Il mistero dei privilegi di Gesù sull'anima mia
Storia di un'anima - Capitolo 1 - Infanzia radiosa ad Alencon
Autore: Santa Teresa Di Lisieux
Storia primaverile di un fiorellino bianco scritta da lui stesso e dedicata alla Reverenda Madre Agnese Di Gesù.
1 – A lei, Madre mia cara, a lei che mi è due volte madre confido la storia dell’anima mia… Quando lei mi chiese di farlo, pensai: il cuore si dissiperà, occupandosi di se stesso; ma poi Gesù mi ha fatto sentire che, obbedendo con semplicità, avrei fatto piacere a lui; del resto, faccio una cosa sola: comincio a cantare quello che debbo ripetere eternamente: “Le misericordie del Signore!”.
2 – Prima di prendere la penna, mi sono inginocchiata davanti alla statua di Maria (quella che ci ha offerto tante prove delle materne premure da parte della Regina del Cielo verso la nostra famiglia), l’ho supplicata che mi guidi la mano: nemmeno un rigo voglio scrivere che non piaccia a lei! Poi ho aperto il Vangelo, e lo sguardo è caduto su alcune parole: «Gesù salì sopra una montagna, e chiamò a sé quelli che volle: e andarono a lui» (s. Marco, cap. III, v. 13).
3 – Questo, proprio questo il mistero della mia vocazione, della mia vita tutta, e in particolare il mistero dei privilegi di Gesù sull’anima mia. Gesù non chiama quelli che sono degni, bensì chi vuole lui, o, come dice san Paolo: «Dio ha pietà di chi vuole lui, ed usa misericordia a chi vuole lui. Non è dunque opera di chi voglia né di chi corra, bensì di Dio che usa misericordia» (Ep. ai Rom., cap. IX, vv. 15-16).
4 – Per tanto tempo mi sono chiesta perché Dio abbia delle preferenze, perché tutte le anime non ricevano grazie in grado uguale, mi meravigliavo perché prodiga favori straordinari a Santi che l’hanno offeso, come san Paolo, sant’Agostino, e perché, direi quasi, li costringe a ricevere il suo dono; poi, quando leggevo la vita dei Santi che Nostro Signore ha carezzati dalla culla alla tomba, senza lasciare sul loro cammino un solo ostacolo che impedisse di elevarsi a lui, e prevenendo le loro anime con tali favori da rendere quasi impossibile che esse macchiassero lo splendore immacolato della loro veste battesimale, mi domandavo: perché i poveri selvaggi, per esempio, muoiono tanti e tanti ancor prima di avere inteso pronunciare il nome di Dio?
5 – Ma Gesù mi ha istruita riguardo a questo mistero. Mi ha messo dinanzi agli occhi il libro della natura, ed ho capito che tutti i fiori della creazione sono belli, le rose magnifiche e i gigli bianchissimi non rubano il profumo alla viola, o la semplicità incantevole alla pratolina… Se tutti i fiori piccini volessero essere rose, la natura perderebbe la sua veste di primavera, i campi non sarebbero più smaltati di infiorescenze. Così è nel mondo delle anime, che è il giardino di Gesù. Dio ha voluto creare i grandi Santi, che possono essere paragonati ai gigli ed alle rose; ma ne ha creati anche di più piccoli, e questi si debbono contentare d’essere margherite o violette, destinate a rallegrar lo sguardo del Signore quand’egli si degna d’abbassarlo. La perfezione consiste nel fare la sua volontà, nell’essere come vuole lui.
6 – Ho capito anche un’altra cosa: l’amore di Nostro Signore si rivela altrettanto bene nell’anima più semplice la quale non resista affatto alla grazia, quanto nell’anima più sublime; in realtà, è proprio dell’amore umiliarsi, e se tutte le anime somigliassero ai santi Dottori, i quali hanno rischiarato la Chiesa con i lumi della loro dottrina, parrebbe che Dio misericordioso non discendesse abbastanza per raggiungerli; ma egli ha creato il bimbo il quale non sa nulla e si esprime soltanto con strilletti deboli deboli; ha creato il selvaggio il quale, nella sua totale miseria, possiede soltanto la legge naturale per regolarsi; e Dio si abbassa fino a loro! Anzi, sono questi i fiori selvatici che lo rapiscono perché sono tanto semplici.
