Natale del Signore: "Cristo nascosto al mondo"
La venuta di Cristo nella povertà e nel nascondimento
Autore: San John Henry Newman
La luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta (Gv 1,5).
Di tutti i pensieri che sorgono nella mente quando contempliamo la vita del Signore Gesù Cristo sulla terra, nessuno forse è più impressionante e avvincente di quello riguardante l’oscurità da cui fu circondato. Non mi riferisco alla sua oscura condizione, derivante dal suo essere umile; mi riferisco al nascondimento che lo avvolse e al segreto sulla sua identità che egli mantenne. Questa caratteristica del suo primo avvento è sottolineata molto spesso nella Scrittura, come nel testo: La luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta; ed è in contrasto con quanto è stato predetto del suo secondo avvento: allora ogni occhio lo vedrà. Questo implica che tutti lo riconosceranno, mentre, quando venne la prima volta, sebbene molti lo abbiano visto, tuttavia ben pochi lo hanno riconosciuto. Era stato preannunziato: Noi lo vedremo e non ha bellezza alcuna che attragga i nostri sguardi; e alla fine del suo ministero pubblico disse a uno dei dodici amici scelti: Da tanto tempo sono con voi, e tu non mi hai conosciuto, Filippo?
Vorrei proporvi due o tre pensieri, suggeriti da questa circostanza davvero solenne: spero che, con la benedizione di Dio, vi possano essere utili.
1. Anzitutto riesaminiamo alcune circostanze che hanno contrassegnato la vita di Gesù quando era in terra. La sua condiscendenza nel discendere dal cielo, nel lasciare la gloria del Padre e farsi carne, supera talmente qualunque parola o qualunque pensiero che, a prima vista, si potrebbe ritenere di poca importanza che egli fosse venuto come un principe o come un mendicante. Eppure, alla fin fine, è ancor più sorprendente che sia venuto in una condizione umile: diversamente si sarebbe potuto pensare che, sebbene si fosse degnato di venire in terra, tuttavia non si sarebbe sottomesso all’oscurità e al disprezzo; infatti non sono i ricchi a essere disprezzati dal mondo, bensì i poveri. Se fosse venuto come un principe o come un nobile, il mondo, anche senza avere alcuna idea che fosse Dio, lo avrebbe ammirato e onorato come principe; ma quando apparve come uno del basso ceto, egli prese su di sé un’ulteriore umiliazione, il disprezzo; fu infatti schernito, deriso, grossolanamente ignorato, violentemente profanato dalle sue creature.
Quali furono le effettive circostanze della sua venuta? Sua madre è una donna povera; viene a Betlemme per il censimento, affrontando un viaggio faticoso, mentre sarebbe rimasta volentieri a casa. Non trova posto nella locanda ed è costretta a rifugiarsi in una stalla; dà alla luce il suo figlio primogenito e lo depone in una mangiatoia. Questo bimbo appena nato è però il Creatore del cielo e della terra, il Figlio eterno di Dio.
Bene: nacque da una donna povera, fu posto in una mangiatoia; fu avviato all’umile lavoro di carpentiere; e quando cominciò a predicare non aveva una pietra su cui posare il capo; alla fine fu condannato a una morte terribile: la morte infame dei criminali.
Negli ultimi tre anni della sua vita, come leggiamo nella Scrittura, predicò il vangelo; ma cominciò soltanto quando aveva già trent’anni. Per trent’anni visse come vivrebbe oggi un uomo di povera condizione. Passarono giorni, stagioni, anni, così come avviene per ciascuno di noi. Prima bambino, poi ragazzo, si sviluppò « come una tenera pianta», e cresceva in sapienza ed età. Intanto apprese ed esercitò il mestiere di Giuseppe, suo padre putativo. Trascorse il tempo senza che alcun avvenimento straordinario segnasse la sua vita, finché raggiunse i trent’anni.
Com’è meraviglioso tutto questo: che egli sia vissuto così a lungo senza fare nulla di grande, così, solo per vivere. Non predicò, non chiamò discepoli, non promosse nulla in ordine alla missione per la quale era venuto nel mondo. Senza dubbio vi erano profonde e sapienti ragioni nel disegno di Dio perché egli vivesse così a lungo nell’oscurità; ma noi non le conosciamo.
