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Apertura d'animo con la nuova Priora

Tratto da "Storia di un'anima - Capitolo 10 - Parte 1"

Autore: Santa Teresa di Lisieux

266 – Madre tanto amata, ella mi ha espresso il desiderio che io completi con lei il mio canto delle misericordie del Signore. Questo dolce canto l’avevo cominciato con la sua figlia cara, Agnese di Gesù, la mamma incaricata da Dio di guidarmi nei giorni dell’infanzia; con quella madre dovevo cantare le grazie largite al fiore umile della Vergine Santa quand’era nella sua primavera, ma è con lei che debbo cantare la felicità di questa piccola corolla ora che i raggi timidi dell’aurora hanno fatto posto agli ardori del mezzogiorno. Sì, con lei e per rispondere al suo desiderio cercherò di ridire i sentimenti dell’anima mia, la mia riconoscenza verso il buon Dio, verso lei che me lo rappresenta visibilmente; non è, infatti, nelle sue mani materne che mi sono offerta interamente al Signore? Ricorda, Madre, quel giorno?… Sento che il suo cuore non saprebbe dimenticano. Quanto a me, debbo attendere il Cielo perché non trovo, quaggiù, parole atte a tradurre ciò che accadde nel mio cuore in quel giorno benedetto.

267 – Madre cara, c’è un altro giorno nel quale il cuore mio si attaccò ancor più al suo, se ciò è possibile; fu quando Gesù le impose novamente il fardello del superiorato. In quel giorno, lei seminò tra le lacrime, ma in Cielo sarà colma di gioia vedendosi carica di fasci di fiori preziosi. Oh, Madre mia, perdoni alla mia semplicità fanciullesca, sento che lei mi permette di parlarle senza ricercare ciò che una giovane religiosa può dire alla sua Priora. Forse non mi manterrò sempre entro i limiti prescritti agli inferiori, ma, oso dirlo, è colpa sua: agisco con lei come una figlia perché lei agisce con me non gia come una Priora, bensì come una Madre.

268 – Lo sento bene, è il Signore che mi parla sempre attraverso lei. Varie sorelle pensano che ella mi abbia viziata, che da quando sono entrata nell’arca santa, io non abbia ricevuto da lei se non carezze e complimenti, ma non è così; vedrà, Madre mia, nel quaderno che contiene i miei ricordi d’infanzia, ciò che penso della educazione forte e materna che ho ricevuta da lei. Dal più profondo del cuore la ringrazio per non avermi risparmiata. Gesù sapeva bene che era necessaria l’acqua vivificante dell’umiliazione per il suo povero fiore, questo era troppo debole per mettere radici senza un tale soccorso, ed è per mezzo suo, Madre, che l’aiuto gli è stato concesso.

269 – Da un anno e mezzo Gesù ha voluto cambiare il modo per dar vita al suo fiore, l’ha trovato senza dubbio abbastanza annaffiato, perché ora è il sole che lo rende rigoglioso, Gesù dà a lui soltanto il suo sorriso, e per mezzo suo, Madre amata. Il fiore, anziché appassire, sotto questo sole dolce prende forza meravigliosamente, in fondo al calice conserva le gocce preziose di rugiada che ha ricevute, e queste gocce gli ricordano sempre che è piccolo e debole. Tutte le creature possono ben curvarsi verso lui, ammirarlo, soffocarlo di lodi: non so perché, ma questo non saprebbe aggiungere una sola goccia di falsa gioia alla gioia verace che esso gusta intimamente, vedendosi quello che è agli occhi di Dio: un povero piccolo nulla. Dico che non capisco perché, ma non è forse perché è stato preservato dall’acqua delle lodi per tutto il tempo nel quale il suo piccolo calice non era abbastanza pieno della rugiada dell’umiliazione? Ora non c’è più pericolo, al contrario, il fiore trova così deliziosa la rugiada di cui è pieno, che si guarderebbe bene dal cambiarla con l’acqua tanto banale dei complimenti.

