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Omelia Messa di Natale 1979

Solennità della Natività del Signore

Autore: San Giovanni Paolo II

1. Ecco, di nuovo è venuta l’ora di questo meraviglioso avvenimento: “Si compirono per Maria i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia” (Lc 2,6-7). Ci chiediamo: è un avvenimento comune o insolito? Quanti bambini nascono su tutta la terra nel corso di ventiquattro ore, mentre in alcune parti del mondo è giorno e in altre è notte! Certo, ognuno di questi momenti è qualcosa di insolito; è qualcosa di unico per un padre, e soprattutto per una madre, quando nasce un bambino, specialmente se si tratta del primo bambino, del figlio primogenito.
Quel momento è sempre una cosa grande. E tuttavia dato che esso si compie continuamente in qualche posto del mondo, in ogni ora del giorno e della notte la nascita dell’uomo, nel suo aspetto statistico, è insieme qualcosa di comune e normale.
Anche la nascita di Cristo sembra entrare in questa dimensione statistica, tanto più che ad essa si accompagna, secondo il racconto di San Luca, la menzione di un censimento, che si svolse nelle terre governate dall’imperatore romano Cesare Augusto; l’evangelista precisa che nel paese abitato da Maria e da Giuseppe l’ordine del censimento venne dal governatore della Siria, Quirinio.
A quell’avvenimento facciamo riferimento ogni anno, come oggi, riunendoci in questa Basilica a mezzanotte. Ebbene, se in questo avvenimento c’è qualcosa di insolito, ciò consiste forse nel fatto che esso non si compie nelle consuete condizioni umane, sotto il tetto di una casa, bensì in una stalla, che ordinariamente ospita solo animali. La prima culla del Divin Neonato, infatti, è una mangiatoia.
Stanotte, ci siamo riuniti in questa splendida Basilica rinascimentale per fare compagnia al Bambino di una Donna povera, nato in una stalla e deposto in una mangiatoia!
2. Certamente nessuno degli abitanti né dei nuovi arrivati, presenti allora a Betlemme, poteva pensare che in quel momento e in quella stalla si stavano realizzando le parole del grande profeta, spesso rilette e continuamente meditate dai figli di Israele.
Isaia, infatti, aveva scritto parole che costituirono il contenuto di una grande Attesa e di una inflessibile Speranza: “Hai moltiplicato la gioia, / hai aumentato la letizia. / Gioiscano davanti a te / come si gioisce quando si miete… / Poiché un bambino è nato per noi, / ci è stato dato un figlio. / Sulle sue spalle è il segno della sovranità… / grande sarà il suo dominio / e la pace non avrà fine / sul trono di Davide e sul regno, / che egli viene a consolidare e rafforzare / con il diritto e la giustizia, / ora e sempre” (Is 9,2.5-6).
Nessuno dei presenti a Betlemme poteva pensare che proprio in quella notte le parole del grande profeta venissero realizzate, né che ciò si compisse in una stalla, dove di solito abitano gli animali, “perché non c’era posto per loro nell’albergo” (Lc 2,7).
3. Tuttavia c’è qualche elemento, qualche cenno nelle parole di Isaia, che già in questa notte sembrano realizzarsi alla lettera. Isaia aveva scritto: “Il popolo che cammina nelle tenebre / vide una grande luce; / su coloro che abitavano in terra tenebrosa, / una luce rifulse” (Is 9,1).
Orbene, tutta Betlemme e tutta la Palestina in quel momento è “terra tenebrosa” e i suoi abitanti giacciono nel sonno. Ma fuori della città – come leggiamo nel Vangelo di Luca – “c’erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge” (Lc 2,8). I pastori sono figli di quel “popolo che cammina nelle tenebre” e insieme sono i suoi rappresentanti eletti per quel momento, eletti “per vedere la grande luce”. Proprio così, infatti, scrive San Luca dei pastori di Betlemme: “Un angelo del Signore si presentò davanti a loro e la gloria del Signore, li avvolse di luce. Essi furono presi da grande spavento” (Lc 2,9). E dal profondo di quella luce che viene loro da Dio e nella profondità di quello spavento che è la risposta dei cuori semplici alla luce divina, giunge la voce: “Non temete, ecco, vi annunzio una grande gioia… oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore” (Lc 2,10-11).
