Sofferenza, condizione di vita
Quando il Maestro parla al cuore
Autore: Padre Gaston Courtois
Dimènticati. Rinnègati. Decèntrati da te stesso. Io te ne offro la grazia. Chiedimela con insistenza. Te la concederò ancora di più.
Se accetto di calarti nella mia sofferenza, lo faccio per permetterti di lavorare efficacemente alla conversione, alla purificazione, alla santificazione di molte anime legate alla tua. Io ho bisogno di te ed è normale che in questa fase meritoria della tua vita (si tratta del resto solo di una fase transitoria) tu possa comunicare alla mia Passione redentrice. Sono queste le ore più feconde della tua esistenza. Gli anni passano presto. Ciò che rimarrà nella tua vita è l’amore col quale avrai offerto e avrai sofferto.
Sulla terra non c’è nulla di fecondo senza il dolore accettato con umiltà, sopportato con pazienza, in unione con me, che lo soffro in voi, lo risento in voi, lo provo attraverso di voi.
Pregare, soffrire, offrire equivale a far trascorrere la propria vita nella mia, e permettere in questo modo alla mia vita d’amore di trascorrere nella vostra vita.
Soffri con la mia sofferenza. Non esistono soltanto le indicibili sofferenze del mio passaggio sulla terra, e in particolare, della mia Passione, ma tutti i dolori che provo e assumo in tutte le membra del mio Corpo Mistico.
Grazie a questa offerta, l’umanità si purifica e si spiritualizza. Sta a te penetrare nel movimento del mio amore, comunicando dal di dentro alla mia sofferenza redentrice.
I tre cari apostoli che avevo preferito e scelto con cura, che erano stati i testimoni della mia gloria sul Tabor, si erano addormentati mentre sudavo sangue nel Getsemani.
Non bisogna valutare la fecondità spirituale con criteri umani.
Desidero che il tuo amore sia più forte della tua sofferenza; il tuo amore per me, che ne ho bisogno per permettere al mio di essere efficace; il tuo amore per gli altri, per mezzo del quale orienti in loro favore la mia azione salvifica.
Se ami con passione, la sofferenza ti sembrerà più sopportabile e me ne ringrazierai.
Tu mi aiuti, più di quanto non pensi, ma più amore metterai nell’accettare ciò che ti dono di soffrire, sempre più sarò io che soffrirò in te.
Quelli che soffrono in unione con me sono i primi missionari del mondo.
Se vedessi il mondo dal di dentro, come lo vedo io, ti renderesti conto della necessità che ci siano quaggiù esseri di buona volontà, nei quali io possa continuare a soffrire e a morire per spiritualizzare e vivificare l’umanità.
Di fronte al cumulo di egoismo, di lussuria, di orgoglio che rende le anime opache alla mia grazia, la predicazione e persino la testimonianza non bastano più: ci vuole la croce.
Per avere la forza di fare un sacrificio quando se ne presenta l’occasione durante la giornata, non guardare ciò di cui il sacrificio ti priva, guarda me, e accogli la forza che io sono pronto a concederti attraverso il mio Spirito.
Non è necessario sentire la mia presenza e la mia pace; per questo permetto talvolta la prova spirituale e una certa penosa aridità, condizione di purificazione e di merito. Ma avere una percezione sensibile della mia presenza, della mia bontà, del mio amore, è certamente un incoraggiamento prezioso, da non disdegnare. Per questo motivo tu hai il diritto di desiderarlo e di chiedermelo. Non ritenerti più forte di quanto non sia. Senza un simile sostegno, ti rimarrebbe a lungo il coraggio di continuare?
Vieni a me con fiducia. Conosco meglio di te quello che c’è in te e tu sei qualcosa di me. Chiamami in aiuto: ti sosterrò e tu imparerai a sostenere gli altri.
Sii fedele nell’offrirmi qualche sacrificio volontario, almeno tre volte al giorno, per la gloria delle tre persone divine. È una piccola cosa, ma tale pochezza, se tu vi rimani fedele, sarà davvero preziosa, e ti otterrà un più grande aiuto della mia grazia nell’ora della più grande sofferenza.
La tua prima reazione, quando soffri, sia quella di unirti a me, che condivido con te
stesso il dolore che ti prova. La tua seconda reazione sia di offrirlo con tutto l’amore di cui ti senti capace, unendolo alla mia incessante oblazione. E poi, non pensare troppo a te: tu non fai che passare… Pensa a me, che non tralascio di assumere fino alla fine dei tempi le sofferenze degli uomini sulla terra, per utilizzare a vantaggio di tutti quelle in cui passa almeno un piccolo fiotto d’amore.
Quando ti senti povero e debole, avvicìnati di più a me. Forse non avrai delle grandi idee, ma il mio Spirito ti invaderà e ciò che avrai assimilato, a tua insaputa, sgorgherà a tempo opportuno, per il maggior bene di molte anime.
Ripetimi, con tutto l’ardore di cui sei capace, il tuo desiderio di farmi amare.
Ripetimi il tuo desiderio di vivere solo per me nel servizio dei tuoi fratelli e di essere
posseduto da me.
Sii generoso in questa «ricerca» di me, poiché essa presuppone un minimo di ascesi. Checché se ne dica, senza questo minimo, non è possibile una vita contemplativa; e senza vita contemplativa, non c’è vita missionaria autentica e feconda. Allora si ha la sterilità, l’amarezza, la delusione, l’oscuramento dello spirito, l’indurimento del cuore… e la morte.
