Per santificare il mondo
San JosemarÍa invita ad "amare il mondo appassionatamente"
Autore: San Josemaría Escrivá
La solenne liturgia ebbe luogo in occasione della II Assemblea generale degli amici dell’università di Navarra e fu officiata nel campus universitario, più esattamente nel luogo conosciuto come la spianata della Biblioteca. Era indubbiamente l’atto più importante di quelle giornate.
Quando si guarda una fotografia del luogo in un momento così storico e la si paragona con una attuale di identica prospettiva, si possono osservare molti dettagli interessanti, anche se uno s’impone a prima vista su tutti: i begli alberi che adornano oggi questo amabile angolo del campus allora non esistevano o, forse, erano soltanto piccoli arbusti circondati da una macchia di prato, che i presenti alla cerimonia liturgica evitarono di calpestare.
Come gli alberi, anche l’Università di Navarra è cresciuta in modo notevole e, contemporaneamente, si sono sviluppate tante altre iniziative apostoliche che san Josemaría fondò, benedisse e amò. L’Opus Dei, che già in quel 1967 faceva arrivare la sua efficacia santificatrice ai quattro angoli della terra, ha avuto, in questi più che 50 anni, per grazia di Dio e sotto la guida amorevole, successivamente, di san Josemaría, di mons. Álvaro del Portillo e di mons. Javier Echevarría, una straordinaria espansione del suo servizio universale alla Chiesa e alla società.
L’omelia[1] che san Josemaría proclamò quel giorno con voce ferma, con tono vibrante e nello stesso tempo moderato, e sempre con l’impressionante auctoritas della sua condizione di fondatore e pastore dell’Opus Dei, ha percorso da allora un lungo e fecondo cammino di semina di santità. Quando l’omelia fu pronunciata, vedeva la luce la sua prima edizione scritta, perché alla fine della santa Messa alcune copie furono distribuite alle autorità e agli invitati. Le edizioni successive (sia dell’edizione singola sia di quella inserita nel libro Colloqui con monsignor Escrivá) hanno superato ormai il centinaio, in una decina di lingue. Il seme di amore di Dio, di vita ordinaria santificata, di generosità apostolica, di servizio alla Chiesa, di amore cristiano per il mondo che san Josemaría sparse a piene mani davanti ad alcune migliaia di persone, continua a fiorire oggi in ogni angolo del mondo.
Un testo nato in un clima di preghiera e di zelo per le anime
Coloro che partecipavano alla II Assemblea degli amici dell’università di Navarra aspettavano con gioia ed emozione il momento in cui sarebbe cominciata la santa Messa del Gran Cancelliere nella spianata della Biblioteca. Stare vicino a san Josemaría e, ancor più, poter partecipare al Santo Sacrificio da lui celebrato aveva un grande significato per le persone lì riunite, tra le quali si contavano tanti suoi figli e figlie e tanti cooperatori e amici. Molti di loro – forse la maggioranza, costituita da persone giovani – non lo avevano mai visto e soltanto pochi avevano avuto l’opportunità di assistere qualche volta a una sua Messa, e ne conservavano nel cuore il ricordo come un dono della Provvidenza. Erano migliaia di persone felici e grate di trovarsi insieme al fondatore dell’Opus Dei e soprattutto di prendere parte con lui – e, in certo qual modo, attraverso di lui – alla “azione più sacra e trascendente che noi uomini possiamo realizzare, per grazia di Dio, in questa vita”[2].
Non è possibile descrivere a parole la forza spirituale del momento. Lì diventava evidente l’espressione “Vivi la Santa Messa!”[3], che tanti fedeli cristiani hanno imparato a far propria, seguendo gli insegnamenti di san Josemaría. In quel “tempio divenuto il luogo per antonomasia della vita cristiana”, così lo descriveva nell’omelia – “la navata è il campus universitario, la pala d’altare è la biblioteca dell’Università; attorno ci sono le gru per la costruzione di nuovi edifici; e, sopra di noi, il cielo di Navarra…”[4] –, era patente la fede e la pietà di una folla in preghiera. Si “udivano” con uguale intensità i dialoghi e i silenzi liturgici. Con lo sguardo fisso sul celebrante e sull’altare, si viveva intensamente il sacro rito.
