Omelia al termine dell'anno 1991
Vespri e Te Deum
Autore: San Giovanni Paolo II
1. “Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto” (Gv 1, 11).
Nella celebrazione liturgica della notte di Natale abbiamo ascoltato ciò che scrive l’Evangelista Luca: “Si compirono per Maria i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo” (Lc 2,6-7).
Ciò che Luca racconta, il Prologo del Vangelo di Giovanni, che poco fa abbiamo ascoltato, lo esprime risalendo al principio. Il principio di ogni cosa è in Dio, è nel Verbo. Egli è eterno come il Padre. Il Verbo: “Tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste” (Gv 1,3).
L’evento della notte di Betlemme l’evangelista lo presenta in relazione a questo principio. Dice infatti: “Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14). Ed è successo così che il Verbo “era nel mondo” (Gv 1,10) – il Verbo per mezzo del quale “tutto è stato fatto”, per mezzo del quale è stato fatto il mondo. “Eppure il mondo non lo riconobbe. Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto”.
2. In tal modo l’Evangelista presenta non soltanto gli avvenimenti della notte di Betlemme, ma l’intera missione messianica di Cristo – sia quella che Egli compì vivendo sulla terra, sia quella che continua a compiere mediante l’azione della Chiesa.
Tuttavia, subito dopo la constatazione del rifiuto opposto a Cristo della sua gente, il Discepolo prediletto passa a parlare di tutti coloro che invece “l’hanno accolto” (cf. Gv 1, 12). Ciò vale prima di tutto per Maria e Giuseppe nella notte di Betlemme, ma vale pure – sempre restando nella notte santa – per i pastori, i quali hanno seguito l’annuncio degli Angeli e si sono recati dal Neonato con i doni. Vale per i Magi arrivati dall’Oriente, seguendo la luce di una insolita stella. E che dire poi del vecchio Simeone e della profetessa Anna nel tempio di Gerusalemme, e delle altre persone di cui i Vangeli non parlano direttamente?
Il mistero del Natale, vissuto dalla Chiesa nel corso di questa Ottava, delinea già entrambe le verità: la verità di quanti non hanno accolto il Verbo Incarnato e di quelli che l’hanno accolto. A questi egli ha dato il potere di diventare – a sua somiglianza – figli di Dio.
3. Al sopraggiungere dell’“ultima ora” (cf. 1 Gv 2, 18) dell’anno solare, la Chiesa medita – nel quadro dell’Ottava del Natale – questo duplice mistero: l’accoglimento e il rifiuto del Verbo che si è fatto carne. A quasi duemila anni dalla nascita del Redentore, questa meditazione si estende anche agli avvenimenti che vanno al di là di ciò che è accaduto a Betlemme. Non si tratta soltanto di singole persone, o eventualmente di ambienti indicati espressamente nel Vangelo. Si tratta degli uomini fino ai confini della terra – degli uomini e dei popoli – ovunque è giunta la Buona Novella circa l’Emmanuele, nato dalla Vergine Maria, circa il Verbo Incarnato, che essendo la luce vera, illumina ogni uomo che viene nel mondo (cf. Gv 1, 9). La Chiesa apostolica, che è a Roma, approfondisce con particolare attenzione ed emozione tale aspetto – essenziale per la sua missione – dell’accoglimento o del rifiuto del Verbo e della Luce, che è stata data all’umanità da Dio – del Verbo e della Luce, che è Cristo.
4. Questa fondamentale sollecitudine, che la Chiesa ha ereditato dagli Apostoli – e la Chiesa romana in modo particolare dai Santi Pietro e Paolo -, costituisce il suo compito permanente ed incessante. Esso ha trovato una singolare intensità nei lavori preparatori del Sinodo che nell’anno che volge alla fine, hanno cercato di coinvolgere, nel modo più largo possibile, l’intero Popolo di Dio che vive nella città Eterna.
5. Momento forte di tale coinvolgimento sono state le Assemblee presinodali di Prefettura, svoltesi nella prima parte dell’anno. Esse hanno rappresentato l’incarnarsi vivo del Sinodo nella multiforme realtà delle parrocchie romane che volgendo, accanto ai sacerdoti, ai religiosi e alle religiose, un numero rilevante di laici, che operano nei vari ambiti della pastorale. Non ho mancato di offrire anch’io il mio contributo a tale impegno in occasione delle visite compiute nel corso dell’anno a varie parrocchie della diocesi. I frutti della comune riflessione, già vagliati e riordinati in sede diocesana, forniranno elementi e stimoli preziosi per la celebrazione delle Assemblee plenarie che concluderanno il Sinodo.
