Rubare il cuore a Cristo
La preghiera: una parola che ruba il cuore a Gesù- Conoscerlo e conoscerti
Autore: Diego Zalbid
Fuori dalle mura di Gerusalemme, poco dopo mezzogiorno, tre uomini erano stati crocifissi sul Monte Calvario. Era il primo Venerdì Santo della storia. Due di essi erano ladri; il terzo, invece, era l’unico uomo completamente innocente: era il Figlio di Dio. Uno dei due malfattori, malgrado la sua intensa sofferenza e il suo esaurimento fisico, si azzardò a intavolare con Cristo una brevissima conversazione. Le sue parole piene di umiltà – «ricordati di me quando entrerai nel tuo Regno» (Lc 23, 42) – meritarono che proprio Dio fatto uomo lo assicurasse che poche ore dopo sarebbe entrato in paradiso. San Josemaría si commuoveva spesso per l’atteggiamento di quel buon ladrone che «con una parola rubò il cuore a Cristo e si aprì le porte del Cielo»[1]. Forse la preghiera potrebbe definirsi così: una parola che ruba il cuore a Gesù e ci fa vivere fin da ora accanto a Lui.
Due dialoghi sulla croce
Anche noi vogliamo che la nostra preghiera, come quella del buon ladrone al quale la tradizione dà il nome di Disma, dia molto frutto. Ci riempie di piacere sognare fino a che punto il dialogo con Dio possa trasformare la nostra vita. Rubare il cuore significa conquistare, innamorare, entusiasmare. Si ruba perché non abbiamo merito per ricevere tanto affetto. Si ruba ciò che non è di proprietà né lo si possiede, ma si brama ardentemente. La preghiera poggia su una cosa così semplice – anche se non di poco conto – come è imparare ad accogliere un simile dono nel nostro cuore, permettendo che ci stia vicino Gesù, che non impone mai i suoi doni, la sua grazia o il suo amore.
Accanto a Disma, anch’esso in croce sul Calvario, c’era il suo compagno di tormenti. Colpisce la lamentela che costui rivolge a Gesù: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!» (Lc 23, 39). Sono parole che appaiono come una doccia fredda. Che differenza c’è tra questi due dialoghi? Entrambi parlano con Gesù, ma solo Disma ricevette il regalo che il Maestro aveva preparato. Mise in atto il suo ultimo colpo, il migliore: la richiesta di rimanere almeno nella memoria di Cristo. Il suo compagno, invece, non aprì il suo cuore con umiltà a chi voleva liberarlo dal suo passato, offrendogli un tesoro ineguagliabile. Rivendicò il suo diritto a essere ascoltato e salvato; affrontò l’apparente ingenuità di Gesù e gli rimproverò la sua passività, anch’essa apparente. Forse aveva sempre rubato con questa idea: considerando che si stava riprendendo ciò che gli apparteneva. Disma, da parte sua, sapeva di non meritare nulla e questo atteggiamento riuscì ad aprire la cassaforte dell’amore di Dio. Seppe riconoscere Dio così come Egli è davvero: un Padre che ama ognuno dei suoi figli.
Meditando questi due possibili dialoghi che troviamo nel Vangelo, possiamo comprendere che il Signore conta sulla nostra libertà per farci felici; e anche che non è sempre facile lasciarsi amare. La preghiera può essere un mezzo stupendo per scoprire che cosa sente, pensa e vuole Gesù. La vita divina in noi è un dono. La preghiera, in questo senso, è un canale attraverso il quale trabocca il torrente d’amore che Dio ci vuole offrire, un invito inaspettato a guadagnarci diversamente la vera vita.
Per aprire le porte del cielo
San Josemaría ci ricordava che Dio «ha voluto correre il rischio della nostra libertà»[2]. Un buon modo di ringraziarlo potrebbe essere quello di aprirci anche noi alla sua. Si potrebbe anche dire che, in questo secondo caso, noi non corriamo alcun rischio; al massimo vi potremmo riscontrare una certa apparenza di pericolo, giacché abbiamo tutto da guadagnare: la garanzia della sua promessa sono quei chiodi della croce, che ardono d’amore per noi. Osservando le cose da questo punto di vista, ci rendiamo conto di quanto sia assurdo fare resistenza alla volontà di Dio, anche se ben presto abbiamo la prova che questo ci accade con una certa frequenza. Teniamo presente che «ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto» (1 Cor 13, 12). Ce lo dice san Paolo: per conoscerci non c’è migliore via che guardarci attraverso Cristo, contemplare la nostra vita attraverso i suoi occhi.