7 – Abbassandosi fino a questo punto, Dio si mostra infinitamente grande. Allo stesso modo in cui il sole illumina i grandi cedri ed i fiorucci da niente come se ciascuno fosse unico al mondo, così Nostro Signore si occupa di ciascuna anima con tanto amore, quasi fosse la sola ad esistere; e come nella natura le stagioni tutte sono regolate in modo da far sbocciare nel giorno stabilito la pratolina più umile, così tutto risponde al bene di ciascun’anima.
8 – Certamente, Madre cara, lei si domanda dove io voglia arrivare, perché finora non ho detto parola che somigli alla storia della mia vita, ma lei mi ha chiesto di scrivere liberamente quello che mi viene al pensiero, perciò io non racconterò la mia vita vera e propria, bensì i miei pensieri riguardo alle grazie che Dio mi ha concesse. Mi trovo a un punto della mia esistenza dal quale posso guardare il passato; l’anima mia si è maturata tra prove esterne e interne, ora, come un boccio rafforzato dalla tempesta, mi risollevo, e vedo che in me si verificano le parole del Salmo XXII «il Signore è il mio Pastore, nulla mi può mancare. Mi fa riposare nelle pasture fresche e ricche. Mi guida dolcemente lungo il fiume. Conduce l’anima mia senza stancarla… E quand’anche scenderò nella valle ombrosa della morte, non temerò danno, perché tu sarai con me, Signore!».
9 – Sempre il Signore è stato pieno di compassione per me, e di dolcezza… Lento a punire e abbondante in misericordie! (Salmo CII, v. 8). Così, Madre mia, sono felice di cantare vicino a lei la misericordia del Signore. Per lei sola scriverò la storia del fiore umile colto da Gesù, e parlerò abbandonandomi, senza preoccuparmi dello stile, o delle tante digressioni che farò. Un cuore di mamma capisce sempre il suo bimbo, anche se questo balbetta soltanto, e perciò sono sicura di essere capita, indovinata da lei: è lei che mi ha formato il cuore, e l’ha offerto a Gesù!
10 – Mi pare che, se un fiorellino potesse parlare, direbbe, con gran semplicità, ciò che il Signore ha fatto per lui e non cercherebbe di nascondere i benefici divini. Per falsa modestia, non direbbe: «Sono sgraziato, non ho profumo, il sole ha portato via il mio splendore, la bufera ha infranto il mio stelo» quando riconoscesse in sé tutto il contrario.
11 – Il fiore che racconta qui la sua storia si rallegra perché farà conoscere le premure tutte gratuite di Gesù; non ha niente lui – e lo sa bene – che possa attrarre lo sguardo di Dio, ed anche sa che la sola misericordia divina ha fatto tutto il buono esistente in lui. L’ha fatto nascere in una terra santa, e quasi permeata da un profumo verginale. L’ha fatto precedere da otto gigli sfolgoranti di candore. Nel suo amore, ha voluto preservare il fiore umile dal soffio velenoso del mondo; stavano appena per aprirsi i petali, e il Salvatore l’ha trapiantato sulla montagna del Carmelo, ove già olezzavano due gigli: proprio quei due che l’avevano avvolto e cullato dolcemente al suo primo germogliare… Sette anni sono trascorsi da quando il fiore si è radicato nel giardino dello Sposo dei vergini, ed ora vicine a lui ondulano tre corolle fragranti; non lontano, un’altra si apre allo sguardo di Gesù, ed i due steli benedetti che le hanno prodotte sono riuniti per sempre nella Patria divina. Là hanno ritrovato i quattro gigli che la terra non ha visti fiorire. Oh, che Gesù voglia non lasciare a lungo sulla riva straniera coloro che sono rimaste nell’esilio: che ben presto tutto il cespo bianco sia completo nel Cielo!
12 – Madre mia, ho riassunto in poche parole ciò che il Signore ha fatto per me, ora mi addentrerò nella mia vita di bimba; so che là, dove chiunque altro non vedrebbe se non una tiritera noiosa, il suo cuore di mamma troverà un fascino. E poi, i ricordi che evocherò sono anche i suoi, perché l’infanzia mia è trascorsa vicina a lei, ed io ho la fortuna d’appartenere ai genitori ineguagliabili i quali ci hanno avviluppate delle stesse premure e di uguale tenerezza. Benedicano essi la minima delle loro figlie e l’aiutino a cantare le misericordie di Dio!
13 – Nella storia dell’anima mia fino a quando sono entrata nel Carmelo, distinguo nettamente tre periodi: il primo, nonostante la brevità, non è il meno fecondo di ricordi: dall’iniziale destarsi della mia mente al transito della nostra Mamma amata.
