Ci prepareremo in questo modo a presentarci davanti a quel Dio che ci comprende e ci aspetta in Cielo, disposto a versare a piene mani il suo amore infinito nella nostra povera anima. San Paolo descriveva con queste parole le caratteristiche di un amore purificato: “La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto…”. Amici e amiche, se desideriamo sul serio il bene degli altri, comprenderemo che davanti a un fratello debole non c’è spazio per la fretta, le critiche o l’impazienza. Anche se forse abbiamo la tendenza a modellare il prossimo a nostro piacimento, e con facilità ci irritiamo quando persistono negli stessi difetti, non è vero che Dio ha avuto, e ha, più pazienza nei nostri confronti?

Durante la trasfigurazione, mentre il Signore gioiva con il Padre e con lo Spirito Santo, i nove discepoli che lo aspettavano alle falde del monte, tentavano invano di guarire un ragazzo epilettico. La loro mancanza di fede li rendeva incapaci di dare sollievo al ragazzo, che era solito gettarsi nell’acqua e nel fuoco producendosi del male. Gesù, informato dell’insuccesso dei suoi discepoli, reagì con parole di delusione, nelle quali forse possiamo riconoscere la nostra delusione personale o un certo distacco dai difetti degli altri. “Fino a quando sarò con voi e vi sopporterò?”, esclamò il Redentore. Tuttavia, dato che Gesù era venuto sulla terra per redimere gli uomini, con grande pazienza verso tutti, guarì il ragazzo e spiegò ai discepoli a che cosa era dovuto l’insuccesso: “Se aveste fede – disse loro – […] nulla vi sarebbe impossibile”.

Il profondo amore del Signore per gli uomini – per te, per me – è la forza che lo muove a riscattarci, a perdonarci ripetutamente, a considerare in noi la dignità di figli di Dio – che Egli ci ha guadagnato – e che si nasconde sotto la cappa delle nostre miserie. Seguendo l’esempio di Cristo, non dobbiamo farci da parte nel constatare i difetti del prossimo ma, senza vittimismi, dobbiamo capire che non si tratta di “sopportarli”, ma di accettarli con umiltà. Guardiamo gli altri con gli occhi benigni con i quali Dio li guarda e ci guarda, non con i nostri. Se nasce in noi facilmente la critica interiore o ci riteniamo incapaci di sopportare oltre il carattere di questa o quella persona, curiamo meglio il nostro esame di coscienza personale. Chi non si conosce bene, chi non cerca l’umiltà, tende ad essere intransigente con gli altri. A tal riguardo sant’Agostino ha scritto che “è meglio un peccatore umile che un santo superbo”.

Ricordo che san Josemaría era solito raccogliersi per alcuni minuti davanti al tabernacolo, anche a fine giornata, prima di ritirarsi per la notte, per fare il bilancio della sua giornata. Quegli istanti davanti al Signore lo aiutavano a ricordare le occasioni in cui avrebbe potuto darsi di più agli altri, e chiedeva perdono a Dio e un aiuto per affrontare meglio la giornata successiva. Soltanto chi conosce la propria debolezza e ha saputo sorridere della propria pochezza, scopre quanto ha bisogno di Dio e della comprensione dei fratelli. Solamente un’anima paziente e umile, cosciente dei propri difetti, è nelle condizioni di aprirsi a chi ha bisogno di una mano alla quale aggrapparsi, di un consiglio sicuro o di un sorriso che esprima una sincera comprensione. Poco si ottiene, invece, con uno scontro o con frasi piene di cinismo o di disprezzo. San Josemaría diceva spesso alle coppie di coniugi: “Fate in modo di essere sempre giovani, conservatevi interamente l’uno per l’altro, vogliatevi bene al punto di amare i difetti del consorte, se non sono offesa di Dio”.