270 – Non voglio parlare, Madre cara, dell’amore e della fiducia che lei mi dimostra; non creda che il cuore di sua figlia sia insensibile, solamente sento bene che non ho da temere nulla ora, al contrario posso goderne, riferendo al Signore ciò che di buono egli si è degnato mettere in me. Se piace a lui farmi sembrare migliore di quanto non sia, ciò non mi riguarda, è libero di agire come vuole. Oh, come sono diverse le vie per le quali il Signore conduce le anime! Nella vita dei Santi, vediamo che ce ne sono molti i quali non hanno voluto lasciare niente di loro dopo la morte, non il minimo ricordo, né il più piccolo scritto. Ce ne sono altri, invece, come la nostra Madre santa Teresa, i quali hanno arricchito la Chiesa con le loro rivelazioni sublimi, non temendo di rendere noti i segreti del Re, affinché egli sia più conosciuto e più amato dalle anime. Quale di questi due generi di santi piace più al Signore? Mi sembra, Madre mia, che gli siano ugualmente graditi, poiché tutti hanno seguito l’impulso dello Spirito Santo, e il Signore ha detto: «Dite al giusto che tutto è bene». Sì, tutto è bene, quando si cerca soltanto la volontà di Gesù; è per questo che io povero piccolo fiore obbedisco a Gesù, cercando di far piacere alla mia Madre amata.

271 – Lei lo sa, Madre, ho sempre desiderato essere una santa, ma ahimè, ho sempre accertato, quando mi sono paragonata ai santi, che tra essi e me c’è la stessa differenza che tra una montagna la cui vetta si perde nei cieli, e il granello di sabbia oscura calpestata sotto i piedi dei passanti. Invece di scoraggiarmi, mi sono detta: il buon Dio non può ispirare desideri inattuabili, perciò posso, nonostante la mia piccolezza, aspirare alla santità; diventare più grande mi è impossibile, debbo sopportarmi tale quale sono con tutte le mie imperfezioni, nondimeno voglio cercare il mezzo di andare in Cielo per una via ben diritta, molto breve, una piccola via tutta nuova. Siamo in un secolo d’invenzioni, non vale più la pena di salire gli scalini, nelle case dei ricchi un ascensore li sostituisce vantaggiosamente. Vorrei anch’io trovare un ascensore per innalzarmi fino a Gesù, perché sono troppo piccola per salire la dura scala della perfezione. Allora ho cercato nei libri santi l’indicazione dell’ascensore, oggetto del mio desiderio, e ho letto queste parole pronunciate dalla Sapienza eterna: «Se qualcuno è piccolissimo, venga a me». Allora sono venuta, pensando di aver trovato quello che cercavo, e per sapere, o mio Dio, quello che voi fareste al piccolissimo che rispondesse al vostro appello, ho continuato le mie ricerche, ed ecco ciò che ho trovato: «Come una madre carezza il suo bimbo, così vi consolerò, vi porterò sul mio cuore, e vi terrò sulle mie ginocchia!». Ah, mai parole più tenere, più armoniose hanno allietato l’anima mia, l’ascensore che deve innalzarmi fino al Cielo sono le vostre braccia, Gesù! Per questo non ho bisogno di crescere, al contrario bisogna che resti piccola, che lo divenga sempre più.

272 – Dio mio, avete superato la mia speranza, ed io voglio cantare le vostre misericordie. «Voi mi avete istruita fin dalla mia giovinezza e fino ad oggi ho annunciato le vostre meraviglie, continuerò a manifestarle nell’età più tarda – Salmo LXX». Quale sarà per me questa tarda età? Mi pare che potrebbe essere ora, perché duemila anni non sono agli occhi del Signore più di venti anni o di un giorno solo. Non creda, Madre cara, che la sua figliola desideri lasciarla… non creda che consideri una grazia più grande morire all’aurora piuttosto che al tramonto. Quello che stima, che unicamente desidera è far piacere a Gesù. Ora che egli sembra avvicinarsi per attirarmi nella sua gloria, io mi rallegro. Da lungo tempo ho capito che il buon Dio non ha bisogno di nessuno (ancor meno di me che di altri) per far del bene sulla terra. Madre mia, mi perdoni se la rattristo… Vorrei tanto rallegrarla, ma crede lei che se le sue preghiere non sono esaudite sulla terra, se Gesù per qualche giorno separa la figlia dalla madre, quelle preghiere non saranno esaudite in Cielo?

