Omelia al termine dell'anno 1988
Vespri e Te Deum
Autore: San Giovanni Paolo II
1. “In principio era il Verbo” (Gv 1, 1).
Siamo riuniti nell’ultimo giorno dell’anno 1988. “Questa è l’ultima ora”, leggiamo nella lettera di san Giovanni apostolo (1 Gv 2, 18). Sì. L’ultima ora di questo anno si avvicina a noi, e noi ci avviciniamo ad essa. Tale è la legge dell’esistenza umana in terra. Tutto il creato è sottomesso alla caducità. Il tempo è una misura del nostro passare nel mondo.
E proprio in questo momento particolare del nostro passare, quando l’anno solare 1988 cederà il posto al successivo, proprio in questo momento la liturgia ci proclama il mistero del principio: “In principio era il Verbo”.
2. Ma non si tratta di un principio nel tempo.
Il Verbo è eterno. Il Verbo esiste al di fuori del tempo e al di sopra del tempo. Il Verbo è Dio, è Figlio della stessa sostanza del Padre.
“II Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio” (Gv 1, 1). Era ed è. Così come Dio è colui che è. Il Verbo è Dio: è Verbo del Padre.
Il prologo del Vangelo di Giovanni non proclama soltanto il principio del tempo. Parla di questo principio eterno, che il mondo ebbe in Dio per mezzo del Verbo.
“Egli (il Verbo) era in principio presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste” (Gv 1, 2-3).
Sì. Il Verbo consostanziale al Padre è, nello stesso tempo, principio di tutto il creato. In lui, Dio trino ed unico – il Padre, il Figlio e lo Spirito – ha dato inizio a tutto ciò che esiste al di fuori di lui. A tutto il creato. “I mondi furono formati dalla parola di Dio” (Eb 11, 3).
3. Così dunque oggi alla fine dell’anno che termina, la Chiesa guarda verso il principio:
– verso questo principio che è in Dio, il Dio che è, lui stesso, senza principio e senza fine. Dio infatti è eternità. Così come è onnipotenza. Come è amore.
La Chiesa guarda pure
– verso questo principio che è da Dio. Guarda verso il mistero della creazione.
Anche il pensare dell’uomo, lo sforzo conoscitivo di tante scienze è indirizzato verso il principio. Lo cerca nelle stesse creature. Nei processi cosmici. Nelle leggi della materia, nel suo dinamismo.
In questa infaticabile ricerca l’intelletto umano – restando nei limiti dell’empirico – si ferma, per così dire, davanti alla soglia di questo principio che è da Dio. E, più ancora, di quello che è eternamente in Dio.
Il prologo di Giovanni rimane una costante sfida. Un costante invito al pensiero umano.
Dio, nella sua parola, invita l’uomo a varcare la soglia di tutto ciò che è visibile – di tutto ciò che è creato – verso il mistero. Verso ciò che è non-creato, infinito, eterno.
4. Nell’ottava del Natale viviamo in modo particolarmente intenso l’invito di Dio.
Ecco, “il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1, 14).
Ciò che è divino si è unito a ciò che è umano. L’invisibile è diventato visibile. L’infinito ha assunto la forma umana.
L’ha assunta non soltanto “esternamente”. L’umanità è stata accolta nell’unità della persona divina del Verbo.
Veramente! “Ineffabile mysterium”!
“Creator generis humani, animatum corpus sumens, de Virgine nasci dignatus est: et procedens homo sine semine, largitus est nobis suam Deitatem”.
“O admirabile commercium”!
Così prega la Chiesa nei vespri di oggi. Nel giorno della fine dell’anno guarda verso l’anno nuovo: verso il nuovo principio.
La Chiesa può guardare così, può pensare così, perché attinge al mistero di Natale.
Il Cristo nato è il nuovo principio.
In lui si manifesta il disegno d’amore della Trinità: “Ecco, io faccio nuove tutte le cose” (“Ecce nova facio omnia”) (Ap 21, 5).
5. Alla luce del Natale la Chiesa che è in Roma, la Chiesa apostolica che ha il suo principio in Gesù Cristo per mezzo dei santi apostoli Pietro e Paolo, guarda se stessa, pensa alla sua missione particolare.
La Chiesa di Roma guarda la città nella quale vive condividendone le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce, e partecipando nel suo modo proprio, alla sua crescita e alla sua promozione umana e spirituale, sociale e terrena, morale e religiosa.