Disma se ne rende conto e non gli fa paura l’enorme squarcio che si produce tra la bontà di Gesù e i suoi errori personali. Riconosce il re del mondo nel volto umiliato e sfigurato di Cristo, in quegli occhi che lo guardano con tenerezza, gli restituiscono la dignità e, in modo inatteso, gli ricordano di essere amato al di sopra di ogni cosa. È vero che può sembrare troppo facile il lieto fine della storia del buon ladrone; tuttavia, non conosceremo mai il dramma della conversione che provò il suo cuore in quei momenti, né la preparazione che sicuramente la rese possibile.
Aprirsi a tanto affetto ha una straordinaria somiglianza con la scoperta che la preghiera è un dono, un canale privilegiato per accogliere l’affetto di un cuore che non conosce misura né calcoli. Ci dona una vita diversa, più piena, molto più felice e sensata. Lo afferma Papa Francesco: «Pregando facciamo il suo gioco, gli facciamo spazio perché Egli possa agire e possa entrare e possa vincere»[3]. È Dio che ci trasformerà, è Dio stesso che rimarrà con noi, è Lui che farà tutto: ha bisogno soltanto che noi facciamo il suo gioco. È in questo movimento che entra in gioco la nostra libertà, guadagnata da Cristo proprio sulla croce.
La preghiera ci aiuta a comprendere che «quando Egli chiede qualcosa, in realtà sta offrendo un dono. Non siamo noi che gli facciamo un favore: è Dio che illumina la nostra vita riempiendola di significato»[4]. Ed è proprio questo che gli ruba il cuore: la porta aperta della nostra vita che si lascia fare, che si lascia amare, trasformare, che ha voglia di ricambiare, anche se non sa molto bene come fare. «Gustate e vedete quanto è buono il Signore» (Sal 34, 9). Queste poche parole riassumono il cammino che ci fa essere anime di preghiera, «perché non apprezzare ciò che si riceve, impedisce di stimolarci all’amore»[5]. Quando è stata l’ultima volta che abbiamo detto al Signore quanto è buono? Con che frequenza ci soffermiamo a considerarlo e a gustarlo?
Per questo motivo lo stupore è una parte essenziale della nostra vita di preghiera: l’ammirazione davanti a un prodigio che non rientra nei nostri parametri. Questo ci porta a ripetere spesso: «Quanto sei grande, e bello, e buono! E io, che ero convinto di capirti, quanto sono sciocco. Che poca cosa saresti, se tu stessi confinato nella mia testa! Mi penetri nel cuore, e non è poco»[6]. Lodare Dio ci colloca nella verità del nostro rapporto con Cristo, attenua il peso delle nostre preoccupazioni e ci apre panorami che non avevamo mai previsto. Sono le conseguenze di aver corso il rischio di abbandonarci alla libertà di Dio.
Infinite maniere di pregare
Quando san Josemaría si recò in Messico, durante uno degli incontri che vi ebbe, fece ricorso a un episodio. Raccontò che un suo figlio, filosofo di professione, aveva ricevuto inaspettatamente l’incarico di occuparsi delle aziende della sua famiglia: «Quando mi parlò di affari, lo guardai negli occhi, mi misi a ridere e gli dissi: Affari? I soldi che tu guadagnerai me li metterai qui, nel palmo della mano, ed è già uno spazio fin troppo grande». Passarono gli anni e lo incontrai nuovamente; allora gli dissi: «Ecco la mia mano. Non ti dissi di posare qui quello che avresti guadagnato? Costui si alzò e, tutti incuriositi in attesa, mi baciò il palmo della mano e disse: Eccolo, è lì. Lo abbracciai e gli risposi: Mi hai ripagato con abbondanza. Grazie, birbante; che Dio ti benedica!»[7].
Durante la preghiera possiamo ben posare un bacio nella mano di Dio; offrirgli il nostro affetto, come unico tesoro, perché non abbiamo altro. Ad alcune persone basterà un gesto come questo, rivolto al Signore, per infiammarsi in una preghiera di affetti e di propositi. Sembrerà loro molto più espressivo uno sguardo che mille parole. Vorrebbero toccare tutto ciò che si riferisce a Dio. Godranno nel sentire, durante questo incontro con il Signore, la brezza sulle sponde del mare di Galilea. I sensi si svegliano e la vicinanza a Gesù rende possibili queste sensazioni che riempiono il cuore di pace e di gioia. Subito questa letizia ha bisogno di essere condivisa e l’unica cosa da fare ci porta ad aprire le braccia come Cristo per abbracciare il mondo intero e salvarlo insieme con Lui.