Le mie vie sono talvolta sconcertanti, lo so, ma trascendono la logica umana. Nell’umile sottomissione alla mia condotta troverai sempre più la pace e, inoltre, ti sarà accordata una misteriosa fecondità.
Essere, quando lo voglio io, diminuito, lasciato da parte, non utilizzato, non significa essere inutile, al contrario. Io non agisco mai tanto, come quando il mio servo non vede ciò che opero tramite lui.
Nella misura in cui lo puoi, pensa a tutte le sofferenze umane sopportate. in questo momento sulla terra. La maggior parte di coloro che le provano non ne capiscono il significato, non comprendono il tesoro di purificazione, di redenzione, di spiritualizzazione che esse costituiscono. Sono relativamente rari coloro che hanno ricevuto la grazia di capire la potenza salvifica del dolore quando è calato nel mio.
Attraverso tutti i sofferenti della terra, io sono in agonia fino alla fine del mondo; ma che i miei apostoli non lascino perdere tutto questo sforzo di oblazione umana, che permette alla mia oblazione divina di far cadere sull’umanità la pioggia di benefici spirituali di cui ha tanto bisogno.
Ti avevo avvertito che avresti avuto da soffrire molto; che sarei stato vicino a te, in te; e che non avresti sofferto oltre le tue forze sostenute dalla mia grazia.
Non sono forse io che ti ho sostenuto, suggerendoti continuamente questo trittico: «Io assumo… Io mi ricongiungo… Io suscito…»?
Si, assumi in te tutte le sofferenze umane, persino con quello che possono avere di ambiguo – tutte le insonnie, tutte le agonie, tutte le morti – e poi uniscile alle mie; secondo il principio della confluenza, ricongiungiti al gran fiume purificatore e divinizzatore che io sono per il mondo; e sii, finalmente, davvero convinto che per mezzo di questa congiunzione tu susciti molteplici benefici spirituali a un gran numero di fratelli ignoti.
Quante anime sconosciute vengono pacificate, consolate, confortate. Quanti spiriti tu puoi, in tal modo, aprire alla mia Luce, quanti cuori alla mia Fiamma! Ed essi non sapranno mai da dove è venuto loro un tale supplemento di grazia.
Si può essere prete completo senza essere in qualche modo ostia? Lo spirito di immolazione fa parte integrante dello spirito sacerdotale: se il prete non ha capito questo, vivrà un sacerdozio mutilato. In rivolta alla prima prova, egli passerà dalla frustrazione all’amarezza e perderà il tesoro che gli ho posto tra le mani. Soltanto il sacrificio è producente. Senza di esso, l’attività più generosa diventa sterile. Certo il Getsemani non c’è tutti i giorni, il Calvario non c’è tutti i giorni, ma il prete degno di questo nome deve sapere che incontrerà l’uno e l’altro, in forma adatta alle sue possibilità, in vari momenti della sua esistenza. Questi momenti sono i più preziosi e i più fecondi.
Non è con i bei sentimenti che si salva il mondo, ma comunicando in tutto a Me, anche alla mia oblazione redentrice.
Gli ultimi anni di vita, quando la vecchiaia, col suo corteo di infermità, limita maggiormente l’essere umano, sono i più fecondi per il servizio della Chiesa e del mondo. Accetta questa situazione e insegna a coloro che ti circondano che posseggono, proprio in questo, il segreto di una potenza spirituale impensata.
Chi soffre con me vince sempre.
Chi soffre da solo è davvero da compiangere. Perciò ti ho chiesto spesso di raccogliere tutte le sofferenze umane, e di unirle alle mie, affinché possano acquistare valore ed efficacia. Questa confluenza è il grande mezzo per ottenere sollievo.
Lungi dal rinchiudere il tuo cuore in se stesso, la tua sofferenza deve aprirlo su tutte le altre sofferenze che incontri, come su tutti i dolori umani che neppure sospetti. Con tale partecipazione e oblazione tu compi nel modo migliore il tuo ministero sacerdotale. Non c’è in tutto ciò ambiguità alcuna, nessuna ricerca di te stesso, ma totale disponibilità alla sapienza del Padre mio.
Da circa un mese ti trovi sovente sulla croce, ma hai potuto rilevare che, malgrado gli inconvenienti piccoli e grandi che ne risultano, la mia presenza non ti è mai mancata, per completare nella tua carne ciò che manca alla mia Passione, a vantaggio del mio Corpo che è la Chiesa. Non hai dovuto soffrire oltre il sopportabile, e se ti senti alquanto indebolito, specie in certi momenti, supplisco io in te alle tue insufficienze: molte cose si aggiustano meglio che se te ne occupassi personalmente.
Io accetto le lunghe ore insonni, quando ti sforzi di unirti alla mia preghiera in te. Anche se le tue idee sono confuse, se trovi a fatica le parole per esprimerle, io leggo dentro di te ciò che mi vuoi dire e anch’io ti parlo silenziosamente, a modo mio.
In questo periodo hai bisogno di molta calma, comprensione e bontà. Sia questo il ricordo che rimane di te.
Sei nell’ora nella quale l’essenziale deve prendere il posto dell’urgente e, a maggior ragione, dell’accessorio. Ebbene, l’essenziale sono io e la mia libertà di azione nel cuore degli uomini.
Forse è bene ricordare che queste parole sono state scritte dal Padre Courtois due giorni prima dello sua morte, sopraggiunta nella notte tra il 22 e il 23 settembre 1970.