Ed è da notare che quelli che erano intorno a lui lo hanno trattato come uno di loro; i suoi fratelli, cioè i parenti più intimi, i cugini, non credettero in lui. Ed è ancora più sorprendente il fatto che quando egli cominciò a predicare e riunì molta folla, i suoi, sentito questo, uscirono per andare a prenderlo; poiché dicevano: «E fuori di sé».
Essi lo trattarono alla stessa maniera con la quale noi, al giorno d’oggi (e giustamente) tratteremmo una persona che cominciasse a predicare nelle strade. Dico «giustamente » perché tali persone generalmente predicano senza essere state inviate da alcuno, e contro l’autorità; e anche questo è sbagliato.
Perciò noi diciamo che questa gente « è fuori di sé », è pazza, e lo diciamo con ragione. Ed è un atto di carità dire così, perché è meglio essere pazzi che disobbedienti. Bene: quello che noi diremmo di questi tali, gli amici del Signore lo dissero di lui. Essi erano vissuti a lungo con lui, eppure non lo conoscevano. Non notarono alcuna differenza tra lui e se stessi. Egli vestiva, mangiava, beveva come gli altri; andava e veniva, parlava, camminava, dormiva come gli altri; fu un uomo come gli altri sotto tutti gli aspetti, eccetto il peccato1. Anche oggi molti non sarebbero capaci di notare questa grande differenza, perché nessuno di noi capisce quelli che sono molto migliori di noi.
2. Dico che il Cristo, il Figlio di Dio senza peccato, potrebbe oggi vivere nel mondo come un vicino di casa, e noi potremmo non riconoscerlo. E questo un pensiero sul quale sarà bene soffermarci. Non intendo dire che non vi sia un certo numero di persone di cui possiamo con certezza dire che non sono Cristo: coloro che conducono una vita immorale e irreligiosa. Ma ve ne sono molte altre che non sono affatto irreligiose o degne di grande biasimo; che a prima vista si somigliano, ma tuttavia sono diverse l’una dall’altra agli occhi di Dio. Mi riferisco alla massa di quelli che sono chiamati persone rispettabili, tra le quali ci sono casi totalmente diversi. Alcuni si presentano come persone d’onore, esteriormente corrette, ma sprovviste di un vero senso religioso: non sono portate alla rinuncia, non hanno un sincero amore per Dio, ma solo per il mondo; senza forti passioni, sono interessate unicamente a condurre una vita ordinata e regolare, o semplicemente si sono fin da giovani abituate a una certa regolarità di vita, di abitudini ordinate, e sono perciò soltanto gente onesta, corretta, ma niente di più.
Vi sono altri però che, pur simili a costoro esteriormente, tuttavia sono molto diversi nel loro intimo; non vogliono apparire agli occhi del mondo, si comportano con grande semplicità, con un’apparenza molto ordinaria, ma in realtà si impegnano seriamente per la propria santificazione. Fanno ogni sforzo per cambiare se stessi, diventare simili a Dio, imporsi una disciplina, rinunciare al mondo; ma lo fanno in segreto, sia perché così lo chiede loro Dio, sia perché non amano farlo sapere.
Infine, tra queste due categorie, vi sono altre persone più o meno mondane, più o meno credenti. Eppure, dinanzi alla gente appaiono come tutti, perché la vera religiosità è una vita nascosta nel cuore; sebbene essa non possa esistere senza le azioni, queste sono per lo più azioni segrete: segrete opere di carità, segrete preghiere, segrete rinunce, segrete lotte, segrete vittorie. Ovviamente, chi conduce un’attiva vita pubblica viene esaminato, studiato e, in un certo senso, meglio conosciuto; ma io mi riferisco a chi ha una vita privata e ordinata come quella di Gesù durante i primi trent’anni. Essi sono molto simili fra loro […] e noi non sapremmo distinguere gli uni dagli altri.
Tuttavia, sebbene non tocchi a noi giudicare ma dobbiamo lasciare a Dio il giudizio, è certo che un uomo veramente pio, un vero santo, per quanto somigli agli altri uomini, ha tuttavia in sé una specie di potere segreto che attira e influenza quelli che hanno le stesse inclinazioni spirituali.
E riflettere se i santi hanno una qualche influenza su di noi, potrebbe essere una verifica per renderci conto se abbiamo le stesse loro inclinazioni. Benché ci sia dato raramente di conoscere subito i santi, tuttavia in un secondo tempo lo possiamo; quando, ripensando al passato – forse quando ormai sono morti – ci chiediamo quale potere hanno avuto su di noi nel tempo in cui li abbiamo conosciuti, se ci hanno attratto, influenzato; se ci hanno resi più umili, se hanno fatto ardere i nostri cuori dentro di noi. Spesso ci accorgiamo che siamo stati per molto tempo vicini a loro, abbiamo avuto la possibilità di conoscerli, e non li abbiamo conosciuti; e questo è per noi un grave motivo di condanna.
La storia del Signore ci fornisce un esempio particolarmente evidente di tale fatto, proprio perché egli era il Santo per eccellenza. Quanto più un uomo è santo, tanto meno viene compreso dalla gente di questo mondo. Quelli che hanno anche solo una scintilla di fede viva, in una certa misura lo comprenderanno; e più egli è santo, più si sentiranno, almeno per la maggior parte, attratti da lui; ma coloro che servono il mondo saranno ciechi nei suoi confronti; più egli sarà santo, più avranno per lui disprezzo e avversione. Proprio così accadde a Gesù: egli era « il Santo »; ma la luce splende nelle tenebre, e le tenebre non l’hanno accolta . I suoi parenti più prossimi non credettero in lui. Se fu così, e per la ragione a cui ho accennato, viene spontaneo chiederci se noi l’avremmo compreso meglio di quanto non abbiano fatto loro. Se egli fosse stato il nostro vicino di casa, o anche un membro della nostra famiglia, l’avremmo saputo distinguere da qualunque altra persona corretta e semplice nell’atteggiamento, o al contrario, pur avendo rispetto per lui (purtroppo, quale parola, quale linguaggio verso Dio altissimo!), non l’avremmo trovato strano, eccentrico, stravagante? Ancor meno avremmo visto qualche scintilla di quella gloria che egli aveva presso il Padre prima che il mondo fosse, e che si trovava nascosta, ma non spenta, nel tabernacolo terrestre
È questo un pensiero tremendo: perché, se egli restasse a lungo con noi, e noi non vedessimo nulla di meraviglioso in lui, sarebbe questa una prova evidente che non siamo suoi, perché le sue pecore conoscono la sua voce e lo seguono. […]
3. Ed eccoci portati a un altro argomento, molto serio, del quale vorrei parlarvi. A volte noi siamo pronti a desiderare di essere nati al tempo di Gesù, e con questo scusiamo la nostra cattiva condotta quando la coscienza ci rimprovera. Diciamo: se avessimo avuto la fortuna di vivere con Gesù, avremmo avuto motivazioni più forti, saremmo stati meglio premuniti contro il peccato.
Rispondo: le nostre abitudini di peccato non solo non sarebbero state vinte dalla presenza di Cristo, ma anzi ci avrebbero impedito di riconoscerlo. Non avremmo saputo che era presente, e anche se ci avesse detto chi era, non gli avremmo creduto. I suoi stessi miracoli, per quanto ciò possa apparire incredibile, non ci avrebbero lasciato una impressione duratura. Senza attardarci su questo tema, considerate la possibilità che Cristo sia vicino a noi, pur senza far miracoli: non ce ne accorgeremmo. E ritengo che questo sarebbe il caso per la maggior parte della gente. Ma basta su questo argomento.
Vorrei arrivare a un altro punto: vorrei invitarvi a riflettere sulla luce tremenda che quanto abbiamo detto getta sulla prospettiva della vita nell’ai di là. Noi pensiamo che il cielo sarà per noi un luogo di felicità, purché ci arriviamo; ma secondo ogni probabilità, a giudicare da quello che accade sulla terra, un uomo malvagio, trasportato in cielo, non saprebbe di essere in cielo. Non spingo le cose più lontano; non mi domando se, al contrario, il fatto stesso di trovarsi in cielo con il suo fardello di peccato non sarebbe per lui un vero supplizio e non accenderebbe dentro di lui le fiamme dell’inferno. Sarebbe questo, in verità, un modo spaventoso di accorgersi del luogo dove si trova.
Ma supponiamo un caso meno grave: supponiamo che un uomo possa stare in cielo senza esserne distrutto: ma saprebbe veramente dove si trova? Non vi vedrebbe nulla di meraviglioso.
Mai gli uomini furono tanto vicini a Dio quanto coloro che lo arrestarono, lo colpirono, gli sputarono addosso, lo sospinsero con violenza, lo spogliarono, stesero le sue braccia sulla croce, lo inchiodarono alla croce e ve lo innalzarono, rimasero a guardarlo, lo schernirono, gli diedero aceto, si assicurarono che fosse morto, e infine lo colpirono con la lancia. Come è spaventoso pensare che l’uomo mai si è accostato a Dio in maniera più forte che con la bestemmia! Chi si avvicinò di più al Signore? san Tommaso che ebbe il permesso di stendere la mano per toccare rispettosamente le sue piaghe, san Giovanni che riposò sul suo petto «, o i soldati che, brutalmente, ne profanarono ogni membro, ne torturarono ogni nervo?
_ In verità la sua benedetta madre si avvicinò a lui in maniera più intima; e anche noi, se siamo veri credenti, ci avviciniamo a lui ancor più profondamente, lo possediamo in modo reale, anche se spirituale, dentro di noi: questa però è una forma diversa, interiore, di vicinanza. Ma esteriormente gli si fecero più vicini proprio coloro che non sapevano nulla di lui. La stessa cosa accade ai peccatori: essi si accosterebbero al trono di Dio, lo guarderebbero senza capire, lo toccherebbero, si immischierebbero alle cose più sante, lascerebbero libero corso, non per cattivo volere, ma per una sorta di istinto insensato, alla loro indiscreta curiosità, fino a quando un fulmine vendicatore non li annientasse; e tutto ciò perché essi non hanno un senso che li possa guidare all’occorrenza. I nostri sensi corporali ci segnalano l’avvicinarsi del bene o del male sulla terra. I suoni, i profumi, i contatti, ci informano su quello che ci circonda. Siamo coscienti quando ci esponiamo alle intemperie, o quando ci affatichiamo troppo nel lavoro. Riceviamo degli avvertimenti, e sentiamo che non li dobbiamo trascurare. Ma i peccatori non hanno i sensi spirituali e non possono prevedere nulla; ignorano quello che accadrà loro nel momento successivo. Così continuano ad avanzare in mezzo ai burroni senza paura, finché improvvisamente precipitano e periscono. Miserabili creature! Ecco quello che il peccato fa delle anime immortali: le rende simili agli animali che vengono uccisi nel mattatoio, e intanto toccano e odorano gli stessi strumenti di morte!
4. Voi forse direte: ma in che cosa ci riguarda tutto questo? Il Cristo non è qui; quindi noi non potremmo insultare la sua maestà in un modo tanto grave, o pur anche minore. Rispondo: Ne siamo proprio sicuri? Certo non possiamo commettere una tale pubblica empietà, ma possiamo farlo in maniera ugualmente grave. Spesso i peccati più gravi sono i meno clamorosi, gli insulti più amari sono i meno scoperti, i mali più profondi sono i più sottili. Non ricordiamo quelle parole di Cristo: A chiunque parlerà male del Figlio dell’uomo sarà perdonato; ma la bestemmia contro lo Spirito Santo non gli sarà perdonata?
Non intendo concludere se questa sentenza si applichi o meno ai cristiani di oggi; ma dobbiamo sapere che anche al presente siamo nel regno dello Spirito di cui parla il Signore; e questa è una questione molto seria. Ho citato però il testo del vangelo per dimostrare che ci possono essere dei peccati non tanto più flagranti e manifesti, ma più gravi di quello di insultare e perseguitare la persona di Cristo, per quanto ciò possa essere strano.
Continuiamo perciò la nostra riflessione, senza però perdere di vista questo pensiero. In primo luogo Cristo è sempre sulla terra; egli dichiarò espressamente che sarebbe tornato. La venuta dello Spirito Santo è realmente anche la sua venuta; al punto che, se neghiamo che egli è qui ora, quando è qui nel suo Spirito, possiamo altrettanto dire che non era qui nei giorni della sua carne, quando era visibile al mondo. È un grande mistero che Dio Figlio e Dio Spirito Santo, due persone, possano essere uno, che il Cristo possa essere nello Spirito e lo Spirito in lui; ma è così.
In secondo luogo: se Cristo è sulla terra, sebbene invisibilmente (ciò che non si può negare), è chiaro che egli vi è nella stessa condizione scelta nei giorni della sua carne. Voglio dire che è un Salvatore nascosto e che, se non stiamo attenti, rischiamo di avvicinarci a lui senza il rispetto e il timore dovuti. […]
E c’è un’altra ragione per temere, quando consideriamo i pegni della sua presenza; essi sono di tale natura da condurre all’irriverenza tutti coloro che non sono umili e attenti. Per esempio: la Chiesa è chiamata suo corpo; quello che era il suo corpo materiale quando egli era in terra, lo è oggi la Chiesa. Essa è lo strumento del suo potere divino; ad essa ci dobbiamo rivolgere per ottenere i suoi favori; e se la insultiamo, provochiamo la sua ira. Ma che cos’è la Chiesa, se non un corpo debole, che quasi provoca disprezzo e irriverenza negli uomini che non hanno fede?
E un vaso di terra più fragile di quanto lo fosse il suo corpo di carne, perché questo era puro da ogni peccato, mentre la Chiesa è macchiata nei suoi membri. Sappiamo che i suoi ministri, anche i migliori, sono imperfetti, inclini all’errore e schiavi delle passioni come gli altri uomini; e tuttavia Gesù, rivolgendosi non solo agli apostoli, ma ai settantadue discepoli (ai quali i ministri cristiani sono uguali per la funzione), disse: Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me. E chi disprezza me disprezza colui che mi ha mandato.
Egli ha fatto dei poveri, dei deboli e degli afflitti i segni e gli strumenti della sua presenza; e anche qui sorge la tentazione di trascurarla e di profanarla. Come era lui, così sono i suoi discepoli scelti in quésto mondo; e come la sua condizione oscura e vulnerabile provocava gli uomini a insultarlo e a maltrattarlo, alla stessa maniera tali qualità spingono oggi gli uomini a insultarlo nei segni della sua presenza. Quali siano poi questi segni, risulta chiaramente da molti passi della Scrittura. Per esempio, egli dice dei fanciulli: Chiunque accoglie uno di questi piccoli in nome mio, accoglie me. E a Saulo che perseguitava i suoi discepoli disse: Perché mi perseguiti?. E ci avverte che nell’ultimo giorno dirà ai giusti: Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito; malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi7-. E aggiunge: Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli, l’avete fatto a me.
La stessa dichiarazione la fa nelle parole rivolte ai malvagi. Ciò che rende questo passo terribile ma appropriato è giustamente questo, come è stato osservato, cioè che né i cattivi né i buoni sapevano quello che facevano; anche i giusti sono presentati come persone che avevano avvicinato Cristo senza rendersene conto. Essi dicono: Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere?. In ogni tempo, dunque, Cristo è in questo mondo, ma non più apertamente di quanto lo fosse nei giorni della sua vita terrena.
Un simile rilievo si applica ai suoi comandamenti, che sono senza dubbio molto semplici, ma anche intimamente legati alla sua persona. San Paolo, nella Prima Lettera ai Corinzi, dichiara come sia facile ma anche tremendo profanare la Cena del Signore; lo dichiara quando rimprovera le intemperanze dei Corinzi, e le attribuisce al fatto che essi non hanno riconosciuto il corpo del Signore.
Quando Gesù nacque in questo mondo, il mondo non lo conobbe. Fu deposto in una ruvida mangiatoia tra gli animali, ma tutti gli angeli di Dio lo adorarono. Anche ora egli è presente sull’altare, in modo semplice e nascosto, e senza molta dignità; la fede adora, ma il mondo vi passa accanto senza badarvi.
Preghiamolo affinché illumini gli occhi della nostra mente, sì che possiamo appartenere alle schiere celesti, e non a questo mondo. Se gli spiriti carnali saranno impotenti a riconoscerlo anche in cielo, un cuore sensibile allo spirito può avvicinarlo, vederlo, possederlo anche sulla terra.
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