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Pratica dell'esame di coscienza, la strategia spirituale (IV)

Fedeltà alle piccole cose: grandezza vera delle anime

Autore: Autori Cristiani

Nella mente di qualcuno potrebbe affiorare l’obiezione: una concezione così raffinata e metodica della vita spirituale, non può provocare l’avversione per questi esami di coscienza?
Dobbiamo riconoscere che la superficialità della vita spirituale e i vieti preconcetti di anime, anche tra le elette, possono distogliere dall’esame sereno e approfondito delle più serie questioni spirituali; e creare vere incomprensioni della psicologia e degli intendimenti dei Santi, i quali seppero unire una meravigliosa libertà di spirito, alla vigilanza minuziosa e costante sopra se stessi. Alcuni credono di avere l’anima grande perché non fanno più caso della fedeltà alle piccole cose, detta a buon diritto la virtù specifica dei santi.
Sono le minime finezze che danno l’ultimo pregio a un capolavoro. Così pure sono le sfumature, impercettibili ai più, che coronano la virtù e la santità, costituendo la espressione della vera grandezza di animo. “E’ veramente grande ammonisce S. Agostino chi è fedele nelle piccole cose: In minimo fidelem esse, maximum est”.
E quali esercizi saranno sacrificati innanzi tutto? Risponde un accreditato maestro di vita spirituale, il Beaudenon: Sono proprio i più importanti, perché anche i più pesanti; sarà la meditazione; sarà, specialmente, l’esame particolare.
Eppure; chi non vede come tutto in noi: fatiche giornaliere, riflessi di vita moderna, agitazioni sociali preoccupazioni materiali cospira oggi, non a semplificare, ma a minimizzare la nostra attività interiore?
Nessuno può negare che la vita divina in noi, sia frutto della grazia da una parte, e dello sforzo individuale con cui ciascuno deve studiarsi di annientare le tendenze corrotte della propria natura e sviluppare i germi di grazia immessi in noi, senza egoistici compromessi. E non è forse, attraverso queste analisi anche minute, questa insistente osservazione dei moti della natura in contrasto Con quelli della grazia, che l’anima scopre se stessa, che scende nell’abisso del suo nulla, e che, constatando giornalmente la moltitudine delle imperfezioni, sente impellente il bisogno del divino aiuto e lo implora con più fervida preghiera?
Iddio ci guardi dagli scrupoli, ma non ci guardi meno dall’infedeltà all’altissimo ideale religioso, inerente alla vocazione a cui Egli ci destinò!
Se tutti gli autori ascetici son d’accordo nel magnificare l’esame particolare, non tutti concordano nella valutazione del metodo da seguire. Pur data la brevità imposta dal presente volumetto, e il suo carattere tutto pratico, non possiamo, per dovere di obbiettività , tacere del tutto, di metodi più o meno diversi da quello esposto finora.
Così c’é una discreta divergenza tra la dottrina spirituale del Padre Luigi Lallemant, con quella del Padre Rodriguez, ambedue gesuiti. Però, tutti e due si muovono nel campo dell’insegnamento, inculcato dai più autorevoli maestri di spirito.
Il Rodriguez, che si rivolge sopratutto ai novizi, inculca più fortemente l’esercizio delle virtù e delle buone opere; il Lallemant, che parla a uomini formati, si attarda alla custodia del cuore, con l’umiltà e la mortificazione, spinte fino all’eroismo. Il Rodriguez mira sopratutto alla formazione morale, Lallemant, all’unione con Dio, mediante la purificazione del cuore. In uno prevale l’ascetica; nell’altro, la mistica.
Convergenza di sostanza, differenza di metodo, ma con interferenze e intercomunicazione.
“E’ vero che le virtùspiega il Lallemant, si possono amare per la loro bellezza ed eccellenza particolare, ma se noi le consideriamo come rifulgenti nella Persona adorabile del Figlio di Dio, si scoprono incomparabilmente più amabili e più degne di stima”.
Anche l’ascesi propugnata dal fondatore dell’Oratorio francese, cardinale Pierre de Bérulle, non si propone di lavorare direttamente ed esclusivamente a sterminare tale vizio, o ad acquistare tale virtù; ma, più semplicemente, di applicare a se stesso le virtù, gli “stati” o disposizioni di Gesù, che è insieme, il nostro ideale, l’espressione della verità morale e della nostra santità.
Dunque, più che soffermarsi agli atti esteriori, bisogna risalire alle nostre disposizioni interiori. In tal modo “i nostri difetti e le nostre imperfezioni appariranno ben più chiaramente, per il contrasto che noteremo tra noi e il modello divino. Ma non ne saremo scoraggiati, perché Gesù è, nello stesso tempo, medico delle anime, che non domanda altro se non di curare le nostre piaghe e di guarirle”.
L’esame così inteso, verterà “sul cattivo uso delle disposizioni e delle virtù di Gesù, rigettando le sue ispirazioni, contrastando le sue operazioni e i moti della sua grazia; sul cattivo uso fatto dei suoi misteri, non avendoli onorati com’era nostro dovere, per farne derivare in noi le grazie (con essi impetrateci)”.
Su questo metodo cosiddetto “oratoriano”, sintetizziamo qualche considerazione del P. Grimal.
Quando faccio entrare quasi nella trama intima del mio essere Gesù col suo sforzo costante per vivere in me mortificandomi, questo esercizio diventa dolce e attraente come l’orazione stessa. Esaminando e riesaminando quello che ho fatto a contatto con Gesù, Salvatore e Santificatore, nel corso di ogni giornata, l’esame particolare diviene una nuova e sempre più piena presa di possesso della sua azione vitale.
Da un tale esame scaturiscono naturalmente i vari atti dell’esame particolare. L’anima entrerà nel santuario della sua vita intima, che è anche il santuario di Dio; giunta qui, domanderà una grazia speciale di luce, per vedersi e giudicarsi come la vede e la giudica Dio; a questa luce, esaminerà ciascuno degli atti in cui la sua volontà si è trovata a contatto con la grazia di Gesù, per cooperarvi o farle ostacolo; infine sentirà e dirà a Dio il proprio dolore e la contrizione per le opposizioni constatate.
Veramente questi quattro atti non costituiscono un aggregato artificiale, ingegnosamente combinato per aggregato artificiale, ingegnosamente combinato per occupare i quindici interminabili minuti dell’esame. Ciascuno costituisce un elemento essenziale di questo esercizio; e bisognerà consacrare ai due primi e all’ultimo, almeno tanto tempo, quanto all’esame propriamente detto.
La bella preghiera berulliana O Jesu, vivens in Maria costituisce la più felice conclusione di un esercizio, che mira unicamente a far vivere Gesù in noi, nella perfezione delle sue vie, nella comunione dei suoi misteri, nella verità delle sue virtù”.
Non è facile dire quale sia il migliore. Il buon senso ci dice che il migliore per ognuno, è quello che più conviene alla sua anima. Ognuno, infatti, ha il suo temperamento, i suoi gusti, il suo modo di fare, d’insegnare Perciò questo problema deve essere risolto da ogni anima, individualmente, d’accordo col proprio direttore di coscienza, sotto il divino influsso dello Spirito Santo.
E’ la sensata osservazione del Padre Faber: “Non si può stabilire la superiorità di un metodo sull’altro; tutti e due sono santi e hanno formato dei santi. La scelta tra i vari metodi è anche una questione di attrattiva o di vocazione”.
Assai lodevole è senza dubbio, a questo proposito, il pensiero di unificare la propria vita intima, facendola scaturire da un’idea fondamentale a largo respiro, che informi l’attività integrale dell’anima. Tutto allora, si fa convergere, e tutto si fa derivare da quell'”idea madre”, che dà unità e convergenza ai singoli sforzi e anche ai vari “soggetti” o ai “punti”, scelti successivamente per l’esame particolare.
Se, ad esempio, l’idea direttiva prescelta è la perfetta conformità alla volontà di Dio, l’esame particolare più che tendere a combattere tale o tale altro difetto per se stesso, ad acquistare tale o tale altra virtù per se stessa; avrà per fine di esercitare la volontà a sottomettersi in bel modo al volere divino sempre e incondizionatamente, a evitare determinate colpe e a praticare certi atti di virtù.
Così facendo, l’anima diminuisce in numero e gravità le sue mancanze, e si pone senz’altro in uno stadio avanzato di perfezione; poiché, al dir di S. Teresa, “la perfezione consiste nell’assoggettare la propria volontà a quella di Dio”Tutto questo semplifica assai il lavoro spirituale, e mette la santità alla reale portata di tutte le anime, in qualunque condizione di vita. E’, in fondo, la “piccola via”, inculcata tanto efficacemente da S. Teresa del Bambino Gesù, tutta fondata sull’umiltà, sulla fiducia, sull’abbandono all’amore misericordioso di Dio.
