Omelia al termine dell'anno 1985
Vespri e Te Deum
Autore: San Giovanni Paolo II
1. “Cantate al Signore un canto nuovo, cantate al Signore da tutta fa terra” (Sal 96, 1).
Questo invito gioioso della liturgia rispecchia il clima dell’ottava del Natale. È invito alla gioia. Può esserci per la creatura gioia più grande di questa: che Dio-Creatore si è fatto creatura? Può esserci per l’uomo gioia più grande di questa: che il Figlio di Dio si è fatto uomo? Che il Verbo si è fatto carne? Può esserci per la terra gioia più grande di questa: che Dio incontenibile dall’immensità dell’intero creato, è venuto ad abitare in esso?
Infatti la gioia del Natale è senza limiti. La liturgia cerca di esprimerla; e cercano di esprimerla in diversi modi le tradizioni di tanti popoli, delle nazioni, delle Chiese in tutto il mondo: nel canto, nella parola, nella pittura e nella scultura. E tutti i mezzi di espressione avviano appena alla sorgente di questa gioia; tale fonte infatti è più grande di tutto ciò che l’uomo è capace di manifestare. È totalmente divina, supera totalmente ogni essere; ma, nello stesso tempo, essa è enormemente condiscendente, enormemente vicina ai limiti definitivi della semplicità e di quella povertà, che un giorno risonerà nelle Beatitudini del discorso della montagna e nell’intero contenuto del messaggio evangelico.
Perciò quest’invito alla gioia è rivolto a tutto il creato. Poiché l’intero creato è compenetrato fino in fondo dall’Incarnazione del Verbo, dal “farsi uomo” di Dio-Figlio. L’intero creato sta nel punto del suo definitivo “rinnovamento”. Perciò: “Cantate al Signore un canto nuovo”.
Perciò:
“Gioiscano i cieli, esulti la terra, frema il mare e quanto racchiude; esultino i campi e quanto contengono, si rallegrino gli alberi della foresta” (Sal 96, 11-12).
Il Salmista si serve di tutti i mezzi accessibili del linguaggio poetico, per manifestare la gioia della venuta di Dio, della sua vicinanza.
Con queste espressioni stiamo tutti “davanti al Signore che viene”, anzi, che è già venuto, è già nato sulla terra ed ecco le parole significative:
“viene a giudicare la terra”.
E il Salmista aggiunge.
“Giudicherà il mondo con giustizia e con verità tutte le genti” (Sal 96, 13). Significativo. Molto significativo.
2. Quale è il motivo più profondo della gioia del Salmista? Che cosa maggiormente attende l’uomo dalla nascita di Dio? Che cosa attendono i “popoli” e “il mondo”, cioè l’umanità intera?
Attendono innanzitutto la Verità. La Verità si manifesta nel giudizio. La terra aspetta questo giudizio, in cui non ci sarà nessuna ambiguità, e nello stesso tempo si troverà tutta la pienezza della “comprensione”. La nascita di Dio è il preannunzio di un tale giudizio. Non si può forse dire che Dio, il quale nasce come uomo, desidera in un certo senso “comprendere” in modo sperimentale l’uomo? Su una tale comprensione desidera anche poggiare la giustizia definitiva, della quale il mondo non è capace nelle dimensioni della temporalità.
Così dunque il salmista indica i motivi più profondi della gioia, che deriva dalla presenza di Dio.
3. In questa breve meditazione sul Salmo dell’odierna liturgia è contenuta anche una particolare chiamata per l’ultimo giorno dell’anno del Signore 1985. Siamo cioè chiamati ad accogliere, alla luce del mistero del Natale, questa Verità e questo Giudizio il cui segno è l’Incarnazione del Verbo. Siamo chiamati a fare un esame di coscienza.
La Chiesa che è in Roma ha particolari motivi per fare un tale esame di coscienza alla fine dell’anno che passa. Infatti essa è interpellata dall’eredità dei santi apostoli Pietro e Paolo, più delle altre Chiese del mondo, a essere testimone di questa comunione che sgorga dal mistero del Natale come da una sorgente sovrabbondante. A questo è chiamato il Vescovo di Roma unitamente a tutta la Chiesa della Città Eterna.
Sarebbe difficile fare qui questo “esame di coscienza” in tutta la sua completezza. Ci limiteremo dunque ad alcuni aspetti.
a) Il primo riguarda le vocazioni ecclesiastiche e religiose: consolante è il loro continuo aumento. Per la prima volta dopo molti anni a Roma sono circa cento i giovani, che nel seminario si stanno preparando al sacerdozio. Questo fatto è molto significativo e importante, perché è indice della rinnovata sensibilità con cui si partecipa alla vita della Chiesa. Ciò è frutto degli incontri di preghiera che si stanno moltiplicando tra i romani, soprattutto tra gli studenti, ed è anche conseguenza del miglior coordinamento tra parrocchia e famiglie nell’opera formativa. Tuttavia, nonostante questa crescita, il numero delle vocazioni a Roma, in proporzione alla densità della popolazione, è tuttora insufficiente per l’adeguata cura pastorale di una città così ampia e differenziata, nella prospettiva del terzo millennio. Auspico che in ogni parrocchia sia intensificato l’impegno per le vocazioni.
b) Un secondo aspetto concerne la vita religiosa, in genere, di Roma e della diocesi. Ho avuto la gioia di visitare quest’anno quindici parrocchie: ho trovato le singole comunità ben preparate all’incontro, grazie alla visita antecedente del Vescovo della zona e all’opera diligente dei sacerdoti responsabili. Esprimo qui il mio vivo apprezzamento per tutto il lavoro compiuto dai parroci e dai loro collaboratori, dai religiosi e dalle religiose, dai laici impegnati e qualificati, dai consigli pastorali, dai vari gruppi di vita ecclesiale e formativa. Visitando le parrocchie vedo di persona quanto bene esiste in Roma e nella diocesi: sacerdoti zelanti, ricchi di bontà e di dinamismo pastorale; giovani e adulti, profondamente cristiani, che pregano, frequentano i sacramenti, aiutano il prossimo con carità e dedizione; fanciulli e ragazzi che si preparano alla vita con serietà e letizia nelle varie associazioni. Per tutto questo buon grano che esiste e prospera nella nostra città e diocesi ringraziamo di cuore il Signore. La presenza del “sacro” è indubbiamente in crescita. D’altra parte, non si può non rilevare quanta indifferenza religiosa esista: mi riferisco alla partecipazione alla santa Messa domenicale e festiva, all’approfondimento della cultura religiosa, alla vasta fascia dei “lontani”. L’aspirazione indubbia a una autenticità maggiore nei rapporti con Dio, con Cristo e con la Chiesa deve diventare disponibilità sempre più grande all’accoglienza della verità della rivelazione e della redenzione e alla testimonianza e all’annuncio del Vangelo.
Nonostante gli aspetti negativi ancora esistenti, l’innegabile risveglio dà fiducia che le famiglie cristiane sapranno manifestarsi come tali anche nell’educazione dei figli. Desidero a questo proposito ricordare in particolare ai genitori cattolici le possibilità offerte dall’Intesa recentemente firmata tra la Conferenza episcopale italiana e le competenti autorità del governo circa l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche. È importante che i giovani, mentre ricevono dalla scuola tanti insegnamenti che incidono sulla loro visione dei vari rilevanti aspetti del mondo e dell’uomo, ricevano anche un insegnamento religioso, che permetta loro di comprendere, con crescente maturità e responsabilità, alla luce dei grandi valori, il significato ultimo della vita umana e del proprio destino personale, riflettendo al tempo stesso sulla presenza di Dio nella realtà creata e nella storia dell’uomo. I genitori cattolici devono pertanto considerare come loro grave dovere morale far sì che i loro figli si avvalgano della possibilità dell’insegnamento della religione cattolica, loro offerto dalla scuola italiana. Al di là del diritto garantito dai nuovi accordi, v’è certo un dovere morale, al quale genitori e studenti devono saper rispondere in piena consapevolezza e coerenza con la fede che professano.
c) Infine, un terzo aspetto concerne la situazione sociale della città. Va sviluppandosi in Roma il senso dell’accoglienza, specie verso il crescente numero degli immigrati, molti dei quali giungono poveri e sono senza sostegno e senza assistenza. La loro presenza può procurare problemi e disagi; eppure, sono nostri fratelli, e la fede cristiana si vive e si testimonia completamente mediante l’amore. L’animo religioso del popolo romano si è espresso e si esprime concretamente nelle varie iniziative a favore dei disagiati, degli abbandonati, degli ammalati. Accanto a istituzioni antiche, che continuano a svolgere la loro sempre attuale e preziosa attività caritativa e assistenziale, altre forme sono sorte in corrispondenza alle nuove necessità: esse sono attuate con spirito di dedizione e di servizio da associazioni e movimenti e in modo particolare dalla “Caritas diocesana”, che – nella piena fedeltà all’insegnamento della Chiesa – cerca di dilatare sempre più l’attenzione a favore dei fratelli bisognosi, stimolando e utilizzando il contributo del volontariato. Ma, indubbiamente, molto resta ancora da compiere, date le reali necessità di tante persone emarginate e sole; possono prevalere disinteresse e mancanza di solidarietà, come conseguenza di preoccupanti infiltrazioni di egoismo, di insensibilità, di individualismo. Gli indubbi segni dell’amore sociale e della solidarietà devono diventare sempre più evidenti e impegnare nell’esercizio della carità ogni cristiano di Roma.
d) Anche in questo anno che si chiude non pochi sono stati gli episodi di violenza, che hanno turbato la vita della città. Sangue innocente è stato versato, anche nel corso di questo periodo natalizio, con un eccidio che ha particolarmente scosso l’opinione pubblica e suscitato sgomento in ogni parte del mondo; indicibili sofferenze sono state inflitte a numerose famiglie, senso di angoscia e di insicurezza è stato alimentato nella popolazione. Occorre unire gli sforzi per spezzare la spirale insensata della violenza e per sanare alle radici queste manifestazioni di criminalità e di terrorismo, che deturpano il volto della nostra epoca.
e) Stringe il cuore inoltre sapere che vi sono tante persone senza casa, mentre vi sono case disponibili. Un cristiano non può restare insensibile di fronte al dramma degli sfrattati. È un problema enorme, ma occorre intensificare e moltiplicare gli sforzi. Auspico che l’anno nuovo possa registrare dei passi concreti per porre rimedio anche a questa grande piaga, che contrasta col progresso e col benessere che caratterizzano la società odierna.
5. Ecco, ci avviciniamo all’“ultima ora” (cf. 1 Gv 2, 18) di quest’anno, che la divina Provvidenza ci ha regalato.
Ci avviciniamo a quest’ora nella gioia del Natale, gioia alla quale è chiamata l’umanità intera e tutto il creato.
Guardiamo verso la grotta di Betlemme, inginocchiamoci, insieme con Maria e Giuseppe, con i pastori, con i magi dell’Oriente davanti al Verbo Incarnato, e professiamo insieme con l’evangelista: “Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia” (Gv 1, 16).
Che dopo la grazia dell’anno che sta per terminare, sopraggiunga a noi la grazia dell’anno che viene.
“Cantiamo al Signore un canto nuovo”!