Guardiamo insieme questa città per conoscerla sempre meglio ed amarla ogni giorno di più: questa città che il mondo chiama eterna per la sua storia incomparabile, ma talvolta senza rendersi conto del significato anche religioso del termine.
La Roma di oggi, sia come città, sia anche come centro della cristianità, fa parte del mistero dell’incarnazione. In essa il divino e l’umano si incontrano e si mescolano: il divino con la sua chiamata eterna, l’umano con le sue grandezze e le sue miserie. Per questo la metropoli romana rischia di trovarsi sopraffatta da problemi sempre più gravi e crescenti; rischia di perdere o compromettere quel volto cristiano che la fa risplendere nel mondo.
6. Per corrispondere al suo compito e alla sua missione, questa Chiesa da oltre due anni sta preparando il Sinodo pastorale diocesano, che vuole essere la risposta della diocesi di Roma alle consegne del Vaticano II mediante un servizio di rinnovamento pastorale, spirituale e religioso che essa vuole rendere alla città, “contribuendo a rinnovare la stessa società civile di oggi”.
Tutta la vita e l’attività della diocesi di Roma, in quest’anno che sta per chiudersi, hanno avuto come scopo prioritario la preparazione di questo evento di Chiesa infondendo spirito e prospettiva sinodale ad ogni aspetto dell’azione pastorale, nelle parrocchie, come in ogni altro ambito dell’attività umana: nella pastorale familiare, nel mondo della scuola, della cultura e del lavoro, nel vasto campo della gioventù, nei molteplici campi dove la testimonianza cristiana della carità e solidarietà appare sempre più urgente.
7. La diocesi, attraverso la Caritas e attraverso una ampia rete di altre iniziative promosse dalla comunità cristiana di Roma, ha cercato di alleviare le sofferenze umane di tanti fratelli che l’egoismo di una società opulenta emargina e rifiuta. La città, quest’anno, ha sperimentato, in talune circostanze, comportamenti – non certo cristiani – di paura e di rifiuto nei confronti di immigrati di colore, di profughi, di nomadi, di senza casa, di giovani siero-positivi o malati di AIDS. La Caritas diocesana, in collaborazione anche con le autorità civili, ha potuto rendersi promotrice di iniziative concrete di solidarietà, mettendosi dalla parte dei più deboli, con aiuti immediati e concreti, ma soprattutto favorendo uno spirito di solidarietà e di rispetto della vita e della dignità di ogni uomo.
8. Oggi, nell’ultimo giorno dell’anno del Signore 1988, ci troviamo insieme in questa chiesa, che prende il suo nome da Gesù: la Chiesa del Gesù. E deve le sue origini alla congregazione legata in modo particolare a questo nome di Gesù.
Saluto i padri gesuiti che officiano in questa chiesa e gli alunni dello Scolasticato internazionale del Gesù. Saluto in particolare il preposito generale, padre Peter-Hans Kolvenbach. Unitamente al Cardinale vicario Ugo Poletti, al Cardinale titolare Eduardo Martinez e ai Vescovi ausiliari di Roma, saluto i presenti a questa celebrazione liturgica: i loro familiari e i loro parenti. Saluto le autorità civili e tutti i romani, augurando per l’anno nuovo ogni bene nel Signore.
9. Gesù! Per prima ha ascoltato questo nome la Vergine a Nazaret. Così il bambino è stato chiamato dall’angelo durante l’annunciazione, prima di essere concepito.
E lei, Maria, è stata la prima a pronunciare questo nome. Tutti gli altri hanno imparato questo nome da lei, dalla Madre. E continuano ad impararlo. Quante volte è stato pronunciato questo nome nel corso di duemila anni!
Roma l’ha pronunciato e lo pronuncia dai tempi dei cesari.
Noi siamo riuniti qui, oggi, in questo nome, per cantare “Te Deum laudamus”, e chiedere prima il perdono di tutte le nostre colpe commesse nel corso dell’anno che sta per finire.
Gesù: il Verbo che si è fatto carne. Il Figlio dell’uomo.
E nello stesso tempo questo Verbo era in principio presso Dio – ed era Dio – e tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste.
“In lui era la vita” (Gv 1, 4).
In lui è la vita.
Questa vita era – ed è – la luce degli uomini (cf. Gv 1,4) e “la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta” (Ibid. 1, 5).
Veramente, quale “admirabile commercium”!