Omelia al termine dell'anno 1990
Vespri e Te Deum
Autore: San Giovanni Paolo II
“Dio nessuno l’ha mai visto. / Proprio il Figlio unigenito, / che è nel seno del Padre, / lui lo ha rivelato” (Gv 1, 18).
1. Con queste parole termina il Prologo del Vangelo di Giovanni, che leggiamo nell’odierna liturgia. È la liturgia dell’ultima ora dell’anno del Signore 1990. Quest’“ora” porta in sé come una carica particolare. Essa diventa, in un certo qual modo, una sintesi di tutte le ore dell’anno che sta per tramontare. Si direbbe che in quest’ora si percepisca meglio il trascorrere del tempo in tutto il creato. Ma passa anche l’uomo, sottomesso pure lui alle leggi del tempo.
Questa caducità dell’uomo e del mondo è permeata dalla luce di Dio che è al di là del tempo e del suo trascorrere. Egli è l’Eternità; è l’Esistenza stessa. Dio, che non può essere contenuto nel mondo visibile, è entrato nella storia del creato mediante il suo Eterno Verbo. Il Verbo che “era presso Dio”, il Verbo, per mezzo del quale “tutto è stato fatto”, si è incarnato. Il Figlio di Dio, consostanziale al Padre, testimone “oculare” del santissimo mistero, “ha rivelato” (cf. Gv 1, 1-2. 14. 18) il Dio invisibile.
2. Questa rivelazione, ossia la buona novella, ha dimensioni universali. “Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in un certo modo a ogni uomo. Ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con mente d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo. Nascendo da Maria Vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi, fuorché nel peccato” (Gaudium et spes, 22). Con queste parole il Concilio Vaticano II ha espresso la verità sul mistero dell’incarnazione.
L’ultima ora dell’anno che sta per terminare è liturgicamente unita a questa verità. Infatti Gesù Cristo è l’Alfa e l’Omega, l’inizio e la fine della storia dell’uomo. Egli è il centro e l’apice della storia della salvezza.
Nell’ultima ora dell’anno civile la Chiesa che è in Roma, la Chiesa apostolica, desidera riflettere sul modo in cui si compenetrano la storia di questa città, capitale d’Italia, e la storia della salvezza, il cui centro e vertice si trovano in Gesù Cristo. Questa riflessione la facciamo, com’è tradizione, in questa Chiesa del Gesù, che conserva le spoglie di sant’Ignazio di Loyola, della cui nascita (1491) ci apprestiamo a celebrare il 500° anniversario.
Per tale circostanza la Compagnia di Gesù ha indetto un Anno Ignaziano, alla cui celebrazione ho voluto unirmi, indirizzando al preposito generale una Lettera, nella quale ho richiamato i punti salienti della spiritualità del grande Santo e ho invitato i suoi figli a emularne gli esempi, per dare nuova incisività apostolica alla loro azione nel mondo di oggi.
Saluto il padre Peter-Hans Kolvenbach, che con i suoi confratelli ci accoglie stasera in questo tempio; saluto pure le autorità ecclesiastiche e civili, che hanno voluto prender parte a questo incontro di riflessione e di preghiera.
3. L’anno che si chiude è stato un periodo di intensa riflessione della Chiesa in Roma, a 25 anni dalla conclusione del Concilio Vaticano II, sulla fondamentale realtà dell’incarnazione. Intento primario del Sinodo romano, infatti, è di rileggere l’insegnamento del Concilio nella sua autentica profondità e stupefacente attualità. Desideriamo non soltanto assimilare questo insegnamento, ma anche metterlo in atto, cioè farne il contenuto della vita della nostra comunità e di tutti coloro che in essa riconoscono il mistero di Dio. “Il Figlio di Dio con l’incarnazione si è unito” a ogni uomo e a ogni donna che in questa comunità romana si riconoscono nel patrimonio apostolico dei due corifei della fede e della Chiesa: i santi Pietro e Paolo.
