Omelia al termine dell'anno 2001
Vespri e Te Deum
Autore: San Giovanni Paolo II
1. “Signore, è questo il tempo?”: quante volte l’uomo si pone questo interrogativo, specie nei momenti drammatici della storia! È vivo in lui il desiderio di conoscere il senso e la dinamica degli eventi individuali e comunitari in cui si trova implicato. Vorrebbe sapere «prima» quel che succederà «poi», così da non essere colto di sorpresa.
Anche gli Apostoli non si sono mostrati insensibili a questo desiderio. Gesù però non ha mai assecondato questa curiosità. Quando gli è stata posta questa domanda, Egli ha risposto che soltanto il Padre celeste conosce e scandisce i tempi e i momenti (cfr At 1, 7). Ma ha aggiunto: “Avrete forza dallo Spirito che scenderà su di voi e mi sarete testimoni… fino agli estremi confini della terra” (At 1, 8). Li ha, cioè, invitati ad assumere un atteggiamento «nuovo» nei confronti del tempo.
Gesù ci esorta a non investigare inutilmente su ciò che è riservato a Dio – che è appunto il corso degli eventi -, ma a utilizzare il tempo che ciascuno ha a disposizione, – il presente – operando con amore filiale per la diffusione del Vangelo in ogni angolo del pianeta. Questa riflessione è quanto mai opportuna anche per noi, al compiersi di un anno e a poche ore dall’inizio dell’anno nuovo.
2. “Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna” (Gal 4, 4). Prima della nascita di Gesù l’uomo era soggetto alla tirannia del tempo, simile allo schiavo che non sa quello che ha in mente il suo padrone. Quando però “il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1, 14), questa prospettiva è stata totalmente ribaltata.
Nella Notte di Natale, che una settimana fa abbiamo celebrato, l’Eterno è entrato nella storia, il «non ancora» del tempo, scandito dall’inesorabile fluire dei giorni, si è coniugato misteriosamente con il «già» della manifestazione del Figlio di Dio. Nell’insondabile mistero dell’Incarnazione, il tempo raggiunge la propria pienezza. Dio abbraccia la storia degli uomini sulla terra per condurla al suo definitivo compimento.
Per noi credenti, il senso e il fine della storia e di ogni vicenda umana sono pertanto in Cristo. In Lui, Verbo eterno fatto carne nel grembo di Maria, l’eternità ci coinvolge, perché Dio ha voluto rendersi visibile, rivelando lo scopo della storia stessa e il destino delle fatiche di ogni persona che vive sulla terra.
Ecco perché in questa liturgia, mentre ci congediamo dal 2001, sentiamo il bisogno di rinnovare, con intima gioia, la nostra gratitudine a Dio che, nel suo Figlio, ci ha introdotti nel suo mistero dando inizio al tempo nuovo e definitivo.
3. Te Deum laudamus, / Te Dominum confitemur.
Con le parole dell’antico inno, eleviamo a Dio l’espressione della nostra profonda riconoscenza per il bene che, nell’arco dei trascorsi dodici mesi, Egli ci ha elargito.
Mentre scorrono davanti ai nostri occhi i tanti eventi dell’anno 2001, vorrei salutare con affetto il Cardinale Vicario, attorniato dai Vescovi Ausiliari e da numerosi parroci, miei preziosi collaboratori nel servizio pastorale alla Chiesa di Roma. Estendo il mio saluto al Signor Sindaco e ai membri della Giunta e del Consiglio Comunale, come pure alle altre Autorità presenti e a quanti sono qui in rappresentanza delle varie Istituzioni cittadine.
Giunga da questa Basilica tanto cara ai Romani il mio beneaugurante pensiero all’intera popolazione dell’Urbe e, in modo speciale, a quanti trascorrono questi giorni di festa tra disagi e difficoltà. A tutti assicuro il mio ricordo avvalorato da intensa e fervida preghiera, mentre invito ciascuno a proseguire con impegno nel proprio cammino fidando nella Provvidenza, sempre amorevole nei suoi misteriosi disegni.
