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San Giuseppe: La dignità del lavoro in tempi difficili

Autore: Don Luca Fantini

“San Giuseppe è un padre di famiglia, stretto tra la gioiosa e pressante responsabilità di coloro che gli sono affidati, e la necessità di affrontare un’avversità più grande di lui”.

“Essi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: “Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo”. Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto” (Mt 2,13-14) In questi due versetti di Matteo è riassunto uno dei momenti più duri della vita di San Giuseppe e della Sacra Famiglia e, forse proprio per questo, uno dei principali motivi per cui moltissime persone lo sentono così vicino e familiare.
San Giuseppe è un padre di famiglia, stretto tra la gioiosa e pressante responsabilità di coloro che gli sono affidati, e la necessità di affrontare un’avversità più grande di lui. È un uomo povero, senza potere o conoscenze influenti. Non ha risorse per fronteggiare il pericolo che incombe o armi per difendersi dai soldati. Se anche le avesse non le vorrebbe usare. È una persona come tantissime altre, che si trovano spesso nella vita ad affrontare problemi più grandi di loro, senza i mezzi adeguati. Per Giuseppe è il caso di un sovrano potente e crudele, ma lungo la storia si possono trovare molti altri esempi: crisi economiche e finanziarie, guerre, ingiustizie; fino al caso che stiamo vivendo in questi giorni: una pandemia che all’improvviso ha sconvolto le nostre vite, cambiato le nostre abitudini e che sta creando grandi problemi a tutti e in particolare ai lavoratori in proprio, come in fondo era Giuseppe di Nazaret.

A cosa poté quindi fare appello per fronteggiare quella situazione? Quali furono le risorse di san Giuseppe? Direi che furono essenzialmente due, in fondo alla portata di tutti.

La prima grande risorsa di san Giuseppe è una umile e incrollabile dignità. San Giuseppe è costretto alla fuga ma non alla resa. È umile e sa che non può affrontare l’avversario. Ha la responsabilità della sua famiglia e non può cedere a un orgoglio sciocco e imprudente, che forse potrebbe suggerire di combattere direttamente il pericolo. San Giuseppe fugge ma in questa fuga, motivata dall’amore e non dalla viltà, mantiene una meravigliosa dignità. Non si lamenta, non recrimina, non accusa.
Con grande semplicità “si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto.” San Josemaría lo ha espresso in modo commovente ed efficace: “San Giuseppe è meraviglioso! È il santo dell’umiltà serena…, del sorriso permanente e del fare spallucce”. San Giuseppe è l’uomo del “fare spallucce”. Come la maggior parte degli uomini sulla terra sa che certe cose sono più grandi di lui e che non si possono affrontare o modificare. Però non è né rassegnato né fatalista. Non si lascia abbattere, affronta la situazione confidando in Dio, guidato dall’ascolto della Parola e dall’amore aprendo un nuovo cammino per i suoi cari. E possiamo pensare anche, seguendo san Josemaría: con un sorriso che non viene meno e che riesce a sostenere chi gli sta accanto.
La seconda grande risorsa di san Giuseppe è il suo lavoro, che in fondo è buona sostanza della sua dignità. In fondo san Giuseppe ha la dignità e la fortezza dei lavoratori, di chi si guadagna da vivere con la propria fatica e la propria competenza. È sicuramente in virtù della sua perizia e del suo impegno che san Giuseppe può rifarsi una vita in un paese straniero, ricominciando da zero il suo lavoro, come capita a tantissime persone in tutte le epoche. San Giuseppe è un carpentiere: un lavoro manuale, umile e allo stesso tempo preziosissimo, che sarà venuto incontro alle più diverse esigenze di moltissime famiglie in Egitto come era stato in precedenza, e sarà in seguito, nella sua terra di origine. E che gli permetterà di far fronte anche alle esigenze della sua famiglia.
La fuga in Egitto è certamente un periodo molto difficile ma non è una resa. Diventa un nuovo inizio, reso possibile dall’atteggiamento interiore e dal lavoro del Santo Patriarca. Per questi motivi invochiamo san Giuseppe come patrono dei lavoratori e nel suo giorno festeggiamo tutti i papà, dei quali comprende molto bene, per esperienza personale, le preoccupazioni, le lotte… e forse anche le sconfitte e qualche lacrima malcelata.
Ma a tutti e a tutte ricorda di alzare lo sguardo per incrociare lo sguardo delle persone che amiamo e per affidarci al Padre del cielo. E ce lo ricorda in modo speciale in questi giorni, così difficili per tutti: “Giuseppe, dunque, era un artigiano della Galilea, un uomo come tanti altri. E che cosa può attendersi dalla vita l’abitante di un villaggio sperduto come Nazaret? Lavoro e null’altro che lavoro; tutti i giorni, sempre con lo stesso sforzo. Poi, terminata la giornata, una casa povera e piccola, per ristorare le forze e ricominciare a lavorare il giorno dopo. Ma, in ebraico, il nome Giuseppe significa Dio aggiungerà. Dio aggiunge alla vita santa di coloro che compiono la sua volontà una dimensione insospettata: quella veramente importante, quella che dà valore a tutte le cose, quella divina. Alla vita umile e santa di Giuseppe, Dio aggiunse — mi si permetta di parlare così — la vita della Vergine Maria e quella di Gesù”.

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