14 – Per tutta la mia vita è piaciuto a Dio circondarmi d’amore, i primi ricordi sono sorrisi e carezze tenerissime: ma, se egli mi aveva messo intorno tanto amore, me ne aveva posto anche nel cuore, creandolo amante e sensibile; così amavo grandemente Papà e Mamma e dimostravo il mio affetto in mille modi, perché ero molto espansiva. Soltanto i mezzi che usavo erano talvolta strani, come lo prova questo passo di una lettera di Mamma: «La piccina è un furicchio impagabile, mi ha carezzata augurandomi la morte: “Oh, come vorrei che tu morissi, povera Mammina mia!…”; la rimbrottano e lei mi fa: “Ma è perché tu possa andare in Cielo, giacché tu dici che bisogna morire per andarci!”. E in modo simile augura la morte al Babbo, quand’è nei suoi trasporti d’amore».
15 – Il 25 giugno 1874, avevo appena diciotto mesi, ecco ciò che Mamma diceva di me: «Papà ha installato un’altalena, Celina è felice a più non posso, ma bisogna vedere la piccina quando si dondola: è buffissima, si regge come una bimba grande, non c’è pericolo che lasci la corda, poi quando non va abbastanza forte, grida. L’attacchiamo davanti con un’altra corda e, nonostante questo, non sono tranquilla quando la vedo issata lì sopra.
16 – M’è accaduta un’avventura curiosa ultimamente con la piccina. Ho l’abitudine di andare alla Messa delle cinque e mezzo, nei primi giorni non osavo lasciarla, ma vedendo che non si svegliava mai, ho finito per decidermi. La metto nel letto mio, e accosto la culla in modo che lei non possa cadere. Un giorno dimentico di avvicinare la culla. Ritorno, la piccina non c’è più: nello stesso attimo odo uno strilletto, guardo, la vedo seduta sopra una seggiola accanto al letto, con la testina appoggiata al traversino, e dormiva agitata per la posizione scomoda. Non ho ancora capito come abbia potuto cadere seduta su una seggiola, dal momento che era distesa. Ho ringraziato Iddio che non le sia capitato nulla, è un fatto provvidenziale davvero, avrebbe dovuto ruzzolare per terra, il suo Angelo ha vegliato, e le anime del purgatorio, che invoco per lei tutti i giorni, l’hanno protetta: io lo accomodo così, questo fatto… Voi accomodatelo come vi pare!…».
17 – Alla fine della lettera, Mamma aggiungeva: «Ecco la piccina, che mi mette le manotte su’ viso e mi abbraccia. Povera bimba, non mi vuole lasciare, sta sempre con me; le piace tanto andare in giardino, ma se non ci vado anch’io, non ci rimane, e piange fino a quando me la riportano». Ecco un altro tratto di un’altra lettera: «L’altro giorno Teresa mi domanda se andrà in Cielo: le dico di si, se è proprio buona; mi risponde: “Sì, ma se non fossi proprio buona buona, andrei all’inferno… ma io lo so cosa farei: scapperei su con te, che saresti in Cielo, come farebbe il buon Dio per prendermi? Tu mi reggeresti forte tra le braccia…”. Ho letto nei suoi occhi: è convinta che il buon Dio non le può fare nulla se è tra le braccia della Mamma».
18 – «Maria ama molto la sorellina, la trova deliziosa e la piccolina ha un gran timore di farle dispiacere. Ieri le volli dare una rosa perché sapevo che lei ne è felice, ma si è messa a supplicarmi di no, diceva: “Maria ha proibito di tagliarle”, era rossa per il gran sottosopra, nonostante ciò gliene ho date due, non osava più tornare a casa. Avevo un bel dirle che le rose sono mie, “ma no – diceva lei -, sono di Maria”.
19 – È una bambina che si emoziona facilmente. Appena ha fatto un piccolo malestro, bisogna che lo sappiano tutti. Ieri aveva fatto cadere senza volere un pezzetto di tappezzeria, era in uno stato da far pietà, poi bisognava dirlo subito a Papà; lui arrivò quattr’ore dopo, nessuno ci pensava più, ma lei corse da Maria: “Svelta, dì a Papà che ho strappato la carta”. Rimane lì come un criminale in attesa della sentenza, ma ha nella sua testolina l’idea che le sarà perdonato più facilmente se lei stessa si accusa».