Però esistono molti modi di pregare, tante quante sono le persone; altri, per esempio, si accontentano semplicemente di qualche parola di consolazione. Gesù non lesina parole di ammirazione per chi ne ha bisogno: «Ecco un israelita in cui non c’è falsità» (Gv 1, 47). Ce le dirà se apriamo il nostro cuore. Nessuno ha pronunciato parole d’amore come le sue; nessuno le ha dette con tanto garbo e con tanta verità. Quando le ascoltiamo, l’amore che riceviamo traspare nel nostro sguardo. Impariamo così a guardare con Dio; scorgiamo così ciò che ogni amico o amica sarebbe capace di fare se si lasciasse guidare dalla grazia.
Vi sono anche persone che godono servendo gli altri, come Marta, l’amica del Signore che viveva a Betania. Gesù, quando il Vangelo ci narra la sua visita, non disse a Marta di sedersi, ma la invitò a scoprire l’unica cosa necessaria (cfr. Lc 10, 42) fra tutte quelle che faceva. Alle persone simili a Marta probabilmente sarà di conforto pensare, mentre pregano, che Dio opera attraverso di loro per portare molte anime in cielo. Riempiono con piacere la loro preghiera con volti e nomi di persone specifiche. Hanno bisogno di sapere di essere corredentrici con tutto ciò che fanno. Infatti, se Maria ebbe la possibilità di scegliere “la parte migliore” è proprio perché Marta serviva; a quest’ultima bastava sapere che coloro che le stavano accanto erano felici.
Altre persone, da parte loro, sono più portate verso le piccole attenzioni, verso i regali, sia pure di poco valore. È la manifestazione di un cuore che non smette di pensare agli altri e nella vita trova sempre qualcosa che si riferisce alle creature da loro amate. Può darsi che a loro questo serva per imparare a scoprire tutti i doni che Dio ha seminato nelle loro vite. «La preghiera, proprio perché si nutre del dono di Dio che si riversa nella nostra vita, dovrebbe essere sempre ricca di memoria»[8]. Possono anche pensare di sorprendere Dio con mille dettagli minuscoli. Il fattore sorpresa ha per loro una grande importanza e indovinare ciò che seduce il Signore non è tanto difficile. Pur essendo un mistero, persino le cose più piccole lo colmano di gratitudine e gli fanno brillare gli occhi. Ogni anima che fa di tutto per avvicinarsi al suo amore – come quella di Disma negli ultimi suoi momenti – gli ruba il cuore di nuovo.
Senza voler racchiudere in schemi prestabiliti tutte le possibilità, vi sono anche anime che hanno bisogno di passare del tempo con colui che amano. Può darsi che preferiscano, per esempio, consolare Gesù. Tutto il tempo speso con colui che amano sembra loro poco. Per percepire l’affetto divino può servire loro pensare a Nicodemo, che era stato accolto da Gesù per una notte intera, nell’intimità di un ambiente domestico molto adatto alle confidenze. Proprio grazie a questo tempo condiviso Nicodemo sarà capace di dare la faccia nei momenti di maggiore difficoltà e di stare vicino a Cristo quando gli altri erano pieni di paura.
A volte pensiamo che conoscerci significa identificare i nostri errori: questo è vero, ma non è tutta la verità. Conoscere a fondo il nostro cuore e i nostri aneliti più intimi è la chiave per poter ascoltare Dio, per lasciarci colmare dal suo amore.
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La conversazione tra Gesù e il buon ladrone fu breve ma intensa. Disma scoprì che c’era una fessura nel gran cuore innocente di Cristo: un modo facile per assalirlo. La volontà di Dio, spesso oscura e dolorosa, si illuminò e si illumina con l’umile richiesta del malfattore. Il suo unico desiderio è che siamo felici, molto felici, i più felici del mondo. Il buon ladrone si introdusse attraverso una fessura e s’impadronì del più grande tesoro. La Vergine Maria fu testimone di come Disma difese suo figlio. Forse con uno sguardo chiese a Gesù di salvarlo. E Cristo, incapace di negare qualcosa a sua madre, disse: «Oggi sarai con me nel paradiso» (Lc 23, 43).
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