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Riflessioni per meditare nel sabato della quarta settimana del Tempo Ordinario

Autore: Autori Cristiani

– Il riposo era importante per Gesù

– Riposare con il Signore nell’orazione

– Siamo tutti pecora e pastore


Le folle seguivano il Signore da un posto all’altro, affascinate dalla sua parola. La predicazione del Regno di Dio e la chiamata alla conversione impegnavano tutto il tempo e tutte le energie del Signore. «Erano molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare» (Mc 6, 31). Era tale l’intensità della missione, che non c’era un momento di tranquillità. Gli apostoli prendevano parte a questa dedizione di Cristo agli altri. Quando ritornarono dal loro primo viaggio, raccontarono a Gesù «tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato» (Mc 6, 30). Dopo queste intense giornate di missione apostolica, entusiasmanti ma anche stancanti, avevano bisogno di riposare. Gesù, pieno di comprensione, si preoccupa di predisporre per loro un po’ di sollievo, e dice: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’» (Mc 6, 31). Il Signore comprende la stanchezza dei suoi apostoli perché anche lui era «affaticato dal cammino e dal lavoro apostolico, come forse è successo anche a voi, qualche volta – predicava san Josemaría –, fino a sentirvi esausti, da non poterne più. È commovente vedere il Maestro così provato»[1].

Il lavoro intenso, la preoccupazione per la famiglia, il servizio alle persone che frequentiamo, la fretta e le difficoltà…, tutto questo richiede impegno. E naturalmente «la fatica, la stanchezza, come manifestazione del dolore e della lotta che fanno parte della nostra esistenza attuale»[2]. Pertanto il riposo non è un capriccio egoistico né una perdita di tempo; al contrario, è molto necessario per il corpo e per lo spirito. «Riposo significa riprendersi: rigenerare le forze, gli ideali, i progetti… In poche parole: cambiare occupazione, per ritornare poi – con un vigore rinnovato – al lavoro consueto»[3]. Se non riposassimo, probabilmente non potremmo fare il nostro lavoro nel modo migliore; ma soprattutto, dato che siamo corpo e anima, se non riposassimo forse potremmo incontrare difficoltà anche nella nostra vita spirituale. Questo Gesù, vero uomo, lo sapeva, e per questo si preoccupava del riposo dei suoi.


Gli apostoli se ne andarono con Cristo nella «barca verso un luogo deserto, in disparte» (Mc 6, 32). L’obiettivo era quello di trascorrere insieme alcune ore e riposare dal trambusto, per ritornare poi ad accogliere la gente con maggiori energie. Come gli apostoli, anche noi abbiamo bisogno di riposare con Cristo, di andare davanti al tabernacolo dove lui ci aspetta e raccontargli le nostre cose, le preoccupazioni e le attività che abbiamo tra le mani. Infatti, «per noi che amiamo Gesù – secondo san Josemaría –, lo “scacciapensieri” è senza alcun dubbio l’orazione»[4].

Nel nostro dialogo con Dio abitualmente possiamo assaporare la meravigliosa realtà della filiazione divina. Sentirci figli amati ci dà «riposo nell’ora della stanchezza, pace nell’ora della guerra, serenità nei momenti di conflitto»[5]. Ci rendiamo conto, allora, che il suo giogo non è tanto pesante come potrebbe sembrarci, perché lui lo porta con noi. Lavoriamo nelle cose di nostro Padre e, in questo modo, la fatica si trasforma in orazione. «Quando ci stanchiamo – nel lavoro, nello studio, nell’impegno apostolico –, quando ci si restringe l’orizzonte, volgiamo gli occhi a Cristo: al Gesù buono, al Gesù stanco, al Gesù che ha fame e sete»[6].

«Se impariamo a riposare veramente diventiamo capaci di autentica compassione; se coltiviamo uno sguardo contemplativo, porteremo avanti le nostre attività senza l’atteggiamento rapace di chi vuole possedere e consumare tutto; se ci teniamo in contatto con il Signore e non anestetizziamo la parte più profonda del nostro essere, le cose che dobbiamo fare non avranno il potere di lasciarci senza fiato»[7].


Gesù, sbarcando, «vide una gran folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose» (Mc 6, 34). Queste parole lasciano intravedere la profondità dei sentimenti del cuore del Signore, che si commuove e «si affligge» perché tutte queste persone non hanno nessuno che le possa orientare.

Nel racconto si notano tre verbi. Per prima cosa, Gesù li «vide». Lo sguardo del Signore non è neutro, né freddo o indifferente. Gesù non conta le decine; in realtà, Dio sa contare solo fino a uno. Vede una folla e con i suoi occhi tocca ogni cuore, la storia che si nasconde in ogni persona. Poi, aggiunge l’evangelista, «ebbe compassione» di loro. Completamente dimentico di sé, la tenerezza invade tutto il suo essere, pensa solo alla folla che aspetta sulla spiaggia, che cammina senza meta, senza autentici pastori. E per finire «insegnò» loro. Sicuramente lì ci saranno stati molti malati bisognosi di un miracolo, eppure il primo pane con il quale li nutre è la sua parola, si dà come cibo a questa folla affamata.

San Josemaría ripeteva che ognuno di noi, «oltre che pecora […], in qualche modo è anche Buon Pastore»[8]. Tutti siamo chiamati a vedere le persone come Gesù, ad avere compassione come Gesù e a insegnare come Gesù. Possiamo chiedere a Maria che ci dia la fortezza necessaria per non sottrarci alla nostra missione. Lei è una Madre che sente compassione, che condivide con Gesù la sofferenza e l’amore. Lei sta anche vicino a noi e «comprende ogni cosa»[9].


[1] San Josemaría, Amici di Dio, n. 176.

[2] San Josemaría, È Gesù che passa, n. 47.

[3] San Josemaría, Solco, n. 514.

[4] San Josemaría, Forgia, n. 756.

[5] Javier Echevarría, Memoria del Beato Josemaría Escrivá, Leonardo International, Milano 2000, pp. 188.

[6] San Josemaría, Amici di Dio, n. 201.

[7] Papa Francesco, Angelus, 18-VII-2021.

[8] San Josemaría, Carta 25, n. 30.

[9] Benedetto XVI, Omelia, 8-XII-2005.

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