Amare i difetti del consorte, di un amico o di un’amica, è possibile quando l’amore è maturo. Un atteggiamento del genere non vuol dire accettare stoicamente i difetti degli altri. Desideriamo il bene degli altri, e dunque cercheremo di aiutarli a eliminare certi difetti, come un carattere collerico o apatico, il disordine, la sensualità, la pigrizia o l’attivismo, la mancanza di puntualità, lo spreco… Queste imperfezioni sono croci che ognuno di noi si porta dentro per molti anni, magari in modo permanente. Non aggiungiamo altro peso alla croce che ognuno sopporta: la pazienza verso il prossimo sarà per molti quel Cireneo che alleggerisce la lotta quotidiana e che ci aiuta a identificarci con Cristo che cammina verso il Calvario, portando la Croce per noi. Chiediamo alla Madonna di insegnarci a essere pazienti. Ella ha saputo accogliere gli apostoli che avevano abbandonato suo Figlio e ha accompagnato maternamente la Chiesa nei suoi primi passi. Siamo sicuri che Maria cammina con noi e ci aiuta a colmare di comprensione misericordiosa le relazioni fra gli uomini. “Senza di me non potete far niente”.

Queste parole che Gesù rivolge ai suoi discepoli – a te, a me –, ci rivelano che, senza Dio nostro Padre, senza il suo aiuto, i nostri sforzi per praticare la misericordia saranno vani; nello stesso tempo ci confida che, dato il suo interesse per gli uomini e per le donne, desidera stare sempre con noi, se ci comportiamo rettamente. Per questo, giunti alla fine di questo anno giubilare, ci mettiamo nuovamente nelle sue mani e gli confidiamo i propositi che trasformeranno la nostra vita ordinaria in un tempo di misericordia. L’ultima opera che ci viene proposta è Pregare Dio per i vivi e per i morti. Con la preghiera per il prossimo, in primo luogo riconosciamo umilmente che ogni bene proviene unicamente da Dio, e perciò ci rivolgiamo a Lui; inoltre, otteniamo per le anime la protezione divina e, infine, rafforziamo i legami soprannaturali che ci uniscono agli altri, anche con coloro che già godono della presenza di Dio.

La necessità di sostenerci a vicenda con la preghiera – sia per i vivi che per coloro che hanno già lasciato questo mondo ma continuano a far parte della famiglia cristiana – ha tutto il sapore della Chiesa primitiva. “Pregate gli uni per gli altri per essere guariti. Molto vale la preghiera del giusto fatta con insistenza”, dice l’apostolo Giacomo. “Ringraziamo sempre Dio per tutti voi, ricordandovi nelle nostre preghiere”, assicura Paolo ai Tessalonicesi. “Se uno vede il proprio fratello commettere un peccato che non conduce alla morte, preghi, e Dio gli darà la vita”, avverte san Giovanni. Dopo aver ascoltato queste raccomandazioni, domandiamoci, amici e amiche, se sosteniamo fino a questo punto i nostri colleghi di lavoro, la nostra famiglia, i vicini del quartiere, le persone della parrocchia di cui facciamo parte. Se qualcuno attraversa un periodo di difficoltà, lo assistiamo con le nostre preghiere, anche se l’interessato non lo saprà mai? Aiutarsi con la preghiera è un’opera di misericordia che, per volontà di Dio, impregna la storia della Chiesa, dalle sue origini fino ai nostri giorni.

Attualmente il Papa ci chiede di pregare assiduamente per i cristiani perseguitati, i nostri fratelli decisi a perdere tutto pur di conservare la fede. Ci ha invitato, ugualmente, a pregare per i profughi che rischiano la vita alla ricerca di un futuro in altri Paesi, o per quelli che non trovano un lavoro, oltre che per le persone anziane che vivono da soli e per le molte altre persone che hanno bisogno del calore della Comunione dei santi. La preghiera per il prossimo ci spingerà a evitare l’individualismo egoista che induce tanti a ritirarsi in una vita comoda e apparentemente sicura, esclusivamente solleciti delle proprie necessità personali, ma insensibili al dolore altrui. San Josemaría faceva osservare che “bisogna riconoscere Cristo che ci viene incontro negli uomini nostri fratelli. Nessuna vita umana è una vita isolata, ma s’intreccia con altre vite.

