Opere di Misericordia Spiriturali - II - Perdonare e Consolare
La Misericordia nella vita quotidiana
Autore: Mons. Javier Echevarría Rodríguez
Una delle opere di misericordia di cui il mondo ha più bisogno – ora e sempre
– consiste nel perdonare colui che ci offende. “Come ci può sembrare difficile
spesso perdonare! – ha ammesso il Santo Padre –. Eppure il perdono è lo
strumento messo nelle nostre fragili mani per ottenere la serenità del cuore.
Lasciare cadere il rancore, la rabbia, la violenza e la vendetta sono le condizioni
necessarie per vivere felici”.
Questo vivere felici si fa strada in noi come un desiderio di tutti gli essere
umani. Però nessuno può raggiungere la felicità per conto proprio, senza contare
su Dio e sugli altri.
Con una certa frequenza, forse, cresce la sensazione che chi ci sta accanto sia
più che altro un ostacolo: ci offendono, perché ci maltrattano, ci causano un
dolore fisico o morale…, mali che provò anche Gesù, crocifisso da coloro ai
quali era venuto a portare la salvezza.
Il Signore, volto visibile della misericordia del Padre, perdonò senza dare
spazio al risentimento. “Padre, perdonali perché non sanno quello che fanno”,
pregò mentre pendeva dal legno della Croce. In tal modo ruppe decisamente il
circolo vizioso dell’odio che genera soltanto altro odio, il circolo della vendetta e
del rancore, e fece sì che da quella Croce scaturisse una fonte di misericordia,
capace di cambiare la storia di ogni donna e di ogni uomo.
La Croce del Signore ci aiuta a comprendere che noi tutti abbiamo bisogno del
perdono: di perdonare e di essere perdonati. Chi non fa propria questa realtà, si
dimostra incapace di sondare la bella profondità dell’amore che lo unisce a
un’altra persona o a Dio.
Riprendiamo la parabola del figlio prodigo. Il giovane, accecato
dall’inesperienza e dall’orgoglio, si allontanò dalla casa paterna e dilapidò tutto
ciò che aveva ricevuto. Se ritornò a casa fu perché aveva sperimentato molto da
vicino, in altri momenti, la misericordia paterna, la sua comprensione, e sapeva
benissimo che non sarebbe stato rifiutato. Quando incontrò nuovamente suo
padre, questi, con un abbraccio, gli fece il suo dono più grande: il perdono. E
procedette così, senza umiliarlo, senza ricordargli neppure per un istante gli
avvertimenti e i suoi consigli di un tempo. Soltanto allora il giovane riuscì a
comprendere il vero tesoro dell’amore paterno, che egli aveva ignorato e
trascurato, e che, fortunatamente, con il ritorno e la contrizione, aveva
ricuperato.
Anche ognuno di noi ha bisogno di ricorrere spesso al sacramento del
perdono, per capire la profondità dell’amore divino. “Dio non si stanca di
perdonare – ricorda il Papa –, siamo noi quelli che ci stanchiamo di chiedere
perdono”. Effettivamente, alimentiamo purtroppo anche la tendenza ad abituarci
alla freddezza del peccato. Perciò, se già ci avvaliamo di questo sacramento,
facciamolo con le migliori disposizioni possibili, andando con una frequenza
maggiore o preparandoci meglio. Per ottenerlo, gettiamoci fra le braccia
misericordiose di Dio, eliminiamo radicalmente i pregiudizi e le scuse che ci
impediscono di sentire nell’anima questa carezza della comprensione del
Signore. Forse che non ricordiamo la felicità provata l’ultima volta che ci siamo
riconciliati con una persona? La richiesta di perdono non ci sembra un gesto
umano capace di “dare la faccia” a quel Dio che tante volte mettiamo da parte
nella nostra vita e la cui bontà dimentichiamo?
Molti cristiani ignorano la bellezza della Confessione. Convinciamoci: questo
sacramento non è passato né passerà mai di moda. Possiede e possiederà una
potenza sempre attuale. Non solo, ma è un sacramento che apre la nostra vita al
futuro perché ci restituisce la speranza. Preghiamo, dunque, perché l’Anno
Giubilare della Misericordia permetta a tanti cristiani di riprendere la via che
riporta alla casa paterna.
Forse qualcuno immagina che, per confessarsi, occorra una preparazione
molto complessa, e non è così: basta desiderare la grazia, fare un buon esame di
coscienza – magari con l’aiuto di una guida o con la collaborazione di una
persona competente – e poi, con fiducia, andare dal sacerdote. Non
dimentichiamo che sono state le sofferenze interiori ed esteriori, la
consapevolezza delle proprie miserie e il ricordo dell’amore paterno, ciò che ha
indotto interiormente il figlio prodigo a mettersi in marcia. Sono molte le
persone intorno a noi che si trovano in una situazione del genere: hanno bisogno
soltanto di qualcuno che li accompagni in questo viaggio di ritorno alla casa del
Padre.