20 – Amavo tanto la mia Madrina. Senza parere, stavo attentissima a tutto quello che dicevano e facevano intorno a me, mi pare che giudicavo le cose come adesso. Ascoltavo con grande premura ciò che Maria insegnava a Celina, per fare come lei; dopo che uscì dalla Visitazione, ero buona buona e facevo tutto quello che voleva lei, per ottenere la grazia d’essere ammessa nella stanza durante le lezioni che dava a Celina; e lei mi faceva tanti regalini che, pur essendo di poco valore, mi davano gran contentezza.
21 – Ero fierissima delle mie sorelle grandi, ma quella che era il mio ideale di bimba, era Paolina… Quando cominciai a parlare, se Mamma mi domandava: «A che pensi?» la risposta non cambiava mai: «A Paolina». Un’altra volta lasciavo scorrere il ditino sui vetri e dicevo: «Scrivo: Paolina! …». Spesso udivo dire che Paolina certamente si sarebbe fatta religiosa: allora pensavo, senza sapere bene di che si trattasse: “Sarò religiosa anch’io”. Quello è uno dei miei primi ricordi, e da allora non ho cambiato mai risoluzione. Fu lei, Madre cara, che Gesù scelse per fidanzarmi con lui; lei a quel tempo non era presso me, ma già un legame si era formato tra le nostre anime: era il mio ideale, volevo somigliare a lei, e fu il suo esempio che dall’età di due anni mi attirò verso lo Sposo delle vergini. Oh, quante dolci riflessioni vorrei confidarle! Ma debbo continuare la storia del fiorellino, la sua storia completa e generale, perché se volessi parlare minutamente delle mie relazioni con Paolina, dovrei tralasciare tutto il resto!
22 – La mia cara Leonia occupava anche lei un gran posto nel cuore mio. Mi voleva molto bene. La sera era lei che mi custodiva quando tutta la famiglia andava a passeggiare. Mi pare di ascoltare ancora le belle canzoncine che cantava per addormentarmi… in tutte le cose cercava il modo per farmi piacere, cosicché sarei stata ben triste se l’avessi contrariata.
23 – Ricordo distintamente la sua prima Comunione, soprattutto il momento in cui mi prese in braccio per farmi entrare nel presbiterio; mi pareva meraviglioso di essere portata così da una sorella grande tutta bianca come me! La sera mi misero a letto per tempo, ero troppo piccola per restare al gran pranzo, ma vedo ancora Papà che, dopo il dolce, venne a portarne un pezzetto alla sua reginetta… Il giorno dopo, o pochi giorni dopo, andammo con Mamma dalla piccola compagna di Leonia; mi pare fosse quel giorno che la nostra Mamma tanto cara ci condusse dietro un muro per farci bere un pochino di vino dopo il pranzo (che ci aveva allestito la povera signora Dagoran) perché non voleva mortificare la buona donna, ma anche voleva che non ci mancasse niente. Com’è delicato il cuore di una mamma, e come traluce la sua tenerezza in mille premure alle quali nessuno penserebbe!
24 – Ora mi resta da parlare di Celina cara, la mia compagnetta d’infanzia, ma ecco i ricordi in tanta folla che non so quale scegliere! Caverò qualche brano dalle lettere che Mamma scriveva alla Visitazione, ma non copierò tutto, sarebbe troppo lungo… ll 10 luglio 1873, anno della mia nascita, diceva: «Giovedì la balia ha portato qui Teresina, la quale non ha fatto che ridere, soprattutto le piaceva Celina, faceva gran risate con lei; si direbbe che abbia già voglia di giocare, e presto lo farà, sta ritta sulle gambette, rigida come un palettino. Credo che camminerà presto e che sarà di buon carattere, pare molto intelligente e ha un visino da predestinata. Ma soprattutto dopo che da balia tornai a casa, rivelai il grande affetto per la mia Celina. C’intendevamo a meraviglia, soltanto io ero assai più vivace e meno ingenua di lei; benché avessi tre anni e mezzo di meno, mi pareva di essere della stessa età.
25 – Ecco un brano di una lettera di Mamma che le mostrerà Celina dolce e me cattiva: «La mia Celina è proprio disposta alla virtù, è il sentimento intimo del suo essere, ha un’anima candida ed ha orrore del male. Quanto al furicchio, non si sa come butterà. E un cosino tanto piccino e tanto stordito! E anche più intelligente di Celina, ma meno dolce assai, e soprattutto di un’ostinazione quasi invincibile; quando dice no, niente da fare; la metti in cantina tutta una giornata, lei ci dorme piuttosto che dire “sì”
26 – Però ha un cuore d’oro, ed è tanto carezzevole e molto franca; è curioso vederla quando mi corre dietro per farmi le sue confessioni: – Mamma, ho dato una spinta a Celina, una sola, e le ho dato un colpetto, ma non lo faccio più. (Così per tutto quel che fa). Giovedì sera andammo a passeggiare verso la stazione, in tutti i modi volle entrare nella sala d’aspetto per cercare Paolina, mi correva avanti con una gioia che metteva l’allegria anche a me, ma quando vide che bisognava tornarsene a casa senza salire in treno per andare a cercare Paolina, pianse per tutta la strada…».
27 – Queste ultime righe mi ricordano la felicità di quando la vedevo tornare dalla Visitazione: lei, Madre, prendeva in braccio me, Maria prendeva Celina; allora io le facevo cento carezze, e mi sporgevo dietro per ammirare la sua grande treccia, poi mi dava una tavoletta di cioccolata che aveva conservata per tre mesi. Pensi un po’ che reliquia era per me! Ricordo anche il viaggio che feci a Le Mans, era la prima volta che andavo in treno. Che gioia viaggiar sola con Mamma! Però, mi misi a piangere, non so più perché, e la povera Mamma mia non poté presentare alla zia di Le Mans altro che un cosino brutto e tutto rosso dalle lacrime versate in viaggio. Non mi è rimasto nessun ricordo del parlatorio, ma soltanto del momento in cui la zia mi porse un topino bianco e un panierino di carta bristol pieno di dolcini e sui quali troneggiavano due anelli di zucchero, proprio grossi come il mio dito; gridai subito: «Che bellezza! C’è un anello anche per Celina». Oh, sciagura! prendo il panierino per il manico, do l’altra mano a Mamma, e partiamo; dopo qualche passo, guardo il paniere e vedo che i dolci sono tutti seminati per la via, come i Sassetti di Puccettino… Guardo meglio, e vedo che uno dei due anelli ha subito il destino tragico dei dolci: non c’è più nulla per Celina! Allora il dolore erompe, chiedo di tornare indietro, Mamma non mi dà retta, e questo è troppo, alle lacrime succedono i gridi… non capivo come mai non condividesse il mio dolore e per questo soffrivo molto di più!…
28 – Ritorno alle lettere nelle quali Mamma le parla di Celina e di me, è il miglior modo per farle conoscere il mio carattere. Ecco un brano nel quale i miei difetti brillano di vivo splendore: «Celina si diverte con la piccina al gioco dei cubi, bisticciano di quando in quando, Celina cede per avere una perla alla sua corona. Sono costretta a correggere quella povera piccolina che va in furie paurose; quando le cose non vanno secondo le sue idee, si rotola per terra come una disperata credendo tutto perduto, ci sono momenti in cui è più forte di lei, ne è come soffocata. E una bambina molto nervosa, eppure è deliziosa e intelligentissima, si ricorda di tutto».
29 – Vede dunque, Madre mia, quant’ero distante dall’essere una bambina senza difetti! E nemmeno potevano dire di me che stessi buona quando dormivo, perché la notte era ancor piu movimentata che il giorno, buttavo via tutte le coperte, e poi (sempre dormendo) battevo dei colpi contro il legno del mio lettino, il dolore mi risvegliava. Allora dicevo: «Mamma, sono “picchiata”». Povera Mamma, era costretta ad alzarsi e costatava che davvero avevo dei bernoccoli alla fronte, ero “picchiata”; mi copriva bene, poi tornava nel suo letto, ma dopo un minuto io ricominciavo ad essere «picchiata», tanto che dovettero legarmi nel lettino. Sera per sera, Celina veniva ad annodare i numerosi cordoni destinati ad impedire al furicchio di farsi i bernoccoli e di svegliare Mamma, e questo mezzo riuscì bene, diventai saggia dormendo.
30 – Ma c’era un altro difetto che avevo (da sveglia) e di cui Mamma parla nelle sue lettere, era un grande amor proprio. Ne do due esempi soli per non allungare troppo il racconto. Un giorno Mamma mi disse: «Teresina, se tu baci la terra, ti do un soldo». Un soldo! Era la ricchezza per me! Per impadronirmene mi bastava abbassare la mia altezza, giacché la mia statura minima non frapponeva gran distanza tra me e la terra, e tuttavia la mia fierezza si ribellò all’idea di baciar la terra: dritta indomita dissi a Mamma: «Oh no, Mammina mia, preferisco fare a meno del soldo».