273 – il suo desiderio è, lo so bene, che io compia accanto a lei una missione molto dolce e facile; questa missione non potrò assolverla dall’alto dei cieli? Come disse Gesù un giorno a san Pietro, così lei ha detto a sua figlia: «Pasei i miei agnelli», e io mi sono meravigliata, ho detto a lei: «sono troppo piccola»… l’ho supplicata di fare pascolare lei stessa i suoi agnellini e di custodirmi, di farmi pascolare per grazia con essi. E lei, Madre amata, rispondendo un poco al mio giusto desiderio, ha custodito gli agnellini con le pecore, ma comandandomi di farli spesso pascolare all’ombra, di indicar loro le erbe migliori e più fortificanti, di mostrar loro chiaramente i fiori brillanti che non debbono mai toccare se non per schiacciarli sotto i loro passi. Lei non ha temuto, cara Madre, che io facessi smarrire i suoi agnelli; la mia inesperienza, la mia giovinezza non l’hanno affatto spaventata, forse lei si è ricordata che spesso al Signore piace concedere la sapienza ai piccoli, e che un giorno, pieno di gioia, egli ha benedetto suo Padre perché ha nascosto i propri segreti ai prudenti e li ha rivelati ai più piccoli. Madre mia, lei lo sa, sono ben rare le anime che non misurino la potenza divina secondo i loro corti pensieri; si ammette che dappertutto sulla terra esistano eccezioni, soltanto Iddio non ha il diritto di farne! Da lungo tempo, lo so bene, questo modo di commisurare l’esperienza agli anni viene praticato fra gli uomini, perché nella sua adolescenza il santo re David cantava al Signore: «Sono giovane e disprezzato». Nello stesso Salmo 118 tuttavia non esita a dire: «Sono diventato più prudente dei vegliardi: perché ho cercato la vostra volontà… La vostra parola è la lampada che rischiara i miei passi… Sono pronto a compiere i vostri ordini e non sono turbato da nulla».

274 – Madre cara, lei non ha esitato a dirmi un giorno che il Signore illuminava l’anima mia, che egli mi dava anche l’esperienza degli anni. Oh, Madre! sono troppo piccola per avere della vanità ora, sono troppo piccola anche per comporre belle frasi e farle credere che ho molta umiltà; preferisco convenire semplicemente che l’Onnipotente ha fatto grandi cose nell’anima di colei che è figlia della sua divina Madre, e la più grande è di averle mostrato la sua piccolezza, la sua impotenza. Madre cara, lei lo sa bene, il Signore si è degnato far passare l’anima mia per varie prove; ho sofferto molto da quando sono sulla terra, ma, se nella mia infanzia ho sofferto con tristezza, ora non soffro più così, bensì nella gioia e nella pace, e sono veramente felice di soffrire. Bisogna che lei conosca tutti i segreti dell’anima mia per non sorridere leggendo queste righe, perché, se si giudica dalle apparenze, può esserci un anima meno provata della mia? Oh, se la prova che io soffro da un anno apparisse agli sguardi, che stupore! Madre amata, lei la conosce questa prova, tuttavia ne parlerò ancora perché la considero una grande grazia che ho ricevuto sotto il suo priorato benedetto.

275 – L’anno scorso il Signore mi ha concesso la consolazione di osservare il digiuno di quaresima in tutto il suo rigore. Non mi ero sentita mai così forte, e questa forza si mantenne fino a Pasqua. Tuttavia, il giorno del Venerdì santo, Gesù volle darmi la speranza di andare ben presto a vederlo in Cielo. Com’è dolce questo ricordo! Dopo essere rimasta al sepolcro fino a mezzanotte, rientrai nella nostra cella, ma avevo appena posato la testa sul cuscino che sentii un fiotto salire, salire quasi bollendo fino alle mie labbra. Non sapevo cosa fosse, ma pensai che forse morivo e l’anima era colma di gioia… Tuttavia, la lampada era spenta, dissi a me stessa che dovevo aspettare fino al mattino per assicurarmi della mia felicità, perché mi pareva sangue quello che avevo vomitato. La mattina non si fece attendere molto, svegliandomi pensai subito che avrei avuto una notizia allegra, mi avvicinai alla finestra, costatai che non mi ero ingannata. L’anima mia fu piena di una consolazione grande, ero persuasa intimamente che Gesù nel giorno commemorativo della sua morte volesse farmi udire il primo richiamo. Era come un dolce murmure lontano che mi annunciasse l’arrivo dello Sposo. Con immenso fervore assistei a Prima e al capitolo del perdono. Avevo fretta di veder giungere il mio turno per confidarle, chiedendole perdono, Madre mia cara, la mia speranza e la mia felicità; ma aggiunsi che non soffrivo affatto (cosa verissima), e la supplicai di non concedermi alcunché di particolare. Realmente ebbi la consolazione di passare la giornata del Venerdì santo come desideravo. Mai le austerità del Carmelo mi erano sembrate così deliziose, la speranza di andare in Cielo mi faceva esultare di letizia. Quando arrivò la sera di quel giorno felice, bisognò riposarsi, ma, come la notte precedente, Gesù misericordioso mi dette lo stesso segno che il mio ingresso nella vita eterna non era lontano…

