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Omelia Messa di Natale 1984

Solennità della Natività del Signore

Autore: San Giovanni Paolo II

1. “Apparuit gratia . . .”.
A tutti voi, riuniti in questa basilica, il Vescovo di Roma, servo dei servi di Dio, rivolge il suo cordiale saluto. Egli saluta anche tutti coloro che in questa mezzanotte sono riuniti in tanti luoghi della terra.
Tutti ci riunisce la notte di Betlemme. Ogni anno la medesima notte. La richiamiamo attraverso i secoli e le generazioni con la stessa trepidazione di speranza iscritta nel “cuore dell’uomo”, nel suo destino eterno.
“Apparuit gratia . . . / Apparuit gratia Dei . . . / Apparuit gratia Dei Salvatoris nostri”.
Questa notte è santa per noi.
2. Che cosa è la grazia?
Lo domandiamo a questa notte, alla notte di Betlemme.
Essa è peraltro simile a tante altre notti, che nel loro ritmo immutabile si avvicendano sul globo della terra.
Questa notte in apparenza è una notte come tante altre. Ma è la notte in cui sul piccolo angolo della terra, nelle vicinanze di Betlemme, a Sud di Gerusalemme, le tenebre della notte si trasformarono in luce.
In questa luce si compì il divino “mysterium tremendum et fascinosum”: la gloria di Dio illuminò totalmente i pastori che in questo luogo “facevano la guardia” al loro gregge, così che “essi furono presi da gran spavento . . .”.
La luce diventa voce:
“Non temete . . . / Oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore . . . vi annunzio una grande gioia” (Lc 2, 10.11).
“Apparuit gratia . . . / Puer natus est nobis”: / è nato un Bambino.
La luce e la voce indicano il luogo e il significato della sua nascita.
3. È veramente nato. È nato nella stalla destinata agli animali: perché non c’era posto per lui in nessuna casa umana.
È nato durante il censimento della popolazione di Israele, mentre Cesare Augusto era a capo dell’Impero romano e Quirino era governatore in Siria.
Colui che è nato era della stirpe di Davide, e perciò, al momento della venuta al mondo, gli avvenne di trovarsi a Betlemme, che era la “città di Davide”.
È nato dalla Vergine. Il suo nome era Myriam, cioè Maria. Era la sposa di Giuseppe, della famiglia di Davide, tutti e due provenivano da Nazaret.
Dal centro della grande luce che li avvolge, i pastori odono queste parole: “Troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia” (Lc 2, 12).
E così è stato effettivamente.
“Apparuit gratia” . . .
4. Grazia. Che cosa è la grazia?
Dice il profeta: “Puer natus est nobis, Filius datus est nobis”.
È nato un bambino, un figlio ci è donato.
In questo bambino, nato dalla Vergine, ci è stato dato il figlio.
La Madre è Vergine.
In terra egli non ha padre.
È nato eternamente. Ed eternamente nasce: Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero; generato e non creato: della stessa sostanza del Padre.
In questa notte egli ci è stato dato:
dato mediante la nascita terrena dalla Vergine, mediante la nascita nella notte di Betlemme, mediante la nascita nella povertà.
Ci è stato dato.
La grazia è appunto dono. È il “donarsi” di Dio alla creatura, all’uomo: il “donarsi” di ciò che è divino a ciò che è umano.
In questa notte, la Grazia è diventata palese: “apparuit”. Si è manifestata nella sua dimensione definitiva. Dio “dona se stesso” nel Figlio: nell’eterno Figlio che è della stessa sostanza del Padre.
Dona se stesso per opera dello Spirito Santo, che la Vergine di Nazaret ha ricevuto nell’annunciazione.
“Apparuit gratia”.
Dio dona se stesso grazie al suo infinito amore:
“Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito” (Gv 3, 16).
Dio dona se stesso non solo in modo invisibile, nell’intimo dei cuori umani. Dona se stesso anche in modo palese: “rivela” veramente l’eterno mistero del suo amore nelle tenebre di questa notte di Betlemme.
5. “Apparuit gratia salvatoris” . . .
Nella notte di Betlemme Dio viene all’uomo con il programma della nuova vita:
“rinnegare l’empietà e i desideri mondani e vivere con sobrietà, giustizia e pietà in questo mondo”, scrive san Paolo (Tt 2, 12).
Questo è ugualmente il programma della speranza salvifica, perché il figlio che ci è donato in questa notte di Betlemme, come fanciullo deposto in una mangiatoia, darà “se stesso per noi per riscattarci da ogni iniquità e formarsi un popolo puro che gli appartenga, zelante nelle opere buone” (Tt 2, 14): il nuovo popolo di Dio.
La manifestazione della gloria di Dio stesso
6. “Apparuit gratia” . . . Tutto ciò è diventato palese in questa notte.
E contemporaneamente la notte di Betlemme nasconde tutto ciò con la sua misteriosa oscurità.
Soltanto Maria e Giuseppe, e insieme a loro qualche pastore, si sono trovati nel profondo della luce che ha penetrato questa notte.
7. Così fu allora . . .
Ormai quasi duemila anni ci dividono da quell’“allora”. Ed ecco che sempre veniamo, sempre ci riuniamo a mezzanotte. Richiamiamo da lontano quest’una e unica notte nella storia dell’uomo.
Apparteniamo alla generazione che apertamente ha sposato gli accenti da Dio al mondo, dall’eternità alla temporalità . . .
“Il popolo che cammina nelle tenebre . . . abitanti in terra tenebrosa”.
Alcuni pensano: non siamo forse già in un’epoca post-cristiana?
Alcuni hanno fatto dell’ateismo un programma del progresso dell’uomo.
Ma questo preteso “progresso” ha portato con sé di fatto anche una permanente minaccia nucleare, e forme di sfruttamento dell’uomo e di perdita dei valori che danno senso alla vita, senza eliminare la piaga della fame che drammaticamente affligge certe regioni della terra.
“Il popolo che cammina nelle tenebre”; tenebre di ogni epoca.
E tuttavia ogni anno ritorna questa notte.
La medesima notte di Betlemme in ogni luogo della terra. E noi ci riuniamo. Siamo qui accanto al Verbo incarnato, come Maria e Giuseppe con cuore aperto ad accogliere il messaggio di speranza che il Natale reca anche oggi all’umanità.
“Apparuit gratia” . . .