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Storia di un'anima - Capitolo 10 - Parte 2

Apertura d'animo con la nuova Priora

Autore: Santa Teresa di Lisieux

285 – Madre amata, la sua prudenza seppe scoprire la volontà di Dio, e da parte sua lei proibì alle sue novizie di pensare per ora a lasciare la culla della loro infanzia religiosa; ma le loro aspirazioni lei le capiva poiché lei stessa, Madre, aveva chiesto nella sua giovinezza di andare a Saigon; è così che spesso i desideri delle madri trovano viva eco nell’anima delle figlie. Ora il suo desiderio apostolico trova nell’anima mia, lei lo sa, una eco fedele; mi permetta di confidarle perché ho desiderato, e desidero ancora, se la Santa Vergine mi guarirà, lasciare per una terra straniera l’oasi deliziosa nella quale vivo felice sotto il suo sguardo materno. Occorre, Madre mia (me l’ha detto lei), per vivere nei Carmeli stranieri una vocazione particolare, molte anime si credono chiamate là senza esserlo; lei mi ha anche detto che io avevo questa vocazione, e che soltanto la mia salute era un ostacolo; so bene che quest’ostacolo scomparirebbe se il Signore mi chiamasse lontano, perciò vivo senza inquietudine. Se dovessi un giorno abbandonare il mio caro Carmelo, ciò non accadrebbe senza ferite, Gesù non mi ha dato un cuore insensibile, e proprio perché sono capace di soffrire, desidero dare a Gesù tutto quello che posso dargli. Qui, Madre cara, vivo senz’alcun impaccio di preoccupazioni per la misera terra, ho soltanto da assolvere la dolce e facile missione che lei mi ha affidata. Qui sono colmata dalle sue premure materne, non sento la povertà perché non mi è mai mancato nulla ma, soprattutto, qui sono amata da lei e da tutte le sorelle, e quest’affetto mi è dolce. Ecco perché sogno un monastero ove sarei sconosciuta, e avrei da soffrire la povertà, la mancanza d’affetto, insomma, l’esilio del cuore.

286 – Non con l’intenzione di rendere dei servizi al Carmelo che volesse ospitarmi, lascerei tutto ciò che mi è caro; senza dubbio farei tutto il possibile, ma conosco la mia inettitudine e so che, facendo del mio meglio, non arriverei a far bene, perché non ho, come dicevo or ora, conoscenza alcuna delle cose della terra. Unico mio scopo sarebbe dunque compiere la volontà del buon Dio, sacrificarmi per lui nel modo che gli piacerà.Sento bene che non avrei alcuna delusione, perché, quando ci si dispone a una sofferenza schietta e senz’alcuna mitigazione, la minima gioia diventa una sorpresa insperata, e poi lei lo sa, Madre, la sofferenza di per sé diviene la gioia più grande allorché la si ricerca come il tesoro più prezioso. No! non partirei con l’intenzione di godere il frutto delle mie fatiche; se fosse questo il mio scopo, non proverei la pace dolce che m’inonda, e soffrirei invece per non potere concretare la mia vocazione verso le missioni lontane. Da gran tempo non appartengo più a me stessa, mi sono offerta totalmente a Gesù, egli è dunque libero di far di me ciò che preferisce. Mi ha dato l’attrattiva verso un esilio completo, mi ha fatto capire tutte le sofferenze che troverei in esso, chiedendomi se volevo bere questo calice fino alla feccia; subito ho voluto prendere la coppa che Gesù mi presentava, ma lui, ritirando la mano, mi ha fatto capire che l’accettazione gli bastava.