31 – Un’altra volta dovevamo andare a Grogny dalla signora Monnier. Mamma disse a Maria di mettermi un bel vestitino azzurro-cielo ornato di trine, ma di non lasciarmi le braccia nude affinché il sole non me le brunisse. Mi feci vestire con l’indifferenza che dovevano avere le bimbe dell’età mia, ma intimamente pensavo che sarei stata molto più carina con le mie braccine nude. Con una natura come la mia, se fossi stata educata da genitori privi di virtù, oppure se, come Celina, fossi stata viziata da Luisa, sarei diventata un cattivo arnese, e, forse, mi sarei perduta.
32 – Ma Gesù vegliava sulla sua piccola fidanzata, ha voluto che tutto volgesse al bene di lei; perfino i difetti che, repressi per tempo, le sono serviti per crescere nella perfezione… Poiché avevo amor proprio ed anche amor del bene, appena cominciai a pensare seriamente (e ho cominciato piccina piccina), bastava che mi dicessero: questo non è bene, che io non me lo facevo ripetere due volte. Vedo con piacere dalle lettere di Mamma che, crescendo, le davo più consolazione. Avevo soltanto buoni esempi intorno a me: naturalmente, volevo seguirli. Ecco ciò che scriveva nel 1876: “Perfino Teresa vuol prender parte a fare delle “pratiche”. E’ una bimba incantevole, fina come l’ombra, molto vivace, ma il cuore è sensibile.
33 – Celina e lei si vogliono un gran bene, si bastano reciprocamente per non annoiarsi: tutti i giorni, appena abbiamo finito il pranzo, Celina va a prendere il suo galletto, poi acchiappa a un tratto la gallinella di Teresa; io non ce la faccio, ma lei è così svelta che al primo balzo la piglia; poi arrivano tutt’e due al cantuccio del fuoco, e si divertono così per un gran tempo. [Era la Rosina che mi aveva regalato gallina e galletto, io avevo regalato il gallo a Celina]. L’altro giorno Celina ha dormito con me. Teresa ha dormito al piano di sopra nel letto di Celina, ha supplicato Luisa di portarla giù perché la potessimo vestire. Luisa sale per prenderla, trova il letto vuoto. Teresa ha inteso Celina ed è discesa con lei. Luisa le dice: “Non vuoi venire a farti vestire?”. “Oh, no, povera Luisa, siamo come i due polli, non ci possiamo separare!,,. E mentre dicevano così, si abbracciavano. Poi, la sera, Luisa, Celina e Leonia sono andate al circolo cattolico e hanno lasciato a casa questa povera Teresa la quale si rendeva conto benissimo di esser troppo piccola per andare anche lei; e diceva: “Oh, basterebbe che mi mettessero nel letto di Celina!”. Ma no, non ce l’hanno messa… non ha detto più nulla, è rimasta sola col suo lumino e dopo un quarto d’ora se ne dormiva d’un sonno profondo».
34 – Un altro giorno Mamma scriveva: «Celina e Teresa sono inseparabili, non si possono vedere due bimbe che si vogliano più bene. Quando Maria viene a prendere Celina per darle lezione, Teresa, più piccina, è tutta in lacrime. Ahimè che sarà di lei, l’amichetta se ne va! Maria si muove a compassione, prende anche lei, e la povera bimba rimane issata sopra una seggiola per due o tre ore; le danno delle perline da infilare o un pezzetto di stoffa da ricamare, lei non osa muoversi e spesso fa dei gran sospironi. Quando l’ago si sfila, fa di tutto per rinfilarlo, è curioso vederla mentre non le riesce, e che non osa disturbar Maria; poco dopo due lacrimoni grossi scendono sulle gotine. Maria la consola subito, rinfila l’ago, e il povero angiolino sorride attraverso le lacrime…».
35 – Infatti, ricordo che non potevo restare senza Celina, preferivo uscir da tavola prima d’aver finito il dolce piuttosto che non seguirla, appena lei si alzava. Mi dibattevo sul mio seggiolone chiedendo che mi mettessero giù, e poi: via, a giocare insieme; qualche volta andavamo dalla piccola «prefetta», ciò che mi piaceva molto a causa del parco e di tutti i bei giocattoli che ci faceva vedere, ma in realtà ci andavo più che altro per far piacere a Celina, perché avrei preferito restare nel nostro giardinetto a grattare i muri, dai quali staccavamo tutte le pagliuzze brillanti che vi si trovavano per poi andare a venderle a Papà nostro, e lui le comperava con grande serietà.
