Omelia Messa di Natale 1990
Solennità della Natività del Signore
Autore: San Giovanni Paolo II
“Et incarnatus est de Spiritu Sancto ex Maria Virgine et homo factus est”.
1. Pronunciando queste parole del “Credo”, stanotte noi ci inginocchiamo. Esse esprimono il mistero che la notte della veglia natalizia ci rende presente, ogni anno. La liturgia della Messa di mezzanotte contiene prima di tutto la descrizione degli avvenimenti che ebbero luogo a Betlemme, il villaggio a sud di Gerusalemme. Tali eventi appartengono alla storia: quella delle persone concrete di Maria, di Giuseppe, dei pastori che sorvegliavano il gregge. E, nello stesso tempo, quella di Cesare Augusto, di Quirino e degli abitanti di Gerusalemme.
Il mistero supera questi avvenimenti e, nello stesso tempo, li riveste, dando ad essi un diverso significato: “Incarnatus est”!
Quando il Verbo si fa carne, quando il Figlio consustanziale al Padre nelle profondità dell’Eterna Trinità, diventa, per opera dello Spirito Santo, uomo, Figlio di Maria, allora gli occhi umani vedono, nell’aspetto umano, colui che è invisibile. Vedono colui che “abita una luce inaccessibile” (1 Tm 6, 16). Questa santa notte di Betlemme è il momento, il primo in cui Dio invisibile può essere visto. “Chi ha visto me ha visto il Padre”, dirà un giorno Gesù agli apostoli (Gv 14, 9).
2. Ci inginocchiamo quindi di fronte al mistero ineffabile. Possiamo forse fermarci alla superficie degli avvenimenti? Essi sono semplici e, insieme, pieni di un mirabile incanto, benché in se stessi non cessino di esprimere la povertà e perfino il rifiuto degli uomini: “Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto” (Gv 1, 11).
Non si può forse dire che questi primi momenti della nascita di Gesù di Nazaret tracciano, in qualche modo, tutto il suo cammino terreno, il cammino di Messia e di Redentore? Infatti sappiamo che verrà nella liturgia il giorno in cui la Chiesa, in tutto il mondo, di nuovo s’inginocchierà. Ciò avverrà nel venerdì santo, durante l’adorazione della croce . . .
Questa notte: “Christus natus est nobis / venite adoremus”. Il venerdì santo: “Ecce lignum crucis, in quo salus mundi pependit / venite adoremus”.
3. “Salus mundi”. “Vi annunzio con grande gioia . . . oggi vi è nato . . . un salvatore, che è il Cristo Signore” (Lc 2, 10). Queste sono le parole che stanotte i pastori di Betlemme sentono.
L’apostolo Paolo nella Lettera a Tito le commenta ampiamente: “È apparsa . . . la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini”. La salvezza in Gesù Cristo “il quale ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità” (Tt 2, 11. 14).
Questa salvezza plasma la vita umana nel mondo, le dà una forma divina: “ci insegna . . . a vivere con . . . pietà” (Tt 2, 12). Essa dà anche all’esistenza umana sulla terra il senso definitivo, avviando la nostra vita alla futura gloria in Gesù Cristo.
Tutto ha il suo inizio in questa notte di Betlemme. Qui nasce il nuovo principio della storia dell’uomo. In Gesù Cristo si rivela la Grazia. Dio riconferma in lui il suo amore all’uomo. Infatti il canto natalizio della notte di Betlemme parla degli uomini che Dio ama (cf. Lc 2, 14).
4. Ecco una grande gioia: “vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo”. Non soltanto del popolo eletto dal quale nacque Gesù. È la gioia di tutti gli uomini. La gioia di ogni uomo. Il mistero della notte di Betlemme ha una portata universale. È la prima parola del Vangelo, cioè della buona novella.
Dio si compiace in ogni uomo. Il Padre vede ciascuno di noi nel Figlio di Maria, poiché lui è il Figlio Eterno, della stessa sostanza del Padre. Egli stesso è il Figlio del compiacimento di Dio: Dio da Dio e Luce da Luce. In lui incominciamo ad esistere di nuovo, quando nasce per redimerci. In lui diventiamo “figli nel Figlio”, figli che Dio ama.
Non è forse proprio questa la prima e fondamentale verità della buona novella? Non è forse proprio questo che è atteso dall’uomo di tutti i tempi? La fondamentale e assoluta affermazione. Non ne ha forse bisogno anche – e forse in modo particolare – l’uomo dei nostri tempi? Non è questo che, in mezzo a tutte le conquiste del progresso della civiltà materiale, gli manca di più? Egli è tentato sin dall’inizio di voler diventare come Dio (cf. Gen 3, 5) . . . senza Dio! Senza il mistero dell’incarnazione. Senza la notte di Betlemme.
5. Tuttavia questa notte inconcepibile perdura e si ripete. “Vi annunzio una grande gioia”. La gioia che deriva da un dono puro, da un dono insuperabile. Non è possibile pensare a un dono più grande. Non è possibile offrire all’uomo un dono più grande. Occorre soltanto che egli apra gli occhi in questa notte, così come hanno fatto i pastori di Betlemme, e poi i magi dell’Oriente, e in seguito, nel corso dei secoli e delle generazioni, tanti e tanti altri.
Una gioia grande. Quest’è la gioia di tutto il creato, poiché in questa notte viene alla luce colui che è “generato prima di ogni creatura” (cf. Col 1, 15). Tutto il creato trova in lui, nel Verbo di Dio, la sua eterna origine, il suo posto: “tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste” (Gv 1, 3).
Oh, notte di Betlemme! Ci sia consentito di parlare con la voce di tutte le creature! Ci sia consentito di parlare con le lingue di tutti i popoli e di tutti gli uomini! Notte di Betlemme, ti salutiamo. Christus natus est nobis! Venite, adoremus!