“O Dio, vieni a salvarmi, Signore, vieni presto in mio aiuto” - la nostra invocazione nel tempo di Avvento
Udienza Generale 14 dicembre 1984
Autore: San Giovanni Paolo II
1. Deus in adiutorium meum intende . . .: “O Dio, vieni a salvarmi, Signore, vieni presto in mio aiuto”.
Il tempo di Avvento, che stiamo vivendo, fa salire spontanea alle nostre labbra questa invocazione di salvezza, nella quale rivive l’implorante attesa che attraversa tutto l’Antico Testamento e continua nel Nuovo. Perché noi siamo stati salvati nella speranza, dice san Paolo (cf. Rm 8, 24), e “aspettiamo dalla fede, per virtù dello Spirito, la giustificazione che speriamo” (Gal 5, 5). Anche le parole conclusive dell’intera Sacra Scrittura, che abbiamo ascoltato poc’anzi, sono un grido di invocazione per la venuta e la manifestazione del Signore Gesù Salvatore: “Vieni Signore Gesù!” (Ap 22, 20).
La salvezza! È la grande aspirazione dell’uomo. La Sacra Scrittura ne dà testimonianza ad ogni pagina e invita a scoprire dov’è la salvezza vera per l’uomo, chi è il suo liberatore e redentore.
2. La prima e fondamentale esperienza di salvezza il popolo di Dio l’ebbe nella liberazione dalla schiavitù dell’Egitto. La Bibbia la chiama redenzione, riscatto, liberazione, salvezza. “Io sono il Signore! Vi sottrarrò ai gravami degli Egiziani, vi libererò dalla loro schiavitù e vi redimerò con braccio teso . . . Io vi prenderò come mio popolo e diventerò il vostro Dio” (Es 6, 6-7).
Fu questa la prima forma di redenzione-salvezza sperimentata collettivamente dal popolo di Dio nella storia. E la memoria di questa salvezza sarà il tratto distintivo della fede d’Israele. Per questo Israele l’ha sempre veduta come la garanzia di tutte le promesse di salvezza fatte da Dio al suo popolo, e la prima comunità cristiana l’ha subito messa in rapporto con la persona e l’opera di Cristo. Sarà lui il grande liberatore, il novello Mosè che guida dalla servitù alla libertà dei figli di Dio, dalla morte alla vita, dal peccato alla riconciliazione e alla pienezza della misericordia divina.
Il secondo grande evento di salvezza nella Bibbia è la liberazione dei deportati a Babilonia: i due eventi, della liberazione dall’Egitto e da Babilonia, vengono dai profeti intrecciati, e l’uno è messo in connessione con l’altro. Si tratta di una seconda redenzione o meglio di una continuazione e di un compimento della prima, e l’autore è di nuovo Dio, il Santo d’Israele, il liberatore e Redentore del suo popolo. “Ecco, verranno giorni, dichiara Geremia, nei quali io realizzerò le promesse di bene che ho fatto alla casa d’Israele e alla casa di Giuda” (Ger 33, 14).
L’appellativo di Salvatore e Redentore dato a Dio è dominante nella teologia dei profeti, per i quali l’esperienza della redenzione già ottenuta diventa pegno e garanzia sicura della salvezza futura, che ancora si attende. Per questo tutte le volte che Israele si trova in momenti critici invoca Dio per sperimentarne l’intervento liberatore. Egli sa che fuori di Dio non c’è Salvatore (Is 43, 11; 47, 15; Ger 4, 4; Os 13, 4); per questo ama invocarlo con la grande preghiera davidica: “Ti amo, Signore, mia forza, / Signore, mia roccia, mia fortezza, mio liberatore; / mio Dio, mia rupe in cui trovo riparo; / mio scudo e baluardo, / mia potente salvezza” (Sal 18, 2-3).
3. Nella predicazione profetica l’annuncio-promessa della salvezza e della redenzione vengono a coincidere sempre più chiaramente con una persona: questi sarà il nuovo Davide, il pastore buono del suo popolo. Ecco come ne parla Geremia: “Ecco verranno giorni, dice il Signore, nei quali susciterò a Davide un germoglio giusto, che regnerà da vero re e sarà saggio ed eserciterà il diritto e la giustizia sulla terra. Nei suoi giorni Giuda sarà salvato e Israele starà sicuro nella sua dimora: questo sarà il nome con cui lo chiameranno: Signore-nostra-giustizia” (Ger 23, 5-6). Viene anche prendendo corpo progressivamente l’idea che la redenzione sarà anzitutto un fatto spirituale. Essa toccherà il popolo nel suo intimo, lo purificherà, lo trasformerà nella mente e nel cuore. Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati; io vi purificherò da tutte le vostre sozzure e da tutti i vostri idoli; vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo . . .” (Ez 36, 25-26).
La grande speranza messianica viene così espressa in termini di redenzione, di giustizia, di dono dello Spirito, di purificazione dei cuori, di liberazione dai peccati individuali e sociali.
4. Nel corso dei secoli, sotto la guida di Dio, l’attesa del popolo è venuta dunque precisandosi nella speranza di una liberazione definitiva, capace di attingere le radici profonde dell’essere umano e di introdurlo a una vita nuova fatta di “giustizia e pace nello Spirito Santo” (Rm 14, 17). Nei Salmi, e in tutta la preghiera del popolo di Dio, l’invocazione di questa salvezza diventa esperienza quotidiana. La salvezza viene da Dio; inutile e nocivo nutrire una fiducia presuntuosa nelle forze umane; il Signore stesso è la salvezza; lui libererà il suo popolo da tutti i suoi peccati. Un Salmo, che porta come titolo “canto delle ascensioni”, raccoglie in preziosa sintesi tutta la fede e la speranza della redenzione dell’Antico Testamento ed è diventato l’emblema stesso dell’attesa della redenzione. È il “De profundis”. Nella Chiesa è invalso l’uso di recitarlo per i defunti, ma dobbiamo appropriarcelo anche noi, pellegrini sulla via dell’incontro con Cristo, in questo Avvento dell’Anno Santo della Redenzione: “Dal profondo a te grido, o Signore: / Signore, ascolta la mia voce . . .” (Sal 130).
Che il Signore ascolti questa voce e faccia sentire ad ogni cuore che lo invoca il conforto dell’onnipotenza salvatrice del suo amore.