4. Forte è ancora l’eco nella nostra Città del grande Giubileo, che ha segnato profondamente la vita di Roma e dei suoi abitanti, effondendo nella comunità dei credenti tanta ricchezza di grazia. L’Assemblea diocesana del giugno 2001, capillarmente preparata nelle parrocchie e nelle realtà ecclesiali, ha riproposto l’impegno della missione permanente come obiettivo su cui puntare con decisione in questi anni, secondo le indicazioni della Lettera apostolica Novo millennio ineunte e del programma pastorale diocesano, che ad essa si ispira.
Roma avverte un costante bisogno dell’annuncio di Cristo e dell’incontro con Lui, nell’ascolto della sua parola, nell’Eucaristia e nella carità. Occorre, dunque, che cresca l’anelito apostolico nel cuore dei sacerdoti, dei religiosi e religiose e dei tanti laici che hanno compreso la loro chiamata ad essere testimoni del Signore presso le famiglie e nei luoghi di lavoro.
A tutti ripeto quanto ho scritto nel messaggio inviato all’Assemblea diocesana del giugno scorso: “Prendete il largo per portare l’annuncio del Vangelo nelle case, negli ambienti, nei quartieri e nell’intera città” (n. 4).
Ogni comunità cristiana sia scuola di preghiera e palestra di santità, sia una famiglia di famiglie, dove l’accoglienza del Signore e la fraternità vissuta attorno all’Eucaristia si traducono nello slancio di una rinnovata evangelizzazione.
5. Collegato con la missione permanente è un altro grande obiettivo, indicato dal programma pastorale diocesano, e che sarà oggetto di singolare riflessione nel Convegno diocesano del giugno 2002: la pastorale vocazionale.
Ogni parrocchia e comunità è chiamata alla preghiera costante, perché il Signore mandi operai nella sua messe, e a una dinamica e fiduciosa opera formativa presso i giovani e le famiglie, affinché la chiamata di Dio sia compresa nella sua forza liberatrice e sia accolta con gioia e gratitudine.
Mi rivolgo soprattutto a voi, cari parroci e cari sacerdoti, perché la gioia di essere ministri di Cristo e la generosità del servizio alla Chiesa traspaiano sempre con evidenza nella vostra vita. È questa un’importante condizione per l’efficacia della pastorale vocazionale. Alla radice di ogni vocazione sacerdotale e religiosa c’è quasi sempre un sacerdote che, con l’esempio e la direzione spirituale, ha introdotto e accompagnato la persona in ricerca sulla via del «dono» e del «mistero».
6. Te Deum laudamus! Sale questa sera dal nostro cuore riconoscente questo canto di lode e di ringraziamento. Ringraziamento per i benefici ricevuti, per i traguardi apostolici conseguiti, per il bene realizzato. Vorrei rendere grazie, in modo speciale, per le trecento parrocchie della nostra Città che ho potuto sinora visitare. Chiedo a Dio la forza di proseguire, sino a quando Egli vorrà, nel servizio fedele alla Chiesa di Roma e al mondo intero.
Al termine di un anno, tuttavia, carissimi Fratelli e Sorelle, è particolarmente doveroso prendere coscienza anche delle proprie fragilità e dei momenti in cui non si è stati pienamente fedeli all’amore di Dio. Per le nostre mancanze e omissioni chiediamo perdono al Signore: Miserere nostri, Domine, miserere nostri. Continuiamo ad abbandonarci con fiducia alla bontà del Signore. Egli non mancherà di usarci misericordia, e di aiutarci a proseguire nel nostro impegno apostolico.
7. In Te, Domine, speravi: non confundar in aeternum! Ci affidiamo e ci abbandoniamo nelle tue mani, Signore del tempo e dell’eternità. Tu sei la nostra speranza: la speranza di Roma e del mondo; il sostegno dei deboli e il conforto degli smarriti, la gioia e la pace di chi Ti accoglie e Ti ama.
Mentre termina quest’anno e già lo sguardo si proietta su quello nuovo, il cuore si abbandona fiducioso ai tuoi misteriosi disegni di salvezza.
Fiat misericordia tua, Domine, super nos, quaemadmodum speravimus in Te.
Sia sempre con noi la tua misericordia: in Te abbiamo sperato. In Te solamente speriamo, o Cristo, Figlio della Vergine Maria, tua e nostra tenera Madre.