Natale nei Padri della Chiesa
Gli scritti dei Padri della Chiesa sul Natale
Autore: Padri della Chiesa
1. Sant’Ireneo di Lione, Contro le eresie (ca. 130-202 ca.) La prima menzione documentata della festa di Natale si trova nel Cronografo filocaliano, redatto nel 354, in cui si indica per la prima volta come festa di Natale il 25 dicembre, giorno nel quale si apriva il calendario liturgico. Tertulliano nell’Adversus Iudaeos, e Agostino nel De Trinitate (IV, 5, 9), ricordano come fosse tradizione ricordare il 25 dicembre il natale del Signore. Sisto III (432-440) decise di costruire nella chiesa di Liberio all’Esquilino – poi chiamata Santa Maria Maggiore – una cappella che ricordasse la grotta della Natività. Nel vi secolo era ormai nell’uso liturgico che il Papa officiasse tre messe in occasione del giorno di Natale, come attesta il Sacramentario Gelasiano.
Fu Gregorio Magno a stabilire in quattro settimane il tempo di Avvento in modo da racchiuderlo nel mese di dicembre. Le letture evangeliche stabilite per le domeniche di Avvento erano Matteo, 21, 1-9; Luca, 21, 25-33; Matteo, 11, 2-10; Giovanni, 1, 19-28. Viene ripreso inoltre l’uso della trina celebratio per il giorno di Natale. La celebrazione cominciava nella notte della vigilia, quando dopo la mezzanotte, ci si spostava a Santa Maria Maggiore per la celebrazione della prima messa. Prima dell’alba, una seconda messa veniva celebrata nella chiesa di S. Anastasia, e da qui il vescovo di Roma con i fedeli tornava a San Pietro per l’ultima messa. Dio e tutte le opere di Dio sono gloria dell’uomo; e l’uomo è la sede in cui si raccoglie tutta la sapienza e la potenza di Dio.
Come il medico dà prova della sua bravura nei malati, così anche Dio manifesta se stesso negli uomini. Perciò Paolo afferma: «Dio ha chiuso tutte le cose nelle tenebre dell’incredulità per usare a tutti misericordia» (cfr. Rm 11, 32). Non allude alle potenze spirituali, ma all’uomo che si mise di fronte a Dio in stato di disobbedienza e perdette la immortalità. In seguito però ottenne la misericordia di Dio per i meriti e il tramite del Figlio suo. Ebbe così in lui la dignità di figlio adottivo.
Se l’uomo riceverà senza vana superbia l’autentica gloria che viene da ciò che è stato creato e da colui che lo ha creato cioè da Dio, l’onnipotente, l’artefice di tutte le cose che esistono, e se resterà nell’amore di lui in rispettosa sottomissione e in continuo rendimento di grazie, riceverà ancora gloria maggiore e progredirà sempre più in questa via fino a divenire simile a colui che per salvarlo è morto. Il Figlio stesso di Dio infatti scese «in una carne simile a quella del peccato» (Rm 8, 3) per condannare il peccato, e, dopo averlo condannato, escluderlo completamente dal genere umano. Chiamò l’uomo alla somiglianza con se stesso, lo fece imitatore di Dio, lo avviò sulla strada indicata dal Padre perché potesse vedere Dio e gli diede in dono il Padre. 2. Il Verbo di Dio pose la sua abitazione tra gli uomini e si fece Figlio dell’uomo, per abituare l’uomo a comprendere Dio e per abituare Dio a mettere la sua dimora nell’uomo secondo la volontà del Padre. Per questo Dio stesso ci ha dato come «segno» della nostra salvezza colui che, nato dalla Vergine, è l’Emmanuele: poiché lo stesso Signore era colui che salvava coloro che di per se stessi non avevano nessuna possibilità di salvezza. Isaia stesso aveva predetto questo: Irrobustitevi, mani fiacche e ginocchia vacillanti, coraggio, smarriti di cuore, confortatevi, non temete; ecco il nostro Dio, opera la giustizia, darà la ricompensa.