276 – Godevo allora di una fede tanto viva, tanto chiara, che il pensiero del Cielo formava tutta la mia felicità, non potevo credere che vi fossero degli empi i quali non avessero la fede. Credevo che parlassero contro il loro stesso pensiero negando l’esistenza del Cielo, del bel Cielo ove Dio stesso vorrebbe essere la loro ricompensa eterna. Nei giorni tanto gioiosi della Pasqua, Gesù mi ha fatto sentire che esistono davvero anime senza fede, le quali per l’abuso delle grazie hanno perduto questo tesoro immenso, sorgente delle sole gioie pure e vere. Ha permesso che l’anima mia fosse invasa dalle tenebre più fitte, e che il pensiero del Cielo, dolcissimo per me, non fosse più se non lotta e tormento… Questa prova non doveva durare per qualche giorno, non per qualche settimana: terminerà soltanto all’ora segnata da Dio misericordioso, e… quest’ora non è ancora venuta. Vorrei esprimere ciò che penso, ma, ahimè, credo che sia impossibile. Bisogna aver viaggiato sotto questo tunnel cupo per capirne l’oscurità. Cercherò tuttavia di spiegarmi per mezzo di un paragone.

277 – Suppongo d’esser nata in un paese circondato da una bruma spessa, mai ho contemplato l’aspetto ridente della natura inondata, trasfigurata dallo splendore del sole; fin dall’infanzia, è vero, ho inteso parlare dì queste meraviglie, so che il paese nel quale sono nata non è la mia patria, che ce n’è un’altra alla quale debbo aspirare incessantemente. Non è una storia inventata da un abitante del paese triste ove sono, è una realtà sicura perché il Re della patria luminosa è venuto a vivere trentatré anni nel paese delle tenebre; ahimè! Le tenebre non hanno capito che quel Re divino era la luce del mondo. Ma, Signore, la vostra figlia ha capito la vostra luce divina, vi chiede perdono per i suoi fratelli, accetta di nutrirsi per quanto tempo voi vorrete del pane del dolore e non vuole alzarsi da questa tavola colma dì amarezza alla quale mangiano i poveri peccatori prima del giorno che voi avete segnato. Ma anche lei osa dire a nome proprio e dei suoi fratelli: «Abbiate pietà di noi Signore perché siamo poveri peccatori!» Oh, Signore, rimandateci giustificati… che tutti coloro i quali non sono illuminati dalla fiaccola limpida della fede, la vedano, finalmente… Gesù, se è necessario che la tavola insozzata da essi sia purificata da un’anima la quale vi ama, voglio ben mangiare sola il pane della prova fino a quando vi piaccia introdurmi nel vostro regno luminoso. La sola grazia che vi chiedo è di non offendervi mai!

278 – Madre amata, quello che le scrivo è disordinato; la mia piccola storia che somigliava a una fiaba si è cambiata a un tratto in preghiera, non so quale interesse lei potrà trovare a leggere tutti questi pensieri confusi ed espressi male. Ma io non scrivo per fare opera letteraria, bensì per obbedienza; se l’annoio, almeno ella vedrà che la sua figliola ha dato prova di buona volontà. Continuerò dunque senza scoraggiarmi il mio piccolo paragone al punto in cui l’avevo lasciato. Dicevo che la certezza di andare via, un giorno lontano, dal paese triste e tenebroso mi è stata data fin dall’infanzia; non solamente credevo ciò che ascoltavo dalle persone più importanti dì me, ma anche avevo in fondo al cuore le aspirazioni verso una regione più bella. Come il genio di Cristoforo Colombo gli fece intuire che esisteva un mondo nuovo, allorché nessuno ci pensava, così io sentivo che un’altra terra mi avrebbe servito un giorno di stabile dimora. Ma ad un tratto le nebbie che mi circondano divengono piu spesse, penetrano nell’anima mia e l’avviluppano in tal modo che non riesco più a ritrovare in essa l’immagine così dolce della mia Patria, tutto è scomparso! Quando voglio riposare il cuore stanco delle tenebre che lo circondano, ricordando il paese luminoso al quale aspiro, il mio tormento raddoppia; mi pare che le tenebre, assumendo la voce dei peccatori, mi dicano facendosi beffe dì me: «Tu sogni la luce, una patria dai profumi più soavi, tu sogni di possedere eternamente il Creatore di tutte queste meraviglie, credi uscire un giorno dalle brume che ti circondano. Vai avanti! Vai avanti! Rallegrati della morte che ti darà non già ciò che speri, ma una notte più profonda, la notte del niente». Madre carissima, l’immagine che ho voluto dare delle tenebre che oscurano l’anima mia è tanto imperfetta quanto un abbozzo paragonato al modello; ma non voglio continuare a scriverne, temerei di bestemmiare… ho paura d’aver già detto troppo…