In quel clima spirituale, dopo le letture, arrivò il momento dell’omelia, che fu seguita dal principio alla fine con attento e rispettoso interesse. Il fondatore dell’Opus Dei, in piedi davanti all’altare e con i fogli dell’omelia nelle mani (glieli aveva passati don Javier Echevarría, che era rimasto al suo fianco), pronunciava il testo con la cadenza e la modulazione necessarie perché potesse essere seguita in quello spazio aperto. Proclamava la dottrina – gli aspetti centrali dello spirito che Dio gli aveva affidato – con eleganza e vigore, con quella forza di attrazione e di convinzione che aveva sempre la sua predicazione. Leggeva il testo come se improvvisasse, ma si capiva che lo conosceva molto bene. Lo aveva preparato con cura nelle settimane precedenti, mentre si trovava a Elorrio, nei Paesi Baschi, e lo aveva rifinito qualche giorno prima della cerimonia di Pamplona. Ogni paragrafo, ogni parola dell’omelia era frutto della sua meditazione personale e del suo desiderio di aiutare tutti dando il buono spirito a piene mani.
Questa omelia e tutti gli scritti pastorali che san Josemaría ha lasciato in eredità ai suoi figli e a tutta la Chiesa posseggono, infatti, indipendentemente dalle loro concrete circostanze di tempo e luogo, e dalle loro differenti caratteristiche interne, una importante qualità comune. Sono venuti alla luce in un clima di preghiera, di impegno nella missione e nello spirito fondazionale, di piena fedeltà alla dottrina di fede della Chiesa cattolica e di desiderio di anime. Nati nel cuore e nella mente del fondatore, sono una sorgente dalla quale emana incessante lo spirito dell’Opus Dei, oltre che un motore di vita cristiana per persone di ogni luogo e condizione. Non si può fare a meno di avvicinarsi a loro, come è tradizione nell’Opera, con gratitudine e venerazione, leggerli e meditarli con una disposizione personale simile a quella con la quale furono scritti: in un ambito di preghiera, di impegno nel compito apostolico affidatoci, di fedeltà alla Chiesa.
Non è vero che l’omelia Amare il mondo appassionatamente, riletta in un clima di orazione e di zelo per le anime nel quale fu concepita, impressiona sempre per la forza spirituale che racchiude in sé? San Josemaría volle che pochi giorni prima di essere pronunciata da lui nel campus di Navarra, fosse letta in sua presenza a un gruppo di suoi figli. L’impressione che lasciò in essi fu, in certo qual modo, un’anticipazione di quella che avrebbe trasmessa qualche giorno dopo a coloro che l’ascoltarono dalle sue labbra a Pamplona e di quella che ha continuato a produrre in quanti l’hanno letta in questi anni.
