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Non Mollare,
smetti di litigare per nulla… e combatti le battaglie che contano! - Don Flavio Maganuco - SmartPray

Autore: Don Flavio Maganuco

XXIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)
Es 17,8-13; Sal 121; 2Tm 3,14-4,2; Lc 18,1-8

NON MOLLARE, smetti di litigare per nulla… e combatti le battaglie che contano!

Ci sono momenti in cui nella vita ci ritroviamo impantanati in discussioni che diventano delle vere e proprie matasse. Non si capisce più da dove sia partito
tutto: chi ha ragione, chi ha torto, chi ha cominciato. E allora si comincia a soppesare ogni parola, ogni gesto, ogni intenzione. Ci si perde nei “perché” e
nei “ma”, e non ci si accorge che più si cerca di districare quella matassa, più si annoda. Capita nelle famiglie, nelle parrocchie, nei gruppi, persino nei nostri pensieri. E spesso ciò che ci guida non è più il desiderio di verità, ma l’orgoglio ferito, o una sete di giustizia che, a ben vedere, ha più il sapore della prevaricazione, o peggio, della vendetta, piuttosto che quello dell’amore.

È proprio qui che la Parola di Dio oggi ci viene incontro. San Paolo lo dice con chiarezza: la Scrittura è utile per insegnare, per correggere, per educare alla giustizia. È come una voce che ci riporta all’essenziale, che non ci fa vacillare, che ci invita a scegliere quali battaglie vale la pena combattere, e soprattutto
come combatterle: non per vincerle, ma per viverle nella pace dell’anima. Perché non tutte le battaglie vanno combattute. E non tutte vanno vinte.
Alcune vanno solo attraversate con fiducia, sapendo che Dio le abita. 👉 Come quando ti rendi conto che discutere ancora con quella persona non
serve, ma amarli in silenzio sì. O quando smetti di pretendere di cambiare tutto, e scegli solo di restare fedele nel piccolo, dove Dio ti chiama.

Eppure, anche quando scegliamo le battaglie giuste, arriva putroppo quel momento in cui sentiamo di non farcela più. Le braccia si stancano, come quelle
di Mosè sul monte. Vorresti solo mollare, sederti e dire: “Basta, non serve a niente”. 👉 Come quando ti impegni per anni nel bene, ma non vedi frutti; o quando ti sforzi di perdonare, ma dentro senti solo stanchezza. Lì capisci che la fede non è una prestazione occasionale, ma una resilienza nell’amore.

È in quei momenti che può accadere qualcosa di veramente straordinario; come nella scena meravigliosa della prima lettura, dove Mosè, stanco, con le braccia che cadono, viene soccorso da questi due fratelli – Aronne e Cur – che gliele sostengono… così anche noi, possiamo trovare sostegno gli uni negli altri. È questo il segno più bello della fraternità: non necessariamente per vincere, ma per restare in piedi insieme; per nutrire la consapevolezza che non siamo soli nel combattimento, che la fede non è una maratona individuale, ma un cammino dove ci si tiene per mano. 👉 Come quando qualcuno ti manda un messaggio proprio nel momento in cui pensavi che nessuno ti capisse. O quando in parrocchia, in famiglia, in un gruppo, scopri che la tua fatica è anche la fatica di altri, e che non sei il solo a portarla; che l’aiuto, che “l’ombra che ti copre”, può venire anche dal volto di
un fratello o di una sorella che ci sostiene nel momento in cui stiamo per cadere. Dio ci custodisce anche attraverso di loro.

Ma come sappiamo bene, c’è un’altra forza, che è più grande di tutte: quella che nasce dall’Eucaristia. È lì che il Signore diventa il nostro custode,
il nostro nutrimento, la nostra ombra, il nostro riposo. È lì che ci insegna la vera giustizia, che non è punire il male, ma rispondere al male con il bene.
È lì che ci educa alla perseveranza, come quella vedova del Vangelo che non smette di bussare, di chiedere, di credere.
La fede non è questione di risultati, ma di perseveranza. E perseverare non è resistere a oltranza, ma rimanere affidati.

Penso a Carlo Acutis, un ragazzo che nella malattia non ha smesso di fidarsi. Non ha chiesto “perché proprio a me?”, ma ha continuato a bussare al cuore
di Dio con la fiducia semplice di un figlio. Diceva: “L’Eucaristia è la mia autostrada per il Cielo”. È questo il segreto della perseveranza: sapere dove si guarda,
a Chi si guarda. “Alzare gli occhi”, non per scappare dalla realtà, ma per ritrovare la direzione.
👉 Come quando smetti di fissarti sul problema e inizi a guardare chi ti ama ancora. O quando, in mezzo alla confusione, torni davanti al Tabernacolo e
riscopri che sì, magari tu stai cercando di custodire qualcosa, o qualcuno… ma se puoi farlo davvero, è solo perché tu, per primo, sei Custodito da Lui.
E allora, con questa consapevolezza, potremo dire “Sì, Signore”; perché, anche quando il male sembra vincere, anche quando le ingiustizie si moltiplicano,
anche quando le nostre debolezze ci umiliano… finché ci sosterremo a vicenda, finché ci lasceremo custodire dalla Parola e nutrire dall’Eucaristia, tu, Signore,
troverai ancora accesa la fiamma della nostra fede.

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