Mentre la partecipazione responsabile delle varie componenti ecclesiali a livello di parrocchia e di Prefettura deve continuare nelle forme opportune e divenire una dimensione stabile della vita diocesana, nella seconda parte del presente anno l’attenzione della Chiesa di Roma si è già rivolta a studiare le modalità per rendere partecipi del cammino sinodale tutte le realtà vive di questa grande Città nei termini che convengono a ciascuna di esse. Così la prima parte del nuovo anno sarà caratterizzata dal “confronto” della Chiesa con la Città, in spirito di solidale simpatia e di apertura missionaria verso tutta l’umanità che vive in Roma, verso i suoi valori e i suoi problemi, talvolta drammatici.
6. Contestualmente saranno interessate ai lavori del Sinodo le Chiese e comunità cristiane viventi in Roma e non ancora in piena comunione con noi, la comunità ebraica e i rappresentanti delle altre religioni, in vista di un dialogo costruttivo e fecondo.
Particolarmente prezioso, per i fini di comunione e missione che il Sinodo si propone, sarà inoltre l’inserimento sempre più concreto nella riflessione sinodale, ma anche nella pastorale diocesana, delle molteplici espressioni della Chiesa cattolica che vivono in Roma e a partire da Roma svolgono il loro servizio a favore della Chiesa sparsa in ogni parte del mondo.
Così questa realtà singolare, che è la Chiesa di Roma, si appresta a dare un contributo, che con la grazia del Signore desideriamo il più sostanzioso e generoso possibile, alla vita e al futuro di una Città come la nostra, anch’essa per tanti versi singolare e unica. Mentre continua e si sforza di intensificare il proprio servizio ai troppi poveri e sofferenti che costituiscono una domanda e una sfida, rivolta alla coscienza dei pubblici responsabili e di ogni cittadino, la Chiesa di Roma intende aiutare la Città a comprendere e a vivere in profondità, con coraggio, generosità e lungimiranza, il ruolo che anche oggi le assegna la Provvidenza di Dio, per il bene della Nazione italiana, dell’Europa e di tutta la famiglia degli uomini.
Nel contesto di questa riconfermata disponibilità a collaborare con le varie Istanze dei pubblici poteri, sono lieto di salutare le Autorità civili e politiche presenti a questa celebrazione di fine d’anno. Rivolgo, in particolare, un saluto deferente al Presidente della Repubblica Italiana, al quale sono grato per la partecipazione a questo momento di preghiera per ringraziare il Signore dei benefici concessi nel corso dell’anno. Il mio saluto si estende al Sindaco della Città e ai membri della Giunta capitolina. Nel porgere ad essi, come anche a tutti i presenti e a tutti i romani, l’augurio di un nuovo anno sereno e prospero, invoco sul loro lavoro il costante aiuto di Dio per un impegno incisivo ed efficace a servizio della Città e dell’intera Nazione.
7. Ho la gioia di avere al mio fianco in questa Concelebrazione il Cardinale Camillo Ruini, Vicario per la Città di Roma, che conclude il suo primo anno d’intensa attività pastorale nell’Urbe. Il pensiero in questo momento va anche con riconoscenza al suo predecessore, il Cardinale Ugo Poletti, che per tanti anni s’è prodigato senza risparmio in un servizio pastorale di esemplare dedizione. Sono accanto a me anche i Vescovi ausiliari, che spendono generosamente le loro energie a vantaggio di questa privilegiata porzione del gregge di Cristo, di cui vedo qui raccolta una significativa rappresentanza. Un cordiale saluto rivolgo anche al Signor Cardinale Martìnez Somalo, titolare di questo tempio, e al P. Peter-Hans Kolvenbach che, unitamente ai confratelli, ci accoglie in questa Chiesa. Al termine di questo anno del Signore 1991, invito tutti ad unirsi a me in un concorde sentimento di gratitudine, di pentimento di implorazione a Dio, onnipotente e misericordioso, datore di ogni bene. Lo facciamo con le parole del Salmo:
“Gioiscano i cieli, esulti la terra . . .
davanti al Signore che viene,
perché viene a giudicare la terra.
Giudicherà il mondo con giustizia
e con verità tutte le genti” (Sal 96, 11.13).
Il Salmo esprime la gioia delle creature per il fatto che il Signore si è fatto vicino: mediante la sua nascita terrena, nel corpo umano egli si è fatto vicino non soltanto all’uomo, ma all’intero creato.
“Viene a giudicare la terra”, a giudicarla “con giustizia e con verità”. Questo è ciò che il Dio eterno è infinitamente santo annunzia nell’eterno Verbo. Il Verbo Incarnato ha rivelato questa verità al mondo nella “pienezza dei tempi”.
“Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in Lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui” (Gv 3, 16-17).
Nell’ultima sera dell’anno ormai al suo termine, alla soglia dell’Anno nuovo che inizierà a mezzanotte, Roma intera preghi con l’inno “Te Deum”, manifesti a “Colui che è, che era e che viene” (Ap 1-4) il pentimento e il ringraziamento. Nel nome di Cristo Gesù, suo Figlio. Amen.