279 – Che Gesù mi perdoni se gli ho fatto dispiacere, ma egli sa bene che, pur non avendo il godimento della fede, mi sforzo tuttavia di compierne le opere. Credo di aver compiuto più atti di fede da un anno, che non in tutta la vita. Ad ogni occasione nuova di battaglia, quando il nemico mi provoca, mi conduco da valoroso; sapendo che la viltà consiste proprio nel battersi in duello, volgo la schiena all’avversario senza degnarlo di uno sguardo; corro verso il mio Gesù, gli dico che sono pronta a versar fino all’ultima stilla di sangue per testimoniare che esiste un Cielo. Gli dico che sono felice di non godere di quel bel Cielo qui, sulla terra, affinché egli l’apra per l’eternità ai poveri increduli. Così, nonostante questa prova che mi toglie ogni godimento, posso dir tuttavia: «Signore, voi mi colmate dì gioia con tutto ciò che fate – Salmo XCI». Perché, esiste forse una gioia più grande che soffrire per amore vostro? Più la sofferenza è intima, più nascosta è agli occhi delle creature, e tanto più vi rallegra, o Dio mio! Ma se, cosa impossibile, doveste ignorare voi stesso la mia sofferenza, sarei felice di possederla se per mezzo di essa potessi impedire e riparare una sola colpa commessa contro la fede.

280 – Madre amata, le sembra forse che io esageri la mia prova; in realtà, se lei giudica dai sentimenti che esprimo nelle poesiole che ho composto quest’anno, le sembrerò un’anima colma di consolazione, per la quale il velo della fede si è quasi squarciato, e tuttavia… non è più un velo per me, è un muro che si alza fino ai cieli e copre le stelle. Quando canto la felicità del Cielo, il possesso eterno di Dio, non provo gioia alcuna, perché canto semplicemente ciò che voglio credere. A volte, è vero, un minimo raggio scende a illuminare la mia notte, allora la prova s’interrompe per un attimo, ma subito dopo, il ricordo di questo raggio, invece che rallegrarmi, rende ancor più fitte le mie tenebre. Madre mia, non ho mai sentito come ora quanto il Signore è dolce e misericordioso: mi ha mandato questa prova soltanto quando ho avuto la forza dì sopportarla; credo che se l’avessi avuta prima sarei precipitata nello scoramento. Ora essa toglie qualsiasi soddisfazione naturale che io avrei potuto trovare nel desiderio del Cielo. Mi sembra ora che niente m’impedisca di partire, perché non ho più grandi desideri, se non quello di amare sino a morire di amore (9 giugno).

281 – Madre cara, sono tutta meravigliata vedendo quello che le ho scritto ieri, quali scarabocchi! La mia mano tremava in modo tale che mi fu impossibile continuare, e ora rimpiango perfino di aver tentato di scrivere, spero di poterlo fare oggi più leggibilmente perché non sono più a letto, bensì in una bella poltroncina bianca. Sento bene, Madre, che tutto quello che le dico non è conseguente, ma sento anche, prima di parlarle del passato, il bisogno di esporle i miei sentimenti presenti, più tardi forse ne avrò perduto il ricordo. Voglio dirle prima di tutto quanto sono commossa per tutte le sue delicatezze materne. Ah, mi creda, il cuore della sua figlia è pieno di riconoscenza, mai dimenticherò tutto quello che le devo. Madre mia, soprattutto mi commuovono la novena che lei fa a Nostra Signora delle Vittorie e le Messe che lei fa dire per ottenere la mia guarigione. Sento che tutti questi tesori spirituali fanno un gran bene all’anima mia; all’inizio della novena le dicevo, Madre mia, che bisognava, o che la Vergine mi guarisse, o che mi portasse in Cielo, perché trovavo ben triste per lei e la comunità di avere a carico una giovane religiosa malata; ora ben volentieri rimarrò malata tutta la vita se ciò fa piacere al Signore, e consento perfino a che la mia vita sia lunghissima, la sola grazia che desidero è che essa sia spezzata dall’amore.