287 – Madre mia, da quali inquietudi ci liberiamo facendo il voto di obbedienza! Come sono felici le semplici religiose! La loro unica bussola è la volontà dei superiori, e sono sempre sicure di trovarsi sul retto sentiero, non hanno da temere d’ingannarsi nemmeno se a loro pare che i superiori certamente sbaglino. Ma quando non si guarda più la bussola infallibile, quando ci si allontana dalla via che essa ci indica, e si fa ciò col pretesto di far la volontà di Dio, come se egli non guidasse chiaramente coloro che pure tengono il suo posto, subito l’anima si smarrisce nei sentieri aridi ove l’acqua della grazia le viene a mancare Madre cara, lei è la bussola che Gesù mi ha dato per condurmi sicuramente alla riva eterna. Quanto mi è dolce fissare su lei il mio sguardo, e compiere così la volontà del Signore! Dopo che egli mi ha permesso di soffrire le tentazioni contro la fede, egli stesso ha aumentato nel mio cuore lo spirito di fede, e questo mi fa vedere in lei non soltanto una Madre la quale mi ama e che io amo, ma soprattutto mi fa vedere Gesù vivo nell’anima sua, Gesù che mi comunica la propria volontà attraverso lei. So bene Madre mia, che ella mi tratta da anima debole, come bimba coccolata, così non duro fatica a portare il fardello dell’obbedienza, ma mi sembra, secondo ciò che sento nel profondo di me, che non cambierei condotta, e che il mio affetto verso lei non soffrirebbe diminuzione se mi trattasse severamente, perché vedrei ancora la volontà di Gesù nel suo modo di agire, per il più gran bene della mia anima

288 – Quest’anno, cara Madre, il Signore mi ha concesso la grazia di capire che cosa è la carità; prima lo capivo, è vero, ma in un modo imperfetto, non avevo approfondito queste parole di Gesù: «Il secondo comandamento è simile al primo: amerai il prossimo tuo come te stesso». Mi dedicavo soprattutto ad amare Dio, e amandolo ho capito che l’amore deve tradursi non soltanto in parole, perché: «Non coloro che dicono: Signore, Signore! entreranno ned regno dei Cieli, bensì coloro che fanno la volontà di Dio». Questa volontà Gesù l’ha fatta conoscere varie volte, dovrei dire quasi in ciascuna pagina del suo Vangelo; ma nell’ultima cena, quand’egli sa che il cuore dei suoi discepoli brucia ancor più di amore per lui che si è dato ad essi nell’effabile mistero della Eucaristia, questo dolce Salvatore vuole dare un comandamento nuovo. Dice loro con tenerezza inesprimibile: «Vi do un comandamento nuovo, di amarvi reciprocamente; come io ho amato voi, amatevi l’un l’altro. Il segno dal quale tutti conosceranno che siete miei discepoli sarà che vi amate scambievolmente» In qual modo Gesù ha amato i suoi discepoli, e perché li ha amati? Ah, non erano le loro qualità naturali che potevano attirarlo, c’era tra loro e lui una distanza infinita. Egli era la Scienza, la Sapienza eterna; essi erano dei poveri pescatori ignoranti e pieni di pensieri terrestri. Tuttavia Gesù li chiama suoi amici, suoi fratelli. Vuole vederli regnare con lui nel regno di suo Padre, e per aprir loro questo regno vuole morire sopra una croce, perché ha detto: «Non c’è amore più grande che dare la vita per coloro che amiamo».

289 – Madre amata, meditando su queste parole di Gesù ho capito quanto l’amore mio per le mie sorelle era imperfetto, ho visto che non le amavo come le ama Dio. Capisco ora che la carità perfetta consiste nel sopportare i difetti degli altri, non stupirsi delle loro debolezze, edificarsi dei minimi atti di virtù che essi praticano, ma soprattutto ho capito che la carità non deve restare affatto chiusa nel fondo del cuore: «Nessuno – ha detto Gesù – accende una fiaccola per metterla sotto il moggio, ma la mette sul candeliere affinché rischiari tutti coloro che sono in casa». Mi pare che questa fiaccola rappresenti la carità la quale deve illuminare, rallegrare, non soltanto coloro che mi sono più cari, ma tutti coloro che sono nella casa, senza eccettuar nessuno.

290 – Quando il Signore aveva comandato al suo popolo di amare il prossimo come se stesso, non era venuto ancora sulla terra; così, sapendo bene a qual punto si ami la propria persona, non poteva chiedere alle sue creature un amore piu grande per il prossimo. Ma quando Gesù dà ai suoi apostoli un comandamento nuovo, il comandamento proprio suo, come dirà altrove, non parla di amare il prossimo come se stessi, bensì di amarlo come lui, Gesù, l’ha amato, come l’amerà fino alla consumazione dei secoli. Signore, so che voi non comