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Quattro lezioni sulle virtù - La prudenza

Autore: Don Mauro Leonardi

La prudenza è una delle quattro virtù cardinali della morale occidentale, sin dall’antichità romana. La prudenza è la virtù che dispone l’intelletto all’analisi accorta e circostanziata del mondo reale circostante ed esorta la ragione a discernere in ogni circostanza il nostro vero bene, scegliendo i mezzi adeguati per compierlo. La prudenza è la « retta norma dell’azione » (recta ratio agibilium), scrive San Tommaso D’Aquino sulla scia di Aristotele. Essa non va confusa con la timidezza o la paura, né con la doppiezza o la dissimulazione. È detta « auriga virtutum – cocchiere delle virtù »: essa dirige le altre virtù (cioè la giustizia, la temperanza e la fortezza) indicando loro regola e misura. È la prudenza che guida immediatamente il giudizio di coscienza. L’uomo prudente decide e ordina la propria condotta seguendo questo giudizio. Grazie alla virtù della prudenza applichiamo i principi morali ai casi particolari senza sbagliare e superiamo i dubbi sul bene da compiere e sul male da evitare. Nella filosofia platonica è detta “saggezza”, ed è la virtù propria dell’anima razionale.

San Josemaría

“La vera prudenza è sempre attenta ai suggerimenti divini e accoglie nell’anima, in vigilante ascolto, le parole che sono promessa e realtà di salvezza” (Amici di Dio, n. 87). “La prudenza, per sapere in ogni circostanza  che cosa conviene fare e metterci all’opera senza indugio” (Amici di Dio, n. 72).

Il vangelo

Innanzitutto cerco le corrispondenze dell’aggettivo prudente nel Nuovo Testamento. Se non ho sbagliato a controllare, il sostantivo prudenza non è mai usato. A me questa cosa piace tanto perché mi sembra che a noi accada troppo spesso di parlare in astratto della prudenza – come di una “virtù” – e così a volte dietro il sostantivo c’è solo una teoria e non la vita che invece è detta meglio dall’uso dell’aggettivo: io sono prudente, non ho la prudenza. È come s. Francesco che non parla mai della “minorità” ma dice che i suoi frati devono essere “minori”. Chissà perché, poi noi facciamo diventare l’aggettivo “minore” un sostantivo – i minori – e così si riparte con i convegni e le astrazioni.

Nella mia piccola ricerca si vede che φρόνιμος (phronimos, da  φρονέω, verbo) è uno “che è in sé, sapiente, saggio, intelligente, prudente, avveduto, accorto, scaltro”. Dico subito – per poi argomentarla un pochetto – la conclusione cui sono arrivato dopo la mia piccola ricerchina nel Νuovo Τestamento. Mentre non mi è mai capitato di fermarmi a pensare “adesso devo essere prudente, e cioè devo cercare la retta norma dell’azione”, rivedo molto di più me stesso e le persone che amo – in primis i miei genitori – se penso alla prudenza come alla virtù per cui si dispone di ciò che ci viene donato da Dio per “dar da mangiare” alle persone che amiamo. Ecco la frase del vangelo che mi sembra essere la chiave di volta per il prudente: “Chi è dunque l’amministratore fidato e prudente che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito?” (Lc 12,42).

In sintesi, il dato che mi colpisce leggendo il vangelo alla luce dell’etimologia greca è che una persona prudente è una persona che è in sé stessa, è una “che c’è” diremmo oggi, sta “sul pezzo” della propria vita. Se leggiamo così i versetti del vangelo possiamo dedurne che “uno che c’è” è uno che ascolta la parola e cioè costruisce la casa con fondamenta solide, (“…chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia” – Mt 7,24),  è uno che nella notte sa prendere l’olio per le lampade, (“cinque di essere erano stolte e cinque saggie” – Mt 25,2 ss), è uno che sa adattarsi alle circostanze, all’ambiente esterno senza perdere la propria identità. Se sta in un luogo ostile, anche se dentro è una colomba, sa essere furbo come un serpente (…vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe – Mt 10,16) e sa imparare la scaltrezza da chi è scaltro senza diventare doppio (“il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce “- Mt 16,8). Il prudente è uno che sa trattare bene coloro che gli sono affidati, è uno – se lo stolto è uno che rende schiavo!… – che dovrebbe rendere liberi gli altri  (si può leggere così quello che dice san Paolo “infatti voi, che pure siete saggi, sopportate facilmente gli stolti. In realtà sopportate chi vi rende schiavi” – 2Cor 11,19).  Essere prudenti significa tutto questo.

Per collegarci alla meditazione di Giovanni Paolo II mi sembra evidente che in fondo, l’essere sé stessi nella verità del proprio “esserci per”, sia l’unica garanzia dell’essere prudenti: “Quindi tra l’essere per se stessi e l’essere per gli altri esiste un legame profondo. può diventare dono disinteressato per gli altri solo chi possiede se stesso” (Il dono disinteressato, p. 296).

Quindi mi sembra che essere prudenti sia un po’ di più del “disporre rettamente” di ciò che ho (recta ratio agibilium), che è già molto ma che rischia di essere solo qualcosa che ha a che fare con una morale astratta, cioè con una filosofia, cioè solo con “una parte” di me – importante, per carità!- ma che non sono “tutto io: intelligenza, volontà, corpo, emozioni, storia, ecc. ecc.”. Per dirla con Luca 12,42 (“chi è dunque l’amministratore fidato e prudente che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito? – Lc 12,42) mi sembra che il punto decisivo è che ogni uomo – sia al passivo che all’attivo – è un “amministratore” a cui Dio affida le altre persone e che quindi, a partire dai doni che gli ha fatto, deve essere capace di dare loro il cibo a tempo opportuno . Se ci fermassimo a pensare a cosa è il cibo potremmo facilmente percepire la visione veramente grandiosa del vangelo su cosa voglia veramente dire essere prudenti. Dare cibo, nutrire qualcuno, parla di un legame indissolubile di affidamento che ci lega gli uni agli altri: riconoscere questo legame è essere prudenti è essere sé stessi fino in fondo, è “esserci”. È sapere che gli altri ci sono affidati e che se non diamo loro il cibo – e il cibo siamo noi stessi che in Cristo siamo pane per gli altri – essi muoiono. Inoltre – allo stesso tempo – è essere consapevoli del reciproco: io senza di te muoio! Come dire: per rimanere nel clima della meditazione di Giovanni Paolo II, Adamo prima di Eva non poteva essere prudente perché non poteva essere pienamente sé stesso. E infatti si sente solo.

Sono prudente quando ascolto profondamente la realtà, la creazione, gli altri, perché colgo nella profondità di me la corrispondenza che queste cose mi rimandano.

E proprio perché le leggo in questo mutuo dialogo di affidamento, non me ne approprio.

Per questo concludo con qualche citazione della meditazione di Giovanni Paolo II. Sono passaggi Il che segnano la meditazione e che mi sembrano particolarmente congruenti con la riflessione che sto per concludere.

“Non soltanto gli uomini si uniscono tra loro, è Dio che li dona uno all’altro. E in ciò si attua il suo piano creativo. Così come leggiamo nel libro della Genesi, Dio creò il mondo visibile per l’uomo e gli disse di dominare su tutta la terra e affidò al suo dominio tutto il mondo di creature inferiori all’uomo. Tuttavia, questo dominio dell’uomo sul mondo creato deve considerare anche il bene delle singole creature…. Il creato è un bene per l’uomo se l’uomo è “buono” con le creature che lo circondano… allora le creature creano per lui l’ambiente naturale diventando per certi  versi sue “amiche”. Non soltanto gli permettono di trovare la sopravvivenza ma anche la possibilità di ritrovare sé stesso” (su Come Gesù a pag. 294)

“La donna viene data all’uomo affinché egli possa capire sé stesso e reciprocamente l’uomo è dato alla donna con lo stesso obiettivo. Devono confermare a vicenda la propria umanità, meravigliandosi della sua duplice ricchezza…. La consapevolezza del dono e della donazione è chiaramente iscritta nell’immagine biblica della creazione.” (p. 295)

“Dio mi ha dato te…Dio veramente ci dona le persone, i fratelli, le sorelle nell’umanità a partire dai nostri genitori…. Sarebbe grave se non fossimo capaci di riconoscere la ricchezza che per ciascuno di noi è ogni uomo, se ci chiudessimo esclusivamente nel nostro proprio ‘io’ perdendo l’ampio orizzonte che con il passar degli anni si apre davanti agli occhi della nostra anima….

“Temi solamente una cosa: di non appropriarti di questo dono, questo temi.” (p. 306)

“Bisogna essere totalmente dono, un dono disinteressato, per riconoscere in ogni persona quel dono che ella è. Per ringraziare il Donatore del dono di quella persona” (p.309)

 

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