Un’altra idea di vasta portata panoramica nella vita spirituale, è la sempre più stretta aderenza dell’anima, alla Persona e alla fedele imitazione di Nostro Signore Gesù Cristo. Allora l’esame verterà ordinariamente sulla conformità o sulla difformità dei pensieri, degli affetti e delle azioni, con quelli del nostro amabile Redentore, nella sua infanzia e adolescenza; nella sua vita pubblica, dolorosa e gloriosa; nella sua permanenza Eucaristica tra noi; nelle tenere effusioni e nei pressanti inviti del suo Sacro Cuore.
Un lavoro spirituale analogo può essere ispirato dalla devozione realmente sentita e rettamente praticata, verso l’augusta Madre di Dio; sul tipo, ad esempio, della “schiavitù mariana”, proposto da S. Luigi Maria Grignion di Monfort.
Quadra bene a tal proposito, l’analogia originale che ci presenta il Padre Tissot: “Quando l’acqua esce con forza da cento forellini della cipolla di una doccia, s’imporrebbe certamente una grave bisogna, chi volesse turarli uno a uno; mentre, girando una chiave, può arrestare il deflusso dell’acqua; specialmente poi, se vi fosse la probabilità di veder riaprirsi i fori già chiusi. Tale è lo sforzo di chi, nell’esame particolare, combatte le mancanze singole, senza dare uno sguardo profondo alla disposizione dominante nell’anima sua” e senza avere in mente un piano ben determinato di lavoro spirituale.
Qualunque sia il metodo trascelto, lo stimolo più efficace a lottare contro la natura sregolata e a bandire dal cuore gli affetti terreni, è invariabilmente quello di coltivare nell’animo un grande amore per Gesù. Il cuore umano ha tesori di affetto che deve volgere a Dio, se non vuole ripiegarsi su se stesso con un amore colpevole, o affezionarsi alle creature.
Gesù è per noi l’AMICO! Lo ha detto esplicitamente nella sorprendente dichiarazione fatta agli Apostoli nel gran giorno degli addii, precedente la sua Passione: Non vi chiamerò più servi, ma amici. Chi ha accettato la commovente profferta di Gesù, si obbliga a migliorarsi con la fatica diuturna, imitandone la vita e le virtù, poiché l’amicizia suppone una certa uguaglianza; e se non esiste, la crea.
In questo campo bisogna stimolare di continuo tante latenti energie, e progredire fino a poter asserire col grande Apostolo: Vivo, non più io, ma vive in me Cristo. Gesù deve vedere coi nostri occhi, parlare con la nostra lingua, lavorare con le nostre mani, amare col nostro cuore; perché tutta la morale evangelica non consiste in esasperanti analisi d’introspezione psicologica, e neppure nello studiare o nell’ammirare astrattamente il Redentore, ma nel riprodurne i molteplici aspetti nella propria vita.
L’esemplare raggiunge il massimo dell’efficacia, se agisce in noi con un proprio impulso; ed è quel che si verifica quando l’ideale da riprodurre è Gesù, l’Uomo-Dio, Redentore e Mediatore dell’umanità.
Gesù stesso c’invita, specificando le virtù basilari della perfezione cristiana: Imparate da me, che sono mite e umile di cuore. E ci assicura che al suo seguito il giogo è soave, e leggero il peso da addossarsi.
Perciò, esercitarsi nella virtù per purificare l’anima, espiare i propri peccati, eliminare gli ostacoli all’azione divina, raccogliere a dovizia sicuri meriti, attirare benedizioni celesti sull’apostolato, sono cose eccellenti; ma, chi vuole perseverare nell’abnegazione di sé, deve avvivare il tributo giornaliero di sacrifici col fuoco interiore di un amore appassionato per Gesù, al quale vuole servire e piacere. Ecco il segreto del fervore che non conosce tepidezze, della generosità che non consente ingiustificate dilazioni, né soste rilassanti alla natura indolente e riottosa.
Questo lavoro arduo, trova mezzi di sicura efficacia nella meditazione e nell’esame particolare. Con la meditazione si contempla l’ideale radioso di ogni virtù, nell’impeto di carità che divampa dal Cuore Divino; con l’esame particolare si riguarda l’anima propria per correggerne man mano i tratti di dissomiglianza, ed eliminare i più stridenti contrasti.
Così si superano molti ostacoli, e si conquista, con rapide ascese, l’altissima vetta della perfezione cristiana, irradiata dagli splendori divini della santità.

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