Vivere santamente la vita ordinaria
La frase con cui s’intitola questo paragrafo è il leitmotiv dell’omelia: la sua vera musica di fondo. Queste cinque parole sintetizzano perfettamente il suo contenuto e inoltre, facendo un passo avanti, permettono di formulare in breve e con esattezza la sostanza del messaggio fondazionale di san Josemaría: la vita ordinaria può essere mezzo di santità, Dio ci chiama a santificarci in essa. “Siamo venuti a dire, con l’umiltà di chi si sa peccatore e poca cosa homo peccator sum (Lc 5,8), diciamo con Pietro ma con la fede di chi si lascia guidare dalla mano di Dio, che la santità non è cosa per privilegiati: che il Signore chiama tutti, che da tutti si attende Amore: da tutti, dovunque si trovino; da tutti, di ogni condizione, professione o mestiere. Perché la vita normale, ordinaria, poco appariscente, può essere mezzo di santità: non è necessario abbandonare il proprio stato nel mondo per cercare Dio, se il Signore non dà a un’anima la vocazione religiosa, poiché tutte le strade della terra possono essere occasione di un incontro con Cristo”[5]
L’omelia insiste su questa dottrina fondamentale e mette in evidenza le sue principali chiavi teologiche e spirituali, come per esempio il fatto di accentuare fin dall’inizio il principio che la vita ordinaria è “il vero luogo della nostra esistenza cristiana”[6]. Il termine “luogo” indica l’insieme di realtà che costituiscono la nostra esistenza quotidiana: circostanze, desideri, azioni, preoccupazioni personali, rapporti con gli altri, avvenimenti, ecc. Tutte le vicissitudini materiali e spirituali della nostra vita di persone normali durante le ventiquattro ore di una giornata costituiscono, contemporaneamente e inseparabilmente, l’ambito necessario dell’essere cristiano, che consiste nel vivere la vita quotidiana in riferimento a Cristo, come figli di Dio. “Esistenza cristiana” nulla aggiunge a “vita quotidiana”, salvo l’intenzionalità di viverla, con l’aiuto della grazia, in Cristo[7], vale a dire, lasciandosi guidare dallo Spirito Santo[8]: con senso soprannaturale, con carità e verità, con finezza di coscienza, con retto criterio morale. In definitiva, come figli di Dio. “Il cielo e la terra, figli miei, sembra che si uniscano laggiù, sulla linea dell’orizzonte. E invece no, è nei vostri cuori che si fondono davvero, quando vivete santamente la vita ordinaria…”[9].
Nel dono dell’adozione filiale che Dio ci ha concesso per i meriti di Cristo, e nella chiamata che ci rivolge a comportarci in tutto, confortati dalla grazia, quali figli suoi, affonda le radici l’umile grandezza dell’esistenza cristiana, che – se non la spegniamo con azioni sconsiderate – è un immenso faro di luce in mezzo alla società. “Voi siete la luce del mondo”[10].
La voce di san Josemaría risuonava con straordinaria determinazione in quella mattina dell’ottobre del 1967: “Non vi è altra strada, figli miei: o sappiamo trovare il Signore nella nostra vita o non lo troveremo mai”[11] Quella stessa voce, affabile e paterna, continuava a ricordare a tutti noi cristiani che abbiamo il dovere di mostrare ai nostri concittadini, a tutta la società contemporanea, il vero volto amabile e misericordioso di Cristo: l’obbligo che possa essere conosciuto nella e per la nostra vita. “Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli”[12].
Vivere santamente la vita ordinaria – “senza risonanza, semplice, verace”[13] – è, come abbiamo verificato nella nostra stessa esistenza, un ideale di straordinaria attrattiva; ma soltanto se si arriva a comprenderne pienamente la grandezza (la “grandezza della vita quotidiana”[14], quando questa esistenza è imbevuta continuamente di spirito apostolico, di zelo per le anime. “Santità nelle occupazioni abituali, santità nelle cose piccole, santità nel lavoro professionale, nei doveri quotidiani…; santità, per santificare gli altri”[15]. I fermi capisaldi del cammino dell’Opus Dei, voluti come tali da Dio, si continuano a impiantare e a estendere giorno dopo giorno in tutto il mondo sul fondamento della fede (perché “senza fede viene a mancare la base stessa per la santificazione della vita di tutti i giorni”[16]) e della messa in pratica – con naturalezza e audacia, con umiltà e senza timori – della libertà del cristiano (“non potreste realizzare questo programma di vivere santamente la vita ordinaria, se non fruiste di tutta la libertà che vi viene riconosciuta sia dalla Chiesa che dalla vostra dignità di uomini e di donne creati a immagine di Dio”[17]).