D’altra parte, se Dio assolve, anche noi dobbiamo saper perdonare nella vita
quotidiana tutte le volte che sia necessario. Può accadere che, forse a causa di
malintesi, diversità di carattere, divergenze politiche o culturali, o questioni di
altro tipo, alcuni uomini e donne trascinino per anni il ricordo delle offese
causate da amici o da terzi. Purtroppo, se si ha nell’anima una disposizione del
genere, i conflitti si possono prolungare nel tempo senza che nessuno si dia per
vinto.
Immersi in pieno, come siamo, nell’Anno della misericordia, cerchiamo di
scoprire che questa è una magnifica occasione per offrire la nostra
riconciliazione, anche se siamo stati noi gli offesi. Il Signore fa sempre il primo
passo per perdonarci, anche quando non meritiamo la sua grazia; e noi non ci
decidiamo a seguire l’esempio del Maestro? “Sforzati, se è necessario – ha
scritto san Josemaría –, di perdonare sempre coloro che ti offendono, fin dal
primo istante, perché, per quanto grande sia il danno o l’offesa che ti fanno,
molto di più ti ha perdonato Iddio”.
Desideriamo ardentemente che la decisione di perdonare e di chiedere
perdono si trasformi in una disposizione abituale in noi, in ogni famiglia, tra gli
amici. Pensiamo che, senza la disposizione di perdonare, tutti gli scenari nei
quali ci muoviamo – compresa la nostra famiglia – si trasformerebbero in ambiti
desolanti, egoisti, tristi, che avvelenano le anime o le rattristano. La lezione di
Cristo è chiarissima: amare senza riposo anche colui che ci ferisce.
Pertanto, se gli altri aderiscono al nostro perdono, rendiamo grazie a Dio; ma
se non otteniamo la risposta desiderata, non ci scoraggiamo, perché la
misericordia è gratuita, non si aspetta niente in cambio. Cristo è morto pregando
per coloro che lo crocifiggevano e lo offendevano. La sua morte redentrice ha
fatto sì che il velo dell’odio cadesse dagli occhi delle anime. Soltanto allora,
vedendo come era spirato Gesù, il centurione che stava accanto alla Croce
pronunciò quel bellissimo atto di fede: “Davvero costui era Figlio di Dio!”.
Se noi cristiani perdoniamo immediatamente le offese ricevute, con gioia e
semplicità di cuore, molti si sentiranno attratti dall’amore dei figli di Dio, e
riusciranno a trovare il Padre buono che desidera abbracciare tutti con la sua
misericordia.
Il giorno dopo il sabato Maria Maddalena si recò piena di dolore e di amore al
sepolcro del Maestro per ungere Colui che era stato crocifisso. È una vicenda
che leggiamo nei Vangeli con autentica gioia, perché sappiamo che presso il
sepolcro, incontrerà proprio Cristo, risuscitato, con un corpo glorioso. In
quell’incontro il Signore, volendo rivelarsi, chiamò la Maddalena con il suo
nome: Maria! Ella lo riconobbe subito ed esclamò: Rabbuni! , Maestro! Maria
non può né vuole contenere di gioia, ora che ha la certezza che il Signore è vivo.
In quell’istante le tenebre dell’anima di questa donna si dileguarono e la tristezza
si aprì a una gioia incontenibile. Il Signore si fa riconoscere da una donna di
fede.
Ho voluto ricordare questo episodio perché ci aiuti a scoprire che, nella sua
prima azione, Cristo Risorto compie l’opera di misericordia di cui parliamo oggi:
consolare gli afflitti .
Effettivamente noi, figli di Dio, siamo fatti per godere del Bene. Però nel
nostro percorso possiamo imbatterci nel dolore, perché tristemente e liberamente
preferiamo il peccato o perché la provvidenza di Dio permette la sofferenza in
modo che ci uniamo alla sua Croce, come chiede nel Vangelo. Fa parte del
mistero dell’uomo questa coesistenza quotidiana con il male, una realtà che non
dovrebbe scoraggiarci, ma farci aumentare la speranza nel Signore e il desiderio
di ricorrere a Lui, sapendo che il dolore e la sofferenza fanno parte dei suoi
disegni pieni di amore, come del resto rientra nella sua provvidenza l’invito a
pentirci e a ricominciare, quando sbagliamo.
Può anche accadere che colui che sperimenta il male tenda a isolarsi, credendo
di essere capace di sopportare questo peso senza l’aiuto di nessuno. Utilizzando
questo tranello, il diavolo ci separa da Dio e dai nostri fratelli, facendoci credere
di essere oggetto solamente di incomprensione e di inimicizia, dandoci alcuni
falsi consigli che, alla fine, lasciano unicamente un sapore amaro. Sola era Eva
nel Paradiso quando osò dialogare con il Tentatore, e solo era Giuda quando si
disperò nella notte della Passione. Aveva evidentemente ragione san Paolo
quando concludeva così la sua lettera ai Corinzi: “La tristezza del mondo
produce la morte”.