282 – No, non temo una vita lunga, non rifiuto la lotta, perché «il Signore è la rupe sulla quale sono elevata, è lui che addestra le mie mani alla lotta e le mie dita al combattimento. E il mio scudo, spero in lui. – Salmo CXLIII». Così, mai ho chiesto al Signore di morir giovane, pur avendo sempre sperato che sia questa la sua volontà. Spesso il Signore si contenta dei desideri di lavorare per la sua gloria, e lei sa, Madre, che i miei desideri sono tanto grandi. Lei sa anche che Gesù mi ha presentato più di un calice amaro e lo ha allontanato dalle mie labbra prima che lo bevessi, ma non prima di avermene fatto assaporare l’amarezza. Madre amata, il santo re David aveva ragione quando cantava: «Com’è buono, com’è dolce per dei fratelli abitare insieme in comunione perfetta». E’ vero, l’ho sentito molto spesso ma bisogna che questa unione sulla terra abbia luogo nel sacrificio. Non è affatto per vivere con le mie sorelle che sono venuta al Carmelo, è unicamente per rispondere alla chiamata di Gesù; presentivo bene che sarebbe stata una ragione di sofferenza continua vivere con le proprie sorelle, quando non si vuole concedere niente alla natura.

283 – Come si può dire che sia più perfetto allontanarsi dai propri cari? Si è mai rimproverato a dei fratelli di combattere sullo stesso campo di battaglia, si è mai fatto loro rimprovero di volare insieme per cogliere la palma del martirio? Senza dubbio si è giudicato con ragione che essi si facevano coraggio a vicenda, ma altresì che il martirio di ciascuno diveniva il martirio di tutti. Così accade nella vita religiosa che i teologi chiamano un martirio. Dandosi a Dio, il cuore non perde la sua tenerezza naturale, anzi, questa tenerezza cresce divenendo più pura e più divina. Madre cara, con questa tenerezza amo lei e amo le mie sorelle; sono felice di combattere in famiglia per la gloria del Re dei Cieli, ma sono pronta anche a volare sopra un altro campo di battaglia, se il Divino Generale me n’esprimesse il desiderio. Un comando non sarebbe necessario, ma uno sguardo, un semplice segno.

284 – Da quando sono entrata nell’arca benedetta, ho sempre pensato che, se Gesù non mi portasse presto in Cielo, avrei la sorte della piccola colomba di Noè; che un giorno il Signore aprirebbe la finestra dell’arca e mi direbbe di volare lontano lontano verso rive infedeli, portando con me il ramoscello di olivo. Madre mia, questo pensiero ha fatto crescere l’anima mia, mi ha fatto aleggiare più in alto, al disopra delle cose create. Ho capito che anche al Carmelo potevano esserci delle separazioni, che soltanto in Cielo l’unione sarà completa ed eterna; allora ho voluto che l’anima mia abiti nei Cieli, che guardi le cose della terra soltanto da lontano. Ho accettato non soltanto di esiliarmi in mezzo a un popolo sconosciuto, ma, cosa che mi era ben più amara, ho accettato l’esilio per le mie sorelle. Mai dimenticherò il 2 agosto 1896, il giorno in cui partirono i missionari: in quel giorno si parlò seriamente della partenza di madre Agnese di Gesù. Ah, non avrei voluto fare un gesto per impedirle di partire; sentivo tuttavia una grande tristezza, trovavo che l’anima sua tanto sensibile, così delicata, non era fatta per vivere in mezzo ad anime che non l’avrebbero capita; mille altri pensieri si affollavano nel mio spirito, e Gesù taceva, non comandava alla tempesta. Ed io gli dicevo: Dio mio, per amore vostro accetto tutto: se voi lo volete, voglio soffrire fino a morire di dolore. Gesù si contentò dell’accettazione, ma dopo qualche mese si parlò della partenza di suor Genoveffa e di suor Maria della Trinità; allora fu un altro genere di patimento, molto intimo, profondo: mi raffiguravo tutte le prove, le delusioni che avrebbero sofferte, e il mio cielo era coperto di nubi… soltanto il fondo del cuore rimaneva nella calma, nella pace.

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