36 – La domenica, essendo troppo piccola per andare alle funzioni, Mamma rimaneva per badarmi; ero buona buona e camminavo in punta di piedi durante il tempo della Messa, ma appena vedevo la porta che si apriva, era una esplosione di gioia senza pari; mi precipitavo incontro alla mia bella sorellina, che ritornava «ornata a festa come una cappella» e le dicevo: «Oh Celinetta mia, svelta, dammi il pane benedetto!». A volte non ce l’aveva perché era arrivata tardi… Come si fa, allora? Impossibile rinunciarvi: era la «mia messa»! Il rimedio è trovato subito: «Non hai pane benedetto! Ebbene, fanne!». Detto, fatto: Celina prende una seggiola, apre l’armadio, acchiappa il pane, ne taglia un boccone e molto seriamente ci recita sopra un’Ave Maria poi me l’offre, e io, dopo fatto il segno della Croce, lo mangio con grande devozione e scopro proprio il sapore del pane benedetto… Spesso facevamo insieme delle conferenze spirituali. Ecco un esempio, anche questo preso dalle lettere di Mamma: «Le nostre due care bimbe Celina e Teresa sono angeli di benedizione, nature di paradiso. Teresa è la gioia, la felicità di Maria, e la sua gloria, è incredibile come Maria ne è fiera. È vero che ha delle uscite rare alla sua età, supera Celina che ha il doppio di anni. L’altro giorno Celina diceva: “Ma come può essere che il buon Dio sia in una Ostia tanto minuscola?”. La piccina: “Non è tanto strano, poiché Dio è onnipotente”. “Che vuol dire onnipotente?”. “Ma che può fare tutto quello che vuole!”».
37 – Un giorno Leonia, pensando di essere troppo grande per giocare con la bambola, venne da noi due con un paniere pieno di vestiti e di pezzetti belli di stoffa per farne altri; su queste ricchezze stava distesa la bambola. «Prendete, sorelline, scegliete, vi do tutto». Celina allungò la mano e prese un pacchetto di gale che le piacevano. Io riflettei un attimo, poi anch’io allungai la mano e dissi: «Io scelgo tutto!», e presi il paniere senza tanti complimenti; quelli che assistevano alla scenetta trovarono la cosa molto giusta, e la stessa Celina non si sognò di protestare (bisogna dire che i giocattoli non le mancavano, il suo padrino la colmava di regali, e Luisa trovava il modo di procurarle tutto quello che desiderava). Questo minimo tratto della mia infanzia è il riassunto di tutta la vita mia; più tardi, quando la perfezione mi apparve, capii che, per diventare una santa, bisognava soffrir molto, cercar sempre il più perfetto e dimenticar se stessi; capii che ci sono molti gradi nella perfezione, e che ciascun’anima è libera di rispondere agli inviti di Nostro Signore, di far poco o molto per lui, insomma di scegliere tra i sacrifici che egli chiede. Allora, come ai giorni della mia prima infanzia, esclamai: «Dio mio, scelgo tutto. Non voglio essere una santa a metà, non ho paura di soffrire per Voi, temo una cosa sola, cioè di conservare la mia volontà: prendetela, perché scelgo tutto quello che Voi volete…».
38 – Bisogna che mi fermi, non devo ancora parlarle della mia giovinezza, bensì del furicchio di quattro anni. Mi ricordo di un sogno che mi capitò verso quell’età e che si incise profondamente nella mia immaginazione. Una notte sognai che uscivo per andare a spasso, in giardino, sola. Giunta agli scalmi che bisognava salire per arrivarvi, mi fermai spaventata. Davanti a me, vicino alla pergola c’era un barile di calce, e su questo barile due orribdi diavolini ballavano con agilità sorprendente nonostante i ferri da stiro che avevano ai piedi; a un tratto lanciarono verso di me i loro sguardi fiammeggianti, poi, nello stesso momento, parvero assai più spaventati di me, si precipitarono giù dal barile, e andarono a nascondersi nella lavanderia ch’era di faccia. Vedendoli così poco coraggiosi volli vedere cos’andavano a fare, e mi avvicinai alla finestra. I diavolini erano li, correvano sulle tavole e non sapevano come fare per fuggire il mio sguardo; a momenti si avvicinavano alla finestra, guardavano inquieti se ero ancor li, e, vedendomi, ricominciavano a correre come disperati. Certo, questo sogno non ha nulla di straordinario, eppure io credo che il Signore mi abbia permesso di ricordarmene per provarmi che un’anima in stato di grazia non ha nulla da temere dai demoni i quali sono vigliacchi, capaci di fuggire davanti allo sguardo di una bambina.