Egli stesso verrà e sarà la nostra salvezza (cfr. Is 35, 4). Questo indica che non da noi, ma da Dio, che ci aiuta, abbiamo la salvezza. 2. San Basilio Magno, Omelie (329-379) Dio sulla terra, Dio in mezzo agli uomini: non un Dio che consegna la legge tra bagliori di fuoco e suoni di tromba su un monte fumante, o in densa nube fra lampi e tuoni, seminando il terrore tra coloro che lo ascoltano; ma un Dio incarnato, che con soavità e dolcezza parla a creature che hanno la sua stessa natura. Un Dio incarnato, che non agisce da lontano o per mezzo di profeti, ma attraverso l’umanità che ha assunto in proprio a rivestire la sua persona, per ricondurre a sé, nella nostra stessa carne fatta sua, tutto il genere umano. In che modo, per mezzo di uno solo, lo splendore raggiunse tutti? In che modo la divinità risiede nella carne?Come il fuoco nel ferro: non per trasfor-mazione, ma per partecipazione. Il fuoco, infatti, non passa nel ferro, ma rimanendo dov’è, gli comunica la sua virtù; né per questa comunicazione diminuisce, ma pervade di sé tutto quello a cui si comunica. Così il Dio-Verbo, senza mai separarsi da se stesso, «venne ad abitare in mezzo a noi»; senza subire alcun mutamento, «si fece carne»: il cielo che lo conteneva non rimase privo di lui mentre la terra lo accoglieva nel suo seno. Cerca di penetrare nel mistero: Dio assume la carne proprio per distruggere la morte in essa nascosta.
Come gli antidoti di un veleno, una volta ingeriti, ne annullano gli effetti, e come le tenebre di una casa si dissolvono alla luce del sole, così la morte che dominava sull’umana natura fu distrutta dalla presenza di Dio. E come il ghiaccio rimane solido nell’acqua finché dura la notte e regnano le tenebre, ma tosto si scioglie al calore del sole, così la morte che aveva regnato fino alla venuta di Cristo, appena apparve la grazia di Dio Salvatore e sorse il sole di giustizia, «fu ingoiata dalla vittoria» (1 Cor 15,54), non potendo coesistere con la Vita. O grandezza della bontà e dell’amore di Dio per gli uomini! Diamogli gloria insieme ai pastori, esultiamo con gli angeli «perché oggi ci è nato il Salvatore, che è Cristo Signore» (Le 2,11).
Anche a noi il Signore non è apparso nella forma di Dio, che avrebbe sgomentato la nostra fragilità, ma in quella di servo, per restituire alla libertà coloro che erano in schiavitù. Chi è così tiepido, così poco riconoscente che non gioisca, non esulti, non porti doni? Oggi è festa per tutte le creature. Nessuno vi sia che non offra qualcosa, nessuno si mostri ingrato. Esplodiamo anche noi in un canto di esultanza. 3. San Gregorio di Nazianzo, Orazione 38,1 (330-380/390) Cristo nasce, cantate gloria, Cristo scende dal ciclo, andategli incontro; Cristo è in terra, alzatevi. Cantate al Signore da tutta la terra. E per riassumere queste due cose in una sola: Gioiscano i cieli, esulti la terra, poiché colui che è del ciclo è ora in terra. Cristo si è fatto carne, tremate e gioite; tremate per il peccato; gioite per la speranza. Cristo nasce dalla Vergine […]. Chi non adora colui che è il principio? Chi non loda e non glorifica colui che è la fine? Di nuovo si dissipano le tenebre, di nuovo viene creata la luce, di nuovo l’Egitto è tormentato dalle tenebre, di nuovo Israele è illuminato per mezzo della colonna. Il popolo che è nelle tenebre dell’ignoranza veda la grande luce della conoscenza. Le cose vecchie sono passate, ecco, ne sono nate di nuove.
Anch’io proclamerò la forza e la potenza di questo giorno; colui che non è stato generato dalla carne si incarna; il Verbo prende consistenza; l’invisibile diventa visibile; l’intangibile si può toccare; colui che è senza tempo comincia ad esistere nel tempo; il Figlio di Dio diventa Figlio dell’uomo, Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre. La festa che noi celebriamo è la venuta di Dio tra gli uomini, perché noi possiamo accedere a Dio o (per meglio dire) ritornare a Dio, affinchè, abbandonato l’uomo vecchio, ci rivestiamo del nuovo; e come siamo morti nel vecchio Adamo, così viviamo in Cristo; infatti con Cristo nasciamo, siamo messi in croce, veniamo sepolti e risorgiamo. Perciò celebriamola in modo divino e non come si suoi fare nelle feste pubbliche; non con spirito mondano ma oltremon-dano; celebriamo non ciò che è nostro, ma di lui che è nostro o, per meglio dire, di lui che è il Signore; celebriamo non ciò che arreca infermità, ma ciò che cura; non ciò che riguarda la creazione, ma la rigenerazione.
4. San Gregorio di Nazianzo, Discorsi 38,4.7.17 (330-380/390) Ecco quale è la festa che celebriamo oggi: la venuta di Dio presso gli uomini affinchè andiamo a Dio o ritorniamo a lui – è più esatto parlare di ritorno -, affinchè deponiamo l’uomo vecchio e ci rivestiamo del nuovo (cfr. Ef 4,22-24) e, come siamo morti in Adamo, così viviamo in Cristo (cfr. 1Cor 15,22), nascendo con lui, con lui essendo crocifissi, con lui sepolti, con lui resuscitando (cfr. Rm6,4; Col 2,12; Ef 2,6). […] Per questo non celebriamo la festa come fosse una solennità profana, ma in maniera divina, non in maniera mondana, ma sovramondana, non come una nostra festa, ma come quella di colui che è nostro, o piuttosto del Signore, non come festa della malattia, ma della guarigione, non come quella della creazione, ma della ri-creazione. […] Dio sempre fu e sempre è e sarà, o piuttosto, egli è sempre. Poiché le espressioni «era» e «sarà» corrispondono a divisioni umane del tempo e della natura sottoposte a mutamento; «colui che è» è invece il nome che si da Dio stesso quando si rivela a Mosè sulla montagna (cfr. Es 3,14). Riunendo tutto in se stesso, possiede l’essere senza principio, senza termine, è come un oceano di esistenza senza limiti né confini, che va al di là di ogni idea di tempo e di natura. […]
Ma ora sappi che Cristo è concepito. Esulta, dunque, se non come Giovanni nel seno di sua madre (cfr. Le 1,41), almeno come David al vedere che l’arca trova riposo (cfr. 2Sam 6,14); onora il censimento, grazie al quale sei stato inscritto nei cicli; celebra la Natività grazie alla quale sei stato liberato dai legami di una nascita [puramente umana, per rinascere a quella divina]; onora la piccola Betlemme che ti ha ricondotto in paradiso, adora la mangiatoia, tu che, insensato, sei stato nutrito dal Verbo. 5. Tirannio Rufino di Aquileia, Commento al Simbolo degli Apostoli, 8-9 (345-411) Comincia già da qui a comprendere anche la maestà dello Spirito Santo. Infatti riguardo a questo anche la parola del Vangelo afferma che. quando l’angelo parlò alla Vergine e le disse: Partorirai un figlio e gli darai nome Gesù: infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati, ed ella rispose: In che modo avverrà questo, dal momento che non conosco uomo, allora l’angelo di Dio le disse: Lo Spirito Santo verrà su di te e la potenza dell’Altissimo ti adombrerà: perciò ciò che da te nascerà santo sarà chiamato figlio di Dio. Osserva dunque la Trinità che coopera scambievolmente. […]
E benché soltanto il Figlio nasca dalla Vergine, tuttavia è presente anche l’Altissimo, è presente anche lo Spirito Santo, perché venga santificato il concepimento della Vergine e il suo parto. 6. San Girolamo, Omelia sulla Natività del Signore, 31-40 (347-420) Oh, se potessi vedere quella mangiatoia in cui giacque il Signore! Ora, noi cristiani, come per tributo d’onore, abbiamo tolto quella di fango e collocato una d’argento: ma per me è più preziosa quella che è stata portata via. L’argento e l’oro si addicono al mondo pagano: alla fede cristiana si addice la mangiatoia fatta di fango. Colui che è nato in questa mangiatoia disprezza l’oro e l’argento. Non disapprovo coloro che lo fecero per rendergli onore (né in verità coloro che fecero vasi d’oro per il tempio): mi meraviglio che il Signore, creatore del mondo, nasca non in mezzo all’oro e all’argento, ma nel fango. 7. San Pietro Crisologo, Discorso 149 (ca. 380-450) Quando venne il Signore, nostro Salvatore, al suo primo apparire nella carne, l’angelo, unito ai cori celesti, ne diede l’annunzio ai pastori dicendo: “vi annunzio una grande gioia che sarà di tutto il popolo” (Lc 2,10). Perciò anche noi, con le stesse parole degli angeli, annunziamo una grande gioia. Oggi infatti la Chiesa è nella pace; oggi la nave della Chiesa ha raggiunto il porto; oggi, carissimi, il popolo di Cristo viene esaltato, mentre i nemici della verità sono umiliati; oggi Cristo è nella gioia e il demonio nel lutto; oggi gli angeli esultano, i demoni sono dispersi. Che dire di più? Oggi cristo, re della pace, al suo apparire ha rimosso ogni contrasto e, come lo splendore del sole illumina il cielo, cos’ egli illumina la Chiesa col fulgore della pace. Poiché “oggi vi è nato un Salvatore” (Lc 2,11). O quanto è desiderabile la pace, stabile fondamento della religione cristiana e celeste ornamento dell’altare del Signore!
Che cosa possiamo dire che sia degno di questa pace? Il nome stesso di Cristo è Pace. Lo dice l’Apostolo: “Cristo è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo” (Ef 2,14). Ma, come per la visita di un sovrano si sgombrano le piazze e tutta la città è una festa di fiori e di luci affinché nulla possa apparire meno degno della presenza del re, così ora, all’arrivo di Cristo, re della pace, sia rimossa ogni tristezza e, allo splendore della verità, scompaia la menzogna, si dissolva la discordia, risplenda la carità. E se anche in terra i santi esaltano la pace, lo splendore della sua lode ridonda nell’alto dei cieli; cantano gli angeli: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama” (Lc 2,14). Vedete, fratelli, come tutte le creature del cielo e della terra si scambiano il dono della pace: gli angeli dal cielo annunziano pace alla terra, i santi tutti sulla terra lodano insieme Cristo, nostra pace, innalzano tra gli angeli; e i mistici cori cantano: “Osanna nel più alto dei cieli”. Diciamo allora anche noi con gli angeli: “Gloria a Dio, che ha umiliato il demonio ed esaltato il suo Cristo; gloria a Dio che ha annientato la discordia e ha ristabilito la pace 8. San Romano il Melòde, Carme 10, Proemio 1,2 (ca. 490-ca. 556) Betlemme ha riaperto l’Eden, vedremo come. Abbiamo trovato le delizie in un luogo nascosto, nella grotta riprenderemo i beni del paradiso.
Là, è apparsa la radice da nessuno innaffiata da cui è fiorito il perdono. Là, si è rinvenuto il pozzo da nessuno scavato, dove un tempo Davide ebbe desiderio di bere. Là, una vergine,con il suo parto ha subito estinto la sete di Adamo e la sete di Davide. Affrettiamoci dunque verso quel luogo dove è nato, piccolo bambino, il Dio che è prima dei secoli. Il padre della madre è, per sua libera scelta, divenuto suo figlio; il salvatore dei neonati è un neonato egli stesso, coricato in una mangiatoia. Sua madre lo contempla e gli dice: «Dimmi, figlio mio, come sei stato seminato in me, come sei stato formato? Io ti vedo, o carne mia, con stupore, poiché il mio seno è pieno di latte e non ho avuto uno sposo; ti vedo avvolto in panni, ed ecco che il sigillo della mia verginità è sempre intatto: sei tu infatti che l’hai custodito quando ti sei degnato di venire al mondo, bambino mio, Dio [che sei] prima dei secoli». 9. San Gregorio Magno, Omelia 1,8 (540-640) Che cosa vuol dire questo censimento del mondo alla nascita del Signore, se non che sta nascendo nella carne colui che avrebbe iscritto i suoi eletti nell’eternità? Al contrario il Profeta dice dei reprobi: Siano cancellati dal libro della vita e non siano annoverati tra i giusti. E giustamente il Signore nasce a Betlemme: poiché Betlemme vuol dire casa del pane. Egli è infatti colui che dice: Io sono il pane vivo che viene dal cielo. Il luogo dunque dove nasce il Signore, già prima ch’egli nascesse fu chiamato casa del pane, perché doveva manifestarvisi nella carne colui che avrebbe saziato gli eletti di cibo spirituale.
Ed egli nacque non in casa sua, ma per la via, per far capire ch’egli, assumendo la natura umana, nasceva in una veste che non era la sua. Non era sua, s’intende, perché, essendo Dio, la sua propria natura è la divina. La natura umana gli apparteneva, perché Dio è padrone di tutto, e perciò sta scritto: Venne a casa sua. Nella sua natura divina ci stava, prima dei tempi, nella nostra ci venne in un’epoca della nostra storia. Perciò, se colui che è eterno, si fa nostro compagno nel tempo, possiamo dire che viene in un campo che gli è estraneo. E poiché il Profeta dice: Ogni uomo è fieno, il Signore, fattosi uomo, cambiò il nostro fieno in grano, poiché egli dice di se stesso: Se il chicco di frumento non cade in terra e muore, rimane solo. Perciò anche, appena nato, è messo nella mangiatoia, perché nutrisse tutti i fedeli, rappresentati dagli animali, col frumento della sua carne. E che cosa vuol dire l’apparizione dell’angelo ai pastori che vegliavano e la luce che li avvolse, se non che coloro i quali guardano con amore il gregge, dei fedeli hanno, più degli altri, il privilegio di vedere le cose celesti? Mentre essi piamente vegliano il gregge, la grazia divina più largamente splende su di loro.
L’angelo annunzia che è nato il Re e cori di angeli gli fanno eco e cantano: Gloria nei cieli a Dio e pace in terra agli uomini di buona volontà. 10. Guerrico d’Igny, Sermoni per la natività del Signore, V (ca. 1070/1080-1157) Vi siete riuniti, fratelli, per ascoltare la parola di Dio. Ma Dio ha provveduto a qualcosa di meglio per noi: oggi non ci é stato dato solo di ascoltare, ma anche di vedere la Parola di Dio, se solo andassimo fino a Betlemme e guardassimo questa Parola, che il Signore ha fatto e ci ha mostrato. Dio sapeva che i sensi degli uomini sono incapaci di comprendere le realtà invisibili, indocili ad imparare quelle celesti, e anche duri a prestar fede, a meno che l’oggetto stesso proposto alla fede non si presenti visibilmente ai sensi stessi per convincerli. (…) Dio, volendo soddisfare con ogni mezzo la nostra ottusità, dopo aver reso udibile la sua Parola, oggi l’ha resa per noi anche visibile, anzi persino toccabile. (..) Ora in altri passi troverai che non solo la Parola di Dio si é fatta per noi visibile e toccabile, ma persino gustabile e annusabile, perché ha certamente cercato per sé un accesso all’anima attraverso tutte le vie dei sensi, in modo che come era entrata per i sensi la morte, così per gli stessi ritornasse anche la vita.
Così dunque la Parola si é fatta carne per noi, che siamo carne, in modo che noi (…) possiamo concovare tutti i sensi a testimonianza dell’udito, affinché tutti i nostri sensi di comune accordo e a una sola voce proclamino: Come abbiamo ascoltato, così abbiamo visto. Tuttavia ora é stato concesso alla vista molto più di quanto mai lo era stato all’udito, dal momento che ora si vede la Parola che é Dio, mentre prima era ritenuta grande cosa ascoltare qualunque parola provenisse da Dio. Inoltre, fratelli, ho visto con certezza che la parola, che proviene da Dio, veniva talvolta ascoltata con noia, ma la Parola, che é Dio, forse che potrà essere vista senza gioia? (..). Se soltanto la devozione illuminasse l’occhio di colui che contempla, che cosa si può vedere di altrettanto piacevole, che cosa si può pensare di tanto salvifico? Che cosa edifica in modo uguale il comportamento, rafforza la speranza, infiamma l’amore? Se dunque si trova tra di noi qualche fratello tediato (…) vada fino a Betlemme, e lì fissi a lungo lo sguardo in ciò, in cui gli angeli desiderano fissare lo sguardo: la Parola di Dio, che il Signore ci ha mostrato. Si raffiguri con lo spirito come giaceva lì nella mangiatoia il Sermone di Dio vivo ed efficace. É assolutamente un sermone sicuro e degno di essere accolto da tutti, il tuo onnipotente Sermone, o Signore, che disceso in un così profondo silenzio dalle dimore regali del Padre nelle mangiatoie degli animali, conversa nel frattempo in modo migliore con noi per mezzo del suo silenzio.
Chi ha orecchie per ascoltare, ascolti che cosa ci dice questo devoto e mistico silenzio della Parola eterna: poiché, se ciò che ho udito non mi inganna, tra le altre cose di cui parla, parla della pace per il popolo dei santi, a cui ha imposto un religioso silenzio la riverenza e l’esempio del suo. Ed é stato veramente molto giusto imporlo. Che cosa infatti dà prestigio alla disciplina del silenzio con un peso così grande e una così grande autorità e che cosa frena con così tanto terrore l’inquieto male delle lingue e le tempeste di parole, come il Sermone di Dio che tace in mezzo agli uomini? (…) O fratelli: se volgiamo con devozione e diligenza l’attenzione a questa Parola, che il Signore oggi ha fatto e mostrato a noi, di quante cose e con quanta facilità possiamo venir ben istruiti da lui. Certamente la Parola é stata condensata in modo tale, che in lui é portata a perfezione ogni parola, che é ordinata alla salvezza (…).
Ma quale meraviglia, se la Parola di Dio ha condensato per noi tutte le sue parole, quando ha voluto che persino se stesso venisse condensato e ridotto in qualche modo, al punto da essersi come ristretto dalla sua incomprensibile immensità alle strettezze dell’utero, e aver concesso di essere contenuto in una mangiatoia lui che contiene il mondo? In cielo questa Parola rende stupefatte le virtù angeliche nella sua temibile altezza, nella mangiatoia nutre i semplici e i tardi. Là é imperscrutabile alle sottilissime intelligenze degli angeli, qui é palpabile anche per gli ottusi sensi degli uomini. Poiché infatti Dio non poteva parlare a noi come ad esseri spirituali, ma come ad esseri carnali, la sua Parola si é fatta carne, affinché ogni carne potesse non solo ascoltare, ma anche vedere ciò che la bocca del Signore ha detto. 11. Aelredo di Rievaulx, Discorso 2 per Natale (1110-1167) «Oggi ci è nato un Salvatore, che è Cristo Signore, nella città di Davide » (Lc 2, 11). Questa città è Betlemme ed è là che dobbiamo accorrere, come fecero i pastori appena udito l’annunzio… « È questo per voi il segno : troverete un bambino, avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia (Lc 2, 12). Ora ecco che vi dico che dovete amarlo : temete il Signore degli angeli, ma amatelo tenero bambino ; temete il Signore della potenza, ma amatelo avvolto in fasce ; temete il Re del cielo, ma amatelo deposto in una mangiatoia…
È poi una cosa straordinaria essere avvolto in fasce, giacere in una mangiatoia ? Non si avvolgono in fasce anche gli altri bambini ? Che segno è questo ? … Molte cose ci sarebbero da dire su questo mistero ; ma…in breve, Betlemme, « casa del pane » è la santa Chiesa, in cui si dispensa il corpo di Cristo, il vero pane. La mangiatoia di Betlemme è l’altare in chiesa. Qui si nutrono le creature di Cristo. Le fasce sono il velo del sacramento. Qui, sotto le specie del pane e del vino, c’è il vero corpo e sangue di Cristo. In questo sacramento noi crediamo che c’è Cristo vero, ma avvolto in fasce ossia invisibile. Non abbiamo nessun segno così grande e evidente della natività di Cristo come il corpo che mangiamo e il sangue che beviamo ogni giorno accostandoci all’altare : ogni giorno vediamo immolarsi colui che una sola volta nacque per noi dalla Vergine Maria. Affrettiamoci dunque, fratelli, a questo presepe del Signore ; ma prima, per quanto ci è possibile, prepariamoci con la sua grazia a questo incontro, perché ogni giorno e in tutta la nostra vita, « con cuore puro, coscienza retta e fede sincera » (2 Cor 6, 6), possiamo cantare insieme agli angeli : « Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama » (Lc 2, 14).
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