Amare il mondo appassionatamente
Una frase che il fondatore dell’Opus Dei scrisse nell’omelia del campus e che al momento della sua proclamazione liturgica pronunciò con una singolare vibrazione, è servita per ispirare il titolo con il quale l’omelia è passata alla storia: “Amare il mondo appassionatamente”. Ci riferiamo alla frase che suona così: “Sono un sacerdote secolare: un sacerdote di Cristo Gesù che ama appassionatamente il mondo”[18]. Tra la frase e il titolo c’è una parentela evidente, ma non è meno evidente che la frase dice più di quello che il titolo esprime. C’è in essa un plus di significato, il cui peso teologico conferisce anche implicitamente al titolo la sua autentica portata spirituale.
Quando l’omelia uscì dalla penna di san Josemaría non aveva un proprio titolo, e neppure lo aveva nella sua prima edizione[19] o nelle prime riproduzioni su alcuni mezzi di comunicazione in lingua castigliana. Soltanto quando fu tradotta e pubblicata in altre lingue – come il francese e l’italiano – ricevette, con l’approvazione dell’Autore, un proprio titolo[20]. Fu quello italiano (Amare il mondo appassionatamente), direttamente ricavato dalla frase menzionata, a essere adottato nelle traduzioni e nelle edizioni successive. Con questo titolo, ormai definitivo, l’omelia fu inserita nel libro Colloqui con monsignor Escrivá.
L’amore per il mondo del quale tratta l’omelia non è un amore semplicemente naturale, come quello che potrebbe nascere in qualcuno che ne ammiri l’armonia e la bellezza in base a una prospettiva estranea al senso religioso, o anche – pur senza escludere un suo riferimento a Dio – da una disposizione religiosa generica. San Josemaría, al contrario, nella sua omelia sta parlando dell’amore cristiano verso il mondo, da lui contemplato non soltanto come creazione di Dio – cosa caratteristica della visione di un credente – ma soprattutto, andando oltre, come luogo dell’incontro personale con Cristo, come scenario nel quale noi cristiani siamo chiamati a “vivere santamente la vita ordinaria”. Il mondo che il fondatore dell’Opus Dei ama e insegna ad amare è amabile essenzialmente “perché è uscito dalle mani di Dio, perché è creatura sua, perché Jahvè lo guardò e vide che era buono (cfr. Gn 1, 7 e ss.)”[21]. Nell’amore per il mondo di san Josemaría s’indovina il sublime insegnamento del Signore a Nicodemo: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito” (Gv 3, 16). Questo è il mondo che egli contempla e ama con amore sacerdotale: quello che, amato eternamente dal Creatore, è stato redento e santificato da Cristo mediante la sua vita umana, la sua morte e la sua gloriosa risurrezione e ascensione in Cielo.
L’amore appassionato di san Josemaría per il mondo non smette di ardere nella fiamma dell’amore a Cristo e alla sua opera di salvezza. È un amore apostolico, un amore redentore e, in tal senso, un amore anche sacerdotale, mediatore, sacrificato, partecipe dell’amore per il mondo del Sacerdote Eterno, Cristo Signore nostro. Il riferimento personale del cristiano al mondo (il suo mondo, la sua occupazione, la sua quotidiana relazione con le persone e le cose) include sostanzialmente, in virtù del sacerdozio comune, una dimensione di mediazione e suscita, nell’anima aperta alla grazia, l’intenzione di condurre a Dio tutte le cose, di indirizzarle alla loro meta, che è la gloria di Dio. “Tutte le cose sono vostre, voi siete di Cristo e Cristo è di Dio” (1 Cor 3, 22-23). Si tratta di un moto ascensionale che lo Spirito Santo, diffuso nei nostri cuori, vuole provocare nel mondo: dalla terra, fino alla gloria del Signore[22]. Queste parole ci ricordano quelle altre nelle quali parla del “flusso trinitario di amore per gli uomini [che] si perpetua in maniera sublime nell’Eucaristia”[23]. La corrente di amore di Dio che è discesa sui cristiani e sulla creazione intera, perpetuata nel Sacrificio dell’altare, richiede di essere bilanciata dal movimento ascensionale dell’amore di Dio e verso tutte le cose create – quotidianamente acceso nell’Eucaristia – per ricondurre l’intera creazione redenta al suo Creatore. È un ideale appassionante, come l’amore che lo Spirito Santo induce e sostiene in noi.