39 – Ecco un altro passo di una lettera di Mamma. Già quella povera Madre presentiva la fine del suo esilìo: «Le due piccole non mi preoccupano, sono tanto care tutte due, sono nature scelte, certamente saranno buone. Maria e tu potrete educarle perfettamente. Celina non commette mai la minima colpa volontaria. La piccina sarà buona anche lei, non direbbe una bugia per tutto l’oro del mondo, e ha spirito come non ne ho visto a nessuna di voi. L’altro giorno era dal pizzicagnolo, con Celina e Luisa, parlava delle sue “pratiche” e discuteva a voce alta con Celina; la padrona ha detto a Luisa: “Ma che vuol dire, quando gioca in giardino, non si sente parlar che di ‘pratiche’? La signora Gaucherin allunga la testa dalla finestra per cercar di capire quel che vuol dire questa discussione sulle pratiche…”. Cara piccina! Forma la nostra gioia, sarà buona, gia si vede il germe; non parla che di Dio, non mancherebbe alle sue preghiere per niente al mondo. Vorrei che tu la vedessi recitare una favoletta, non ho visto mai cosa tanto gentile, trova da sé l’espressione e il tono, ma soprattutto quando dice: “Bimba piccina dalla testa bionda, dove credi che sia Dio?”, quando è a: “Lassù nel Cielo blu” volge in alto lo sguardo con una espressione di angelo. Non ci stanchiamo di farglielo dire, tanto è bello, c’è nello sguardo di lei un che di celeste che rapisce…».
40 – Oh, Madre mia! Come ero felice a quella età! Già cominciavo a godere della vita, la virtù aveva un fascino per me, ed ero, mi pare, nelle medesime disposizioni nelle quali mi trovo ora, avendo già una grande padronanza sulle mie azioni. Ah, come sono passati rapidi gli anni solatii della prima infanzia, ma che impronta dolce mi hanno lasciata nell’anima! Ricordo con gioia i giorni in cui Papà ci conduceva al «padiglione», ho ancora scolpiti nel cuore i minimi particolari… Ricordo soprattutto le passeggiate della domenica: Mamma ci accompagnava sempre. Rivivo ancora i sentimenti profondi e poetici che nascevano nell’anima mia alla vista dei campi di grano smaltati di frordalisi e di fiori campestri. Già amavo gli orizzonti lontani; lo spazio e gli abeti giganti i cui rami toccavano terra mi lasciavano un impressione simile a quella che ancora oggi provo contemplando la natura… Spesso durante quelle lunghe passeggiate incontravamo dei poveri, ed era sempre Teresa piccina a ricevere l’incarico di portare l’elemosina, e come ne era felice! Ma spesso Papà pensava che il cammino fosse troppo lungo per la reginetta, e la riconduceva a casa prima delle altre (con grande dispiacere per lei). Allora, per consolarla, Celina riempiva di margherite un bel panierino, glielo dava al ritorno; senonché, ecco la povera Nonnina, la quale trovava che la nipote ne avesse fin troppe, e ne prendeva lei una buona parte per la sua Madonna. Questo non piaceva a Teresa, ma lei si guardava bene dal dirlo perché aveva preso la gran buona abitudine di mai lamentarsi, nemmeno quando le togliessero le cose sue o l’accusassero ingiustamente. Non era merito da parte sua, bensì virtù naturale. Che peccato che questa buona disposizione sia svanita!
41 – In verità, tutto mi sorrideva sulla terra. Trovavo un fiore sotto ciascun passo, e il mio carattere felice contribuiva a rendermi gradevole la vita; tuttavia un nuovo periodo cominciava per l’anima mia. Sarei passata attraverso la prova; avrei sofferto fin dall’infanzia per potere essere offerta più presto a Gesù. Al modo stesso in cui i fiori di primavera cominciano a germogliare sotto la neve e sbocciano ai primi raggi, così il fiore umile del quale scrivo i ricordi ha dovuto passare attraverso l’inverno della sofferenza.
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