Nessuna persona è un verso sciolto, tutti noi facciamo parte di un poema divino”. San Josemaría si esprimeva in questi termini; pertanto, in una società nella quale un po’ per volta sembrano venir meno quei legami che la tenevano coesa – e non è questa un’affermazione pessimista –, l’orazione quotidiana sarà un motivo potente di unità e di rinvigorimento. I drammi umani che ho ricordato si uniscono alle difficoltà o alle opportunità con le quali ogni creatura s’imbatte nella propria esistenza personale o familiare. Per questo, come appare evangelico l’atto di caricare generosamente sulla nostra anima i buoni desideri e i problemi degli altri! E siccome ci proponiamo di essere cristianamente solidali, dobbiamo convincerci che quando un battezzato prega, si sta già dando da fare. Quando supplichiamo l’intercessione di Dio, Egli ci ascolta e interviene. Non rimane indifferente.

Siamo seriamente convinti che possiamo cambiare la storia del prossimo, di una famiglia o di una comunità, con la forza della nostra preghiera personale. Certe volte forse non vedremo i risultati, o una storia non si svolgerà come noi avevamo immaginato, ma siamo perfettamente convinti che il Signore percorre altre strade, sempre misericordiose, sempre sorprendenti. Dunque, sogniamo! Preghiamo per coloro che non ci danno più speranza; chiediamo ciò che è al di là della nostra portata; non mettiamo limiti alla misericordia di Dio. Nella riflessione sull’opera di misericordia Seppellire i morti abbiamo affermato – e non abbiamo ombra di dubbio – che la misericordia è capace di attraversare la barriera della morte e arrecare beneficio a coloro che sono in attesa del premio eterno. Le preghiere per i defunti hanno la capacità di trasferire il nostro amore a coloro che hanno dato la loro anima a Dio.

San Josemaría ci faceva notare che la morte del figlio della vedova di Nain commosse profondamente Cristo, che reagì restituendolo alla vita. Lo spiegava con queste parole: “San Luca dice: misericordia motus super eam, [Gesù] si mosse per compassione, per misericordia verso quella donna”. Impariamo da questa scena: la nostra preghiera non potrebbe commuovere di nuovo il Signore in modo che, per la sua misericordia, conceda la vera Vita a coloro che ci hanno preceduto? * * * L’anno giubilare che sta per concludersi non dev’essere considerato semplicemente uno dei tanti eventi del calendario, ma deve spingerci verso il futuro e rinnovare in noi solidi aneliti di santità. Mi domando e ti domando, in confidenza, con amicizia: questo tempo ha lasciato nella tua anima una traccia profonda? Hai scoperto Dio come Padre Misericordioso? Conosci ora più a fondo l’interiorità del Signore, l’interesse che ha per ognuna e ognuno di noi?

Ricordiamo che, come ha detto il Santo Padre, “non è sufficiente aver sperimentato nella nostra vita la misericordia di Dio”, ma con gli altri “dobbiamo essere il suo segno e il suo strumento attraverso piccoli gesti concreti”. Per questo, le quattordici opere sulle quali abbiamo meditato insieme durante questi mesi ci invitano a piantare in permanenza il seme della “prima evangelizzazione” in tanti cuori che ancora non conoscono Cristo o che si sono allontanati da Lui. Al calore di questo nostro affetto e con l’aiuto della grazia molte anime, forse indurite dall’indifferenza, si apriranno di nuovo all’amore di Dio e si risveglierà in loro l’ardente desiderio di conoscere il Padre buono che ne aspetta il ritorno. Mettiamo nelle mani della Madonna i nostri propositi e le nostre intenzioni. Supplichiamola: Dio ti salvi, Regina e Madre di misericordia, vita, dolcezza e speranza nostra […]; volgi a noi i tuoi occhi misericordiosi; e mostraci, dopo questo esilio, Gesù, il frutto benedetto del tuo ventre. O clemente, o pia, o dolce Vergine Maria!

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