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Omelia al termine dell'anno 1996

Vespri e Te Deum

Autore: San Giovanni Paolo II

1. «Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna . . . perché ricevessimo l’adozione a figli» (Gal 4, 4-5).
Siamo giunti al termine di un anno solare: tra alcune ore il 1996 cederà il passo al nuovo anno, dopo aver raggiunto, per così dire, la sua pienezza cronologica e il culmine del cammino iniziato 366 giorni fa.
L’espressione «pienezza dei tempi» ha una valenza possiamo dire «storica», perché ci ricorda che l’anno ormai al suo compimento ci avvicina a grandi passi verso l’inizio del terzo millennio. Tuttavia, con tale espressione san Paolo, nella Lettera ai Galati, intende evocare una dimensione più profonda che fa riferimento a quanto si è compiuto nella grotta di Betlemme: «Dio mandò» nel mondo «il suo Figlio, nato da donna» (Gal 4, 4). In queste parole rivive l’evento misterioso della Notte Santa: l’unigenito ed eterno Figlio di Dio «per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo » (Simbolo Nic.-Costantinop.). È entrato nella storia degli uomini e l’ha come superata.
Può, infatti, definirsi altrimenti l’ingresso di Dio nella storia, se non come superamento della storia stessa? Quando Dio si fa Uomo, il tempo nelle sue scansioni di anni, di secoli e millenni viene introdotto nella dimensione dell’eternità divina: infatti, venendo nel mondo, mediante il suo Figlio Unigenito, Dio ha voluto unire tra loro le dimensioni del tempo e dell’eternità. Riferendosi a ciò, l’odierna liturgia ci rende consapevoli di una prospettiva nuova: con l’Incarnazione del Verbo il tempo dell’uomo è chiamato a partecipare all’eternità di Dio.
2. Come avviene tutto ciò? Alla domanda dà risposta la lettura dell’odierna liturgia dei Vespri: «Dio mandò il suo Figlio» nel mondo, «nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli» (Gal 4, 4- 5). Per questo il Verbo si fece carne e prese dimora tra noi, perché noi, accogliendolo, ricevessimo l’adozione a figli.
L’apostolo Giovanni, nel Prologo del suo Vangelo, proclama con stupore: «Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi… A quanti… l’hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio» (Gv 1, 14.12). L’Unigenito, della stessa sostanza del Padre, viene nel mondo affinché, mediante la grazia santificante, siano rigenerati tutti gli uomini chiamati all’alto privilegio di essere, per divina adozione, «filii in Filio », figli nel Figlio.
3. La Chiesa professa questa verità circa la pienezza del tempo ed intende proclamarla oggi in un modo del tutto singolare.
Come Vescovo di Roma e Successore dell’Apostolo Pietro, la cui missione è di annunciare il Vangelo Urbi et Orbi, ho speciali ragioni questa sera di lodare Dio per la «pienezza del tempo» e per la salvezza, operante nel mondo mediante il ministero ecclesiale. Ho singolari motivi di ringraziamento al Signore per ciò che la nostra comunità ecclesiale, cuore della Chiesa universale, compie particolarmente al servizio della città di Roma: essa infatti è in primo luogo inviata ai cittadini romani, come un tempo furono mandati loro gli apostoli Pietro e Paolo. Sono passati, da allora, circa duemila anni e nell’arco di questi due millenni il mandato conferito alla Chiesa di Roma ha prodotto innumerevoli frutti di bene.
Stasera, in questo magnifico tempio situato nel cuore dell’Urbe, nel nostro rendimento di grazie vogliamo far menzione di ogni beneficio operato da Dio per il tramite del ministero apostolico sia nella Chiesa universale che nella nostra Città. Desidero ringraziare il Signore, in special modo, per i risultati raggiunti nell’anno che sta per finire, durante il quale, all’approssimarsi della conclusione del secondo millennio, abbiamo iniziato la preparazione prossima al Grande Giubileo.
4. Ho ancora davanti agli occhi il magnifico spettacolo della scorsa Veglia di Pentecoste. In quella circostanza la Chiesa che è in Roma, nelle sue diverse componenti – Vescovi, Sacerdoti, Famiglie religiose e fedeli laici, in rappresentanza di tutto il Popolo di Dio – ha dato solennemente inizio alla preparazione immediata dell’Anno Santo con l’avvio della grande Missione cittadina.
Il mio pensiero va, altresì, alle parrocchie e alle comunità che hanno vissuto nell’anno corrente la grazia della Visita pastorale: sant’Antonio da Padova alla Circonvallazione Appia; san Cleto, san Giulio, san Vincenzo Pallotti, santa Maria «Causa Nostrae Laetitiae», santa Bibiana, beato José Maria Escrivá, santa Maddalena di Canossa nella prima parte dell’anno, e, recentemente, san Girolamo Emiliani e Nostra Signora di Valme. Il numero delle parrocchie sinora visitate sale così a 251; attendono ancora 77.
Per tutti questi eventi e per il servizio reso alla Chiesa di Roma, ringrazio il Cardinale Vicario e voi, cari Fratelli Vescovi Ausiliari, insieme ai parroci, ai vicari parrocchiali ed ai sacerdoti che lavorano nella nostra Città. Ringrazio i Religiosi e le Religiose come pure i laici impegnati nelle varie attività apostoliche ed a tutti rivolgo un cordiale e fraterno saluto.
Desidero, inoltre, esprimere la mia gratitudine a tutti i fedeli della Diocesi di Roma. Grazie a voi, Fratelli e Sorelle! Grazie, famiglie romane, «chiese domestiche » (cfr Lumen gentium, 11), prime e fondamentali cellule della società! Grazie, membri delle molte Comunità, Associazioni e Movimenti impegnati ad animare la vita cristiana della nostra Città!
Saluto con vivi sentimenti di gratitudine il Padre Peter- Hans Kolvenbach, Preposito Generale della Compagnia di Gesù, ed i Padri Gesuiti che operano in questa chiesa.
Porgo, altresì, un cordiale saluto alle Autorità Civili presenti e, in special modo, al Sindaco di Roma, ringraziandolo per il dono del calice che, secondo una bella tradizione, ogni anno si rinnova. Auspico di cuore che mai manchi l’impegno di tutti per donare alla Città un volto più consono ai valori di fede, di cultura e di civiltà che promanano dalla sua vocazione e dalla sua storia millenaria, anche in vista del Grande Giubileo del Duemila.
5. Carissimi Fratelli e Sorelle, traendo ancora ispirazione ed incoraggiamento dalle parole dell’apostolo Paolo ai Galati, ricordate in questa liturgia dei Vespri, serviamo insieme l’unica causa della Redenzione: dal momento che Dio ha mandato il suo Figlio unigenito, perché noi potessimo ottenere la figliolanza adottiva (cfr Gal 4, 5), non può esistere per noi compito più grande di quello di essere totalmente al servizio del progetto divino.
«L’anima mia magnifica il Signore!» (Lc 1, 46). Questo cantico, sgorgato nel cuore di Maria in occasione della visita a santa Elisabetta, possa diventare oggi espressione della nostra azione di grazie. La Chiesa lo ripete ogni giorno, memore di tutti i benefici di cui si sente ricolmata.
«. . . E il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva» (Lc 1, 47). Con Maria così canta la Chiesa che è in Roma, riscoprendo quotidianamente la sua fragilità da una parte e le meraviglie dall’altra che Dio opera in Lei.
«D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente e Santo è il suo nome: di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono» (Lc 1, 48-50).
Siamo qui per annunziare le misericordie compiute dal Signore nell’arco dell’anno che volge al termine. Siamo qui per disporci con l’animo colmo di gratitudine a varcare, a mezzanotte, la soglia del 1997.
Te Deum laudamus…
Noi ti lodiamo, Dio, ti proclamiamo Signore.
O eterno Padre, tutta la terra ti adora…
Pietà di noi, Signore, pietà di noi.
Tu sei la nostra speranza,
non saremo confusi in eterno.
Amen!