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Omelia al termine dell'anno 1999

Vespri e Te Deum

Autore: San Giovanni Paolo II

1. “Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna” (Gal 4, 4).
Che cosa è “la pienezza del tempo”, di cui parla l’Apostolo? L’esperienza ci fa toccare con mano che il tempo passa inesorabile. Allo scorrere del tempo sono soggette tutte le creature. Soltanto l’uomo, però, si rende conto del proprio passare nel tempo. Egli avverte che al fluire dei giorni è legata la sua storia personale.
Conscia del proprio “passare”, l’umanità scrive la propria storia: la storia degli individui, degli stati e dei continenti, la storia delle culture e delle religioni. Ci domandiamo questa sera: che cosa ha soprattutto contrassegnato il millennio che ora volge al termine? Come si presentava mille anni fa la geografia dei paesi, la situazione dei popoli e delle nazioni? Chi sapeva allora dell’esistenza di un altro grande continente ad ovest dell’Oceano Atlantico? La scoperta dell’America, che ha dato inizio ad una nuova era nella storia dell’umanità, costituisce senza dubbio un elemento qualificante nella valutazione del millennio che si chiude.
Anche questo ultimo secolo è stato caratterizzato da profondi e talora rapidi sconvolgimenti, che hanno inciso nella cultura e nelle relazioni tra i popoli. Basti pensare alle due opprimenti ideologie, responsabili di innumerevoli vittime, che in esso si sono consumate. Quali sofferenze, quali drammi! Ma anche quali esaltanti conquiste! Questi anni, affidati dal Creatore all’umanità, recano i segni degli sforzi dell’uomo, delle sue sconfitte e delle sue vittorie (cfr Gaudium et spes, 2).
Il rischio forse più grande, in questa svolta epocale, è che “moltissimi nostri contemporanei non sono in grado di identificare realmente i valori perenni e di armonizzarli dovutamente con le scoperte recenti” (Gaudium et spes, 4). Ecco una grande sfida per noi, uomini e donne che ci accingiamo ad entrare nell’Anno Duemila.
2. “Quando venne la pienezza del tempo!”. La liturgia ci parla della “pienezza del tempo” e ci illumina sul contenuto di tale “pienezza”. Nella storia della grande famiglia umana, Dio ha voluto introdurre il suo Verbo eterno, facendogli assumere un’umanità come la nostra. E’ mediante l’evento sublime dell’Incarnazione che il tempo umano e cosmico ha raggiunto la propria pienezza: “Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna . . . perché ricevessimo l’adozione a figli” (Gal 4, 4-5). Ecco il grande mistero: la Parola eterna di Dio, Verbum Patris, si è resa presente negli eventi di cui si compone la storia terrena dell’uomo. Con l’incarnazione del Figlio di Dio, l’eternità è entrata nel tempo, e la storia dell’uomo si è aperta ad un trascendente compimento nell’assoluto di Dio.
All’uomo è così offerta una prospettiva impensabile: egli può aspirare ad essere figlio nel Figlio, erede con Lui dello stesso destino di gloria. Il pellegrinaggio della vita terrena è pertanto un cammino che avviene nel tempo di Dio. La meta è Dio stesso, pienezza del tempo nell’eternità.
3. Agli occhi della fede, il tempo si riveste così di un significato religioso e questo ancor più nel corso dell’Anno giubilare appena incominciato. Cristo è il Signore del tempo. Ogni istante del tempo umano è sotto il segno della redenzione del Signore, che è entrato, una volta per sempre, nella “pienezza del tempo” (cfr Tertio millennio adveniente, 10). In questa prospettiva, rendiamo grazie a Dio per ciò che è avvenuto nel corso di quest’anno, di questo secolo e di questo millennio. In modo speciale, vogliamo ringraziare per i costanti progressi nel mondo dello spirito. Ringraziamo per i santi di questo millennio: quelli elevati agli onori degli altari e quelli, ancor più numerosi, a noi sconosciuti, che hanno reso santo il tempo con la loro fedele adesione alla volontà di Dio. Ringraziamo anche per tutte le conquiste ed i successi conseguiti dall’umanità, in campo scientifico e tecnico, artistico e culturale.
Per quanto concerne la Diocesi di Roma, vogliamo rendere grazie per l’itinerario spirituale percorso negli anni passati e per il compimento della Missione cittadina in vista del Grande Giubileo. Ripenso alla sera del 22 maggio, vigilia della Pentecoste, quando insieme abbiamo invocato lo Spirito Santo, perché questa singolare esperienza pastorale diventi, nel nuovo secolo, forma e modello della vita e della pastorale della Chiesa, a Roma e in tante altre città e contrade del mondo, al servizio della nuova evangelizzazione.
Mentre eleviamo il nostro grazie a Dio, sentiamo il bisogno di implorarne, al tempo stesso, la misericordia sul millennio che si chiude. Chiediamo perdono perché non di rado, purtroppo, le conquiste della tecnica e della scienza, tanto importanti per l’autentico progresso umano, sono state usate contro l’uomo: Miserere nostri, Domine, miserere nostri!
4. Due mila anni sono trascorsi da quando “il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità” (Gv 1, 14). Per questo, si eleva corale il canto della nostra lode riconoscente: Te Deum laudamus.
Noi ti lodiamo, Dio della vita e della speranza.
Noi ti lodiamo, Cristo, Re della gloria, Figlio eterno del Padre.
Tu, nato dalla Vergine Madre, sei il nostro Redentore, ti sei fatto nostro fratello per la salvezza dell’uomo, e verrai nella gloria a giudicare il mondo alla fine dei tempi.
Tu, Cristo, fine della storia umana, sei punto focale delle attese d’ogni essere umano.
A Te appartengono gli anni ed i secoli. Tuo è il tempo, o Cristo, che sei lo stesso ieri, oggi e sempre.
Amen!