Queste parole dovettero produrre una grande letizia nei cuori di quegli uomini semplici, educati e nutriti come tutto il Popolo di Israele da una grande Promessa, nella tradizione dell’attesa del Messia. E giustamente dice il Messaggero che questa gioia “sarà di tutto il popolo” (Lc 2,10), cioè proprio di quel Popolo di Dio, che “camminava nelle tenebre”, ma non si stancava della Promessa.
4. Era necessario, proprio in quella notte, un Messaggero che portasse la “grande luce” della profezia di Isaia alla stalla e alla mangiatoia di Betlemme. Era necessaria questa luce, era necessaria “la manifestazione della gloria” (Tt 2,13) – come scrive San Paolo – perché si potesse leggere bene il Segno! “Troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia” (Lc 2,12). E i pastori di Betlemme, uomini semplici che non sapevano di lettere, hanno davvero letto bene il Segno. Furono i primi tra tutti coloro che lo hanno letto in seguito e che lo rileggono tuttora. Furono i primi testimoni del Mistero. Noi, che in questa notte riempiamo la Basilica di San Pietro e tutti coloro, che in ogni luogo sono presenti alla Messa di Mezzanotte, diventiamo partecipi della loro testimonianza. Non invano questa Messa di Mezzanotte viene chiamata in alcune regioni “Messa dei pastori”.
5. Ricordiamo che è la notte del Mistero, anche se si potrebbe valutare diversamente l’avvenimento, in cui è apparsa la “manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore” (Tt 2,13) con la nascita del Bambino, quando egli venne al mondo dalla Vergine, e quando nella notte della sua nascita non ebbe a disposizione un tetto domestico sopra il capo, ma solo una stalla e una mangiatoia!
Ora, poiché ci siamo riuniti qui come partecipi della prima testimonianza data dai pastori di Betlemme a quel Mistero, cerchiamo di riflettere a fondo su di essa.
“Gloria a Dio nel più alto dei cieli, e pace in terra agli uomini che egli ama” (Lc 2,14). Queste parole provengono dalla stessa luce, che rifulse in quella notte nel cuore di uomini di buona volontà. Dio si compiace negli uomini!
Questa notte rappresenta una testimonianza particolare del divino compiacimento nell’uomo. Non lo ha forse creato Dio a sua immagine e somiglianza? Le immagini e le somiglianze si creano per vedervi il riflesso di se stessi. Perciò si guardano con compiacimento. Dio non si è forse compiaciuto dell’uomo, se, dopo averlo creato, “vide che era cosa molto buona” (Gen 1,31)? Ed ecco che a Betlemme siamo alla sommità di quel compiacimento. Ciò che è successo allora è forse possibile esprimerlo diversamente!
È possibile comprendere diversamente il Mistero, per cui il Verbo si fa carne, il Figlio di Dio assume la natura umana e nasce come Fanciullo dal grembo della Vergine? È possibile rileggere in altro modo questo Segno?
6. E per questo che alla mezzanotte di Natale diversi popoli iniziano un grande canto. Esso si diffonde ogni anno dalla stessa stalla di Betlemme. Risuona sulle labbra degli uomini di tante terre e di tante razze. Risuona il grande canto della gioia, e assume svariate forme. Cantano in Italia, cantano in Polonia, cantano in tutte le lingue e nei vari dialetti, in tutti i paesi e i continenti.
Dio ha manifestato il proprio compiacimento nell’uomo! Dio si compiace dell’uomo. Gli uomini, allora, si svegliano; si desta l’uomo, “pastore del suo destino” (Heidegger).
Quanto spesso l’uomo è schiacciato da questo destino! Quanto spesso ne è prigioniero; quanto spesso muore di fame, quanto spesso è vicino alla disperazione, quanto spesso è minacciato nella coscienza del significato della propria umanità. Quanto spesso – nonostante tutte le apparenze – l’uomo è lontano dal compiacersi di se stesso.
Ma oggi egli si desta e sente l’annuncio: Dio nasce nella storia umana! Dio si compiace nell’uomo. Dio è diventato uomo. Dio si compiace in te! Amen.