In tutto lo sconfinato panorama del lavoro
“Dio vi chiama per servirlo nei compiti e attraverso i compiti civili, materiali, temporali della vita umana: in un laboratorio, nella sala operatoria di un ospedale, in caserma, dalla cattedra di una università, in fabbrica, in officina, sui campi, nel focolare domestico e in tutto lo sconfinato panorama del lavoro, Dio ci aspetta ogni giorno”[24]. Quelle migliaia di persone che l’8 ottobre 1967 lo ascoltavano attentamente, non erano che una piccola rappresentanza di tutti quelli che, dal 1928 e sino alla fine dei tempi, saranno confortati dal suo messaggio di santità. Nel campus di Pamplona, davanti al fondatore dell’Opus Dei, si trovava, in certo qualche modo, come in stretta sintesi, lo sconfinato panorama del mondo del lavoro – il mondo degli uomini e delle donne normali, quello del loro quotidiano esistere – in mezzo al quale Dio, nella sua misericordia, aveva fatto germogliare quella sorgente permanente di luce e di senso cristiano che è lo spirito dell’Opus Dei.
“Guardate gli uccelli del cielo […] Osservate i gigli del campo…”, diceva Gesù alle folle che ascoltavano il suo discorso sulla montagna, facendoli meditare sulla presenza benefica di Dio tra noi, sulla sua provvidenza paterna[25]. Il Signore ha voluto anche che, attraverso san Josemaría, risuoni in seno alla Chiesa e nel cuore stesso del mondo, una certa eco delle sue parole, e che non manchino persone che, al calore dello spirito dell’Opus Dei, sappiano mettere in evidenza il significato cristiano degli accadimenti quotidiani. “Sappiatelo bene: c’è un qualcosa di santo, di divino, nascosto nelle situazioni più comuni, qualcosa che tocca a ognuno di voi scoprire”[26]. Questo quid divinum che tocca a ciascuno di noi scoprire, contribuendo così a fare in modo che anche altri s’incoraggino a scoprirlo, è semplicemente “la Volontà di Dio in questi particolari piccoli e grandi della vita”[27], vale a dire, ciò che dà valore e significato trascendente alla vita ordinaria è che, in e con essa, Dio dice ciò che si aspetta da ciascuno di noi.
“Sono molti gli aspetti dell’ambiente secolare in cui vi muovete, che vengono a essere illuminati partendo da queste verità”[28], ripete nuovamente san Josemaría con le sue parole di allora. In realtà, sono la propria anima, l’intelligenza, la coscienza, a illuminarsi in primo luogo partendo da queste verità, e con esse si riempie di nuova luce e si purifica anche lo sguardo sugli avvenimenti e sulle cose. Il mondo in cui viviamo e operiamo come “cittadini nella vita civile”[29], quando è contemplato con occhi di cristiani, con uno sguardo di figlio di Dio, lascia vedere attraverso la sua bellezza la Bellezza del suo Autore, attraverso la sua grandezza la grandezza dell’Amore Creatore.
Il mondo che Dio amorosamente ha creato e redento in Cristo per noi suoi figli, questo mondo reale del quotidiano che ci è stato consegnato perché lo santificassimo e lo mettessimo ai piedi del suo Signore, risveglia l’amore, stimola il lavoro, sollecita lo zelo apostolico. In definitiva, invita a “vivere santamente la vita ordinaria” con generosità e audacia, con senso apostolico, con intenzione: “perché una vita santa nel mezzo della realtà temporale […] non è forse oggi la manifestazione più commovente delle magnalia Dei (Sir 18, 5), delle mirabili prove di misericordia che Dio ci ha dato sempre, e che sempre continua a darci per salvare il mondo?”[30].
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