4. Quest’anno è stato segnato da un intenso lavoro di preparazione delle assemblee presinodali di prefettura con il coinvolgimento responsabile e qualificato di tutte le espressioni della vita ecclesiale: dei Centri pastorali del Vicariato, dell’Apostolato dei laici, delle Famiglie religiose, delle Associazioni e dei Movimenti laicali, i quali hanno manifestato un crescente impegno nella ricerca di una effettiva comunione.
L’obiettivo strategico di “rifare il tessuto cristiano della comunità cristiana”, come condizione per “rifare il tessuto cristiano della società” (Christifideles laici, 34), è stato perseguito con la scelta pastorale della catechesi degli adulti, come via privilegiata della nuova evangelizzazione.
Ci si è impegnati nella formazione di animatori-catechisti (presbiteri, religiosi e laici), capaci di accompagnare il cammino di fede degli adulti che, accostatisi alla comunità cristiana con le richieste più diverse, intravedono possibilità nuove di vivere la sequela di Gesù Cristo. Il declino dei valori della dignità e del rispetto di ogni persona umana ha causato in questi ultimi anni, per così dire, il degrado della qualità della vita comunitaria, incoraggiando le espressioni più vistose di disuguaglianza economica e sociale.
Non sono i beni materiali che fanno difetto nella città. Debole e insufficiente è, invece, l’attenzione posta alla difesa dei più deboli, nei quali dovrebbero riconoscersi tutti coloro che sono mossi da preoccupazioni di impegno civile e dall’etica della collaborazione e dell’accoglienza.
5. Di fronte a queste situazioni difficili, la città ha reagito facendo affidamento su slanci generosi. Le iniziative di volontariato, animate e coordinate dalla Caritas diocesana, svolgono una preziosa opera di assistenza a difesa delle persone più bisognose.
Numerosi sono i campi in cui più impellente e significativa è l’opera del volontariato, dove cioè più diffusa è l’indifferenza verso le speranze e le sofferenze dei fratelli colpiti dal disagio.
Si pensi alle popolazioni recentemente immigrate, approdate alla nostra città, cui il card. vicario recentemente ha rivolto un messaggio di solidarietà, spronando la comunità cristiana a “farsi prossimo” nella riscoperta dell’altro per aiutarlo e integrarlo, anziché per respingerlo a vivere una vita di stenti e di privazioni.
6. Questi brevi cenni sulla situazione della nostra città ci mostrano come la Chiesa sia impegnata e contribuisca per la soluzione dei problemi che toccano gli uomini. Ad essa, infatti, nulla di ciò che riguarda l’uomo è estraneo. Essa tutto vede e considera alla luce di colui che è il Signore della storia.
Dinanzi a lui i credenti si rendono pure consapevoli che “il cristiano certamente è assillato dalla necessità e dal dovere di combattere contro il male attraverso molte tribolazioni, e di subire la morte” (Gaudium et spes, 22). Sì! Il mistero di Cristo ci permette di rinnovarci costantemente nel bene; di superare incessantemente il confine del peccato e di ricominciare di nuovo. Ci consente, infine, di superare anche quest’ultima frontiera dell’esistenza umana che è la morte terrena. Lo facciamo pensando a tutti i membri della nostra comunità romana che ci hanno lasciato in quest’anno. Lo facciamo guardando con amore al mistero della notte di Betlemme, che è l’inizio della Pasqua di Cristo e della nostra Pasqua in Cristo.
Colui che, come testimone fedele di Dio, ci ha rivelato il Padre, è la Via. In lui riceviamo non soltanto la luce della buona novella della salvezza, ma diventiamo partecipi di tale salvezza.
In lui, in Gesù Cristo, superiamo i limiti della nostra esistenza terrena, sottomessa al fluire del tempo, per ritrovare la pienezza di vita in Dio.
In lui, in Cristo, ogni fine umana diventa un nuovo Inizio. Amen!