Le contrarietà fanno parte della vita, ma faremmo male se le affrontassimo
affidandoci esclusivamente sulle nostre forze. Durante questa lotta potrebbe
nascere la tristezza e la tristezza trascina fino al pessimismo, allontanandoci così
da Dio e dai nostri fratelli. “L’abisso chiama l’abisso”, dice la Sacra Scrittura. In
questi momenti abbiamo bisogno di mani che ci trattengano dal cadere.
A chi attraversava questi brutti momenti, san Josemaría consigliava di cercare
per prima cosa consolazione nella preghiera e nel tabernacolo, perché da Dio
proviene ogni misericordia. «Per porre un rimedio alla tua tristezza – ha scritto
in Cammino -, mi chiedi un consiglio. Ti darò una ricetta che proviene da buone
mani: dall’Apostolo Giacomo. – “Tristatur aliquis vestrum? ” – Sei triste, figlio
mio? – “Oret! ” – Fa’ orazione! – Prova e vedrai».
Il fondatore dell’Opus Dei ricorreva al Cielo quando gli costava accettare una
situazione spiacevole, per esempio la morte di una persona vicina, di un parente
o di un amico. Pur soffrendo il naturale dolore di padre – di figlio, di fratello, di
amico –, non si abbandonava alla tristezza, ma pregava così: «Sia fatta, si
compia, sia lodata ed eternamente esaltata la giustissima e amabilissima Volontà
di Dio sopra tutte le cose. – Amen. – Amen». E ripeteva due volte la parola
amen per sottolineare con forza la sua adesione alla Volontà di Dio, anche se gli
costava o non ne comprendeva il senso. Ho un ricordo molto vivo di come san
Josemaría ricavava una grande consolazione da questa preghiera.
Nello stesso tempo, in tante occasioni, l’aiuto di Dio ci arriverà attraverso
altre persone: amici, colleghi, parenti, o anche sconosciuti. Ci consoleranno, o
saremo noi a consolarli, aprendo così una strada che permetta a Dio di mitigare,
con la sua misericordia, le difficoltà e i dispiaceri che tutti affrontiamo nel nostro
cammino terreno.
Consolare non è un compito facile, ma richiede molto tatto, perché l’anima di
chi soffre si trova, per così dire, in carne viva , in preda a un forte malessere.
Una parola in più o in meno può guarire o può ferire. Allora, la nostra presenza
sarà sufficiente; in altri momenti, sarà necessario dire qualcosa che trasmetta
speranza e che aiuti a considerare una situazione da una prospettiva diversa.
Per consolare in modo efficace, vi consiglio di chiedere aiuto agli angeli
custodi. Dio Padre ha inviato un angelo per consolare Cristo nell’orto degli ulivi
nel momento della più grande sofferenza nella vita del nostro Salvatore. In
questa scena, che tante volte può alimentare la nostra preghiera, appare evidente
che consolare, figlie e figli miei, sorelle e fratelli miei, è un’azione divina.
Questa consolazione durante l’agonia di Cristo, mette in evidenza l’Amore di
Dio e l’assistenza dello Spirito Santo, il grande Consolatore.
Ricorderete che san Josemaría – seguendo la tradizione della Chiesa –
affermava che noi, gli uomini e le donne, quando siamo in grazia di Dio, siamo
tempio della Trinità . Di conseguenza, nell’esercitare o nell’accettare un atto di
misericordia, stiamo manifestando al mondo questo flusso di amore che parte dal
Padre, accoglie il Figlio e rivela lo Spirito Santo: una cosa tanto importante che,
per bontà del Signore, può essere compiuta con un gesto normalissimo come una
carezza, poche parole di consolazione, un momento di ascolto paziente, un
ascoltare in silenzio o in preghiera accanto alla persona che soffre.
Nella stessa scena dell’orto dei Getsemani ci viene rivelata una delle difficoltà
che presenta questa opera di misericordia: quella di non essere capaci di scoprire
la sofferenza del nostro prossimo. Infatti, a pochi metri da nostro Signore, gli
Apostoli dormivano, ignari del dolore che pervadeva il loro Maestro. Vediamoci
riflessi nel loro torpore. Siamo addormentati quando ci concentriamo nei nostri
problemi, quando la fretta ci impedisce di fermarci ad ascoltare, quando non
diamo importanza ai segnali di tristezza che mostra un parente o un amico,
quando vogliamo dare un consiglio senza aver prima ascoltato, quando
condanniamo chi ha sbagliato, mettendo limiti alla nostra pazienza.
Termino con una bella preghiera di lode che san Paolo trasmise ai suoi fratelli
di Corinto e che riassume il nocciolo dell’opera di misericordia che abbiamo
commentato oggi. Dice così: “Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù
Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione, il quale ci consola in
ogni nostra tribolazione, perché possiamo anche noi consolare quelli che si
trovano in qualsiasi genere di afflizione con la consolazione con cui siamo
consolati noi stessi da Dio”. Amen.