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Prossimo distante: l’ossimoro che scuote la fede

Meditazione per la sesta domenica del tempo ordinario

Autore: Padre Gaetano Piccolo

Distanziamento

L’espressione più ricorrente in questo periodo di pandemia è sicuramente l’invito a rispettare la cosiddetta “distanza sociale”, ma, come ha giustamente osservato l’Accademia della Crusca, sarebbe meglio parlare di un distanziamento fisico: la distanza non può essere sociale, anzi, la distanza interrompe la socialità. Oggi sappiamo che questo sacrificio è necessario per la nostra sopravvivenza, ma stiamo anche imparando che questa distanza, che consiste in una permanente diffidenza nell’altro, visto come possibile pericolo, deve essere urgentemente superata e non può diventare la cifra della nostra convivenza.
Tenere a distanza è un atteggiamento che presuppone la paura di trovarsi di fronte a un rischio: l’altro è allontanato, espulso, relegato in un luogo dal quale non potrà farmi del male. Purtroppo queste dinamiche che oggi viviamo in maniera consapevole e motivata, sono le dinamiche serpeggianti da sempre nella vita sociale: alcuni, che non sono ritenuti all’altezza di starci accanto, alcuni che con la loro presenza potrebbero offuscare l’immagine di bellezza che abbiamo di noi stessi, alcuni che con le loro parole mettono in crisi l’idea illusoria nella quale ci rispecchiamo, vengono tenuti a distanza. Sono gli emarginati, i senza fissa dimora, ma anche coloro che hanno opinioni politiche diverse dalla cultura dominante, sono gli anziani e i malati che ci rimandano la verità di una vita che non è fatta solo di copertine patinate e di fisici scolpiti. Quando non vogliamo accettare quel fascio di luce che ci svela la realtà, diventiamo ciclopici e guardiamo da una sola parte.

Escludere

Questa dinamica è antica e possiamo considerarla anche alla base dell’esperienza del lebbroso di cui ci parla non solo il testo del Vangelo di questa domenica, ma anche molti altri luoghi della Bibbia. Il lebbroso è l’escluso, quello che fa paura e che rappresenta un pericolo. Molti di noi, ne sono certo, almeno qualche volta nella vita, si sono sentiti come lebbrosi: allontanati, come se facessero paura, inadeguati a stare con gli altri. Il lebbroso è costretto a stare lontano perché gli altri gli hanno messo un’etichetta addosso. Sebbene sia un’immagine dura, è significativo ricordare che la vita del lebbroso è una vita che realmente va a pezzi. E questo ci ricorda quella espressione che a volte ripetiamo a noi stessi, quando appunto sentiamo che la nostra vita cade a pezzi, quando quello che abbiamo costruito si sfalda.

Disperazione

Il lebbroso è un uomo senza speranza, perché è in una condizione che non potrà mai trovare una soluzione. Nella cultura ebraica, infatti, ogni contatto con la morte (come toccare un cadavere o anche calpestare la terra di un cimitero) rendeva impuri, impedendo così di poter celebrare il culto. Occorreva purificarsi per essere riammessi alla possibilità di accedere alle pratiche rituali. Ma per un lebbroso questo non è mai possibile, perché il lebbroso si porta la morte addosso, non se ne può mai liberare e, di conseguenza, rimane impuro in modo permanente. Solo un intervento di Dio può salvarlo. È proprio l’immagine di quelle nostre situazioni disperate, dalle quali ci rendiamo conto che solo un intervento divino può tirarci fuori.

Amabilità

Quando vivi da escluso, quando ti fanno credere a lungo che non vai bene per come sei, alla fine te ne convinci. Ti persuadi che non sei amabile e che per te non c’è via d’uscita. Forse ti convinci che persino Dio con te non voglia avere a che fare. Quando questo lebbroso incontra Gesù non pretende nessun miracolo. Chiede a Gesù se vuole, se per caso, cioè, c’è spazio anche per lui nella misericordia di Dio. E Gesù sottolinea con la sua risposta che quella guarigione non è casuale, ma è l’espressione di un preciso desiderio di Dio: lo voglio!

Contagiati

Come ogni guaritore ferito, per citare la celebre opera di Nouwen, è impossibile entrare nella malattia dell’altro senza rimanere segnati. Se vogliamo aiutare qualcuno, dobbiamo essere disposti a lasciarci ferire. Proprio a causa di quell’incontro, infatti, Gesù non può più entrare pubblicamente nella città, perché immediatamente l’opinione pubblica si erige a baluardo della difesa dell’incolumità della popolazione: avendo avuto contatti con un lebbroso, Gesù è considerato anch’egli potenzialmente lebbroso. Per stare accanto agli esclusi, Gesù accetta di essere escluso! Ma, paradossalmente, proprio quella condizione di esclusione, costringendo Gesù ad abitare luoghi solitari perché non voluto dentro la città, fa sì che egli si trovi nella condizione ideale per essere incontrato dagli esclusi, quelli cioè che abitano i luoghi dei diseredati e di coloro che non sono voluti perché considerati pericolosi.
È una buona notizia per tutti noi che ci sentiamo lebbrosi, per tutti noi che siamo costretti a tenerci lontani, per tutti noi che siamo stati allontanati, perché provvidenzialmente ci ritroviamo in una condizione privilegiata per incontrare il Signore e lasciarci guarire.

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