Omelia al termine dell'anno 1987
Vespri e Te Deum
Autore: San Giovanni Paolo II
1. “Te Deum laudamus”.
Nell’ultimo giorno dell’anno 1987 veniamo – come di consueto – a questo tempio romano per il “Te Deum”.
“Te Deum laudamus”. Canto di venerazione. “Opus laudis”. L’uomo è chiamato a questo “opus laudis”. Insieme con tutto il creato egli esiste per la gloria del Creatore. E a nome di tutte le altre creature rende gloria a colui dal quale “tutto” proviene, e al quale “tutto” ritorna.
L’uomo, dunque, prende a prestito la voce delle creature – come pure lo fa la liturgia odierna – e, in pari tempo, offre ad esse la voce del proprio cuore.
“Cantate al Signore un canto nuovo, / cantate al Signore da tutta la terra. / Cantate al Signore, benedite il suo nome, / annunziate di giorno in giorno la sua salvezza . . .
Gioiscano i cieli, esulti la terra, / frema il mare e quanto racchiude; / esultino i campi e quanto contengono, / si rallegrino gli alberi della foresta” (Sal 96, 1-2.11-12).
L’uomo parla a nome di tutte le creature. E in pari tempo è come se lasciasse loro la voce: perché esse parlino, parlino con tutta la loro ricchezza – la ricchezza del macro e microcosmo – di tutto ciò che dovrebbe dire l’uomo, al quale, in un certo senso, mancano le parole.
Occorre che, in questo ultimo giorno dell’anno, l’uomo senta in modo particolarmente profondo tutto ciò che è indicibile. Occorre che si metta dinanzi a colui che è sopra ogni cosa, che è indicibile.
“Te Deum laudamus. Opus laudis”.
2. “Te Dominum confitemur”.
L’uomo in pari tempo professa questo Dio, perché egli stesso gli ha dato di conoscerlo. Gli ha rivelato se stesso.
I versetti del “Te Deum” sono in pari tempo una professione della verità su Dio: sul Padre, sul Figlio e sullo Spirito Santo così come l’uomo conosce questa verità grazie all’autorivelazione di Dio in Gesù Cristo.
Nell’ultimo giorno dell’anno solare qui conveniamo quindi per professare questo Dio che nell’uomo si è aperto alla sua creazione. Questo Dio che, per mezzo di Gesù Cristo, è entrato nella storia dell’uomo portando al punto più alto la sua vicinanza, la sua presenza. Il mistero dell’Emmanuele.
Facciamo questa professione prima di tutto mediante la nostra partecipazione all’Eucaristia. E la facciamo nel periodo in cui tutta la liturgia è intensamente “piena” della vicinanza di Dio e della presenza dell’Emmanuele.
“E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi . . .
A quanti l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio” (Gv 1, 14.12).
I versetti dell’inno risuonano con l’intero contenuto del mistero dell’incarnazione. L’Eucaristia ci introduce nella sua stessa realtà mediante la potenza del segno sacramentale.
Così dunque, avendo negli occhi e nel cuore tale realtà divina, desideriamo rivolgere lo sguardo ancora una volta su questo anno che sta per terminare – sul tempo che passa – dal punto di vista di colui da cui “tutto”, e a cui “tutto”.
Non danno forse un giusto metro a tale nostro sguardo le parole dell’evangelista:
“Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia” (Gv 1, 16)?
Dio è tutto santità. Ed è pure tutto grazia, cioè dono.
Non c’è in lui né “prima” né “dopo”. Infatti in lui non c’è tempo. Egli è eternità e pienezza.
Invece il mondo è sottomesso al mutamento, e l’uomo insieme col mondo.
Dio, che si è fatto uomo, ha accolto nella sua missione salvifica il metro del tempo. Questo è il metro dell’incarnazione. Il Verbo che si fece carne è la divina pienezza della santità e della grazia, ed insieme accoglie in sé il ritmo della storia dell’uomo. Il ritmo della storia. In lui questa storia diventa la storia della salvezza.
La sua definizione si trova proprio in queste parole del Vangelo di Giovanni: “Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia” (Gv 1, 16).
4. Tutti e ciascuno abbiamo ricevuto.
Come dunque fluirono i giorni di questo anno, che passa in questo alveo dell’economia salvifica dell’incarnazione? Grazia su grazia . . . giorno per giorno . . .
Occorre che ognuno si ponga tale domanda. Ciascuno e ciascuna. Ogni anno scrive un nuovo capitolo della storia delle anime umane che sono velate davanti agli occhi del mondo, ma conosciute soltanto da Dio.
E perciò ogni capitolo di questa storia si inscrive, in pari tempo, nel libro divino della vita.
E contemporaneamente esso vive nella consapevolezza di ciascuno e di ciascuna. Ognuno quindi deve porsi la domanda sulla grazia ricevuta dalla sua pienezza, dalla pienezza del mistero dell’incarnazione, dalla generosità dell’Emmanuele – la domanda sulla grazia ricevuta “giorno per giorno”: grazia su grazia.
È il ritmo nascosto della nostra vita in Dio.
5. È, in pari tempo, noi “tutti”: l’intera città di Roma, tutta la Chiesa che è in Roma come eredità specifica degli apostoli.
La Chiesa alla quale è legato il “ministero petrino”: il servizio di Pietro in favore della universalità, in favore dell’unità. Il ministero della carità.
La Chiesa che è in Roma deve sempre misurare se stessa col metro di questa comunità universale, in mezzo alla quale l’ha posta il Signore, inviando qui i suoi apostoli: prima Pietro e poi Paolo . . .
Dunque questa Chiesa romana deve guardare a se stessa non soltanto con i propri occhi, ma in pari tempo con gli occhi di tutti coloro che la guardano. E ne hanno diritto. Hanno il diritto di guardare e hanno il diritto di esigere.
La Chiesa che è in Roma deve esigere molto da se stessa. “Il ministero petrino” non è soltanto un privilegio. È soprattutto un servizio: “servus servorum”.
6. Che cosa vuoi dire al Signore, in questo ultimo giorno dell’Anno 1987, tu, Chiesa che sei in Roma? Tu, Chiesa degli apostoli, dei martiri, dei santi . . . Chiesa dei peccatori? . . .
Chiesa di Roma, rendi grazie per la presenza divina così ricca di doni, in tutte le tue parrocchie.
Sì, con voi, cari fratelli e sorelle, intendo esprimere profonda riconoscenza al Signore perché nelle comunità da me visitate durante quest’anno ho potuto constatare il grande fervore spirituale, che le anima.
Ricordo con profondo compiacimento i gruppi di catechisti, le associazioni, i movimenti laicali di apostolato e di spiritualità, come pure le organizzazioni per le opere caritative e le attività pastorali in favore dei malati, degli anziani, degli emarginati e degli stranieri in difficoltà.
In ogni parrocchia ho visto con gioia la collaborazione di sacerdoti e di laici cordialmente intenti ad offrire a tutti uno spazio, dove la fede sia celebrata con decoro e la carità praticata con dedizione.
Mentre elevi il canto di lode, o Chiesa di Roma, supplica il Padre onnipotente, affinché la sua grazia porti a buon fine il Sinodo diocesano, il quale, con la solenne veglia di Pentecoste, è entrato nella sua fase preparatoria.
È un impegno grande e una nobile fatica, da affidare al Signore, perché tutti i credenti di Roma siano partecipi a questo avvenimento ecclesiale di fondamentale importanza e contribuiscano alla comune crescita nella fede e nel servizio ai fratelli.
Chiesa di Roma, benedici il Signore per l’intensa esperienza di comunione ecclesiale realizzata nell’assemblea del Sinodo dei vescovi. Essa ha testimoniato in modo egregio che il riflettere e il lavorare secondo il principio della fede ci fanno pervenire sempre all’unità di “un cuor solo e un’anima sola” (At 4, 32).
Chiesa di Roma, benedici il Datore di ogni bene, il quale ha concesso a te e alla Chiesa di Costantinopoli il prezioso dono di approfondire, con la visita del patriarca ecumenico Dimitrios I, il dialogo della carità, consapevole e creativa, che fa procedere fraternamente verso l’unità.
In quest’anno particolarmente dedicato a Maria, invocane sul tuo cammino la materna protezione, affinché la tua fede e il tuo amore siano corroborati e ti siano donate una viva pietà e una serena operosità.
7. Concludiamo l’anno. Dalla profondità del mistero dell’incarnazione non cessiamo di vedere fino in fondo le prospettive del tempo umano, che continuamente passa e sempre si rinnova – e continuamente aspetta il suo compimento al cospetto di Dio. Come proclama il Salmo della liturgia odierna:
“Davanti al Signore che viene, / perché viene a giudicare la terra. / Giudicherà il mondo con giustizia / e con verità tutte le Denti” (Sal 96, 13).
“Iudex crederis esse venturus” . . . cantiamo nell’inno “Te Deum” E poi:
“Te ergo quaesumus, tuis famulis subveni, quos praetioso sanguine redemisti”.
La definitiva conseguenza del mistero dell’incarnazione. La definitiva parola dell’Emmanuele: il sangue con cui ci ha redento. Il sangue umano che ha ricevuto da sua Madre vergine “facendosi carne”.
La Chiesa degli apostoli, dei martiri, dei santi, la Chiesa dei peccatori… La Chiesa di Roma dalle antiche tradizioni canti al proprio Signore! Dalla sua pienezza attingiamo sempre “grazia su grazia”.
E la grazia è più potente del peccato:
“Laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia” (Rm 5, 20).
8. Cari fratelli e sorelle!
Attraverso la fragilità di tutto ciò che è umano, di tutto ciò che passa andiamo verso Colui che è la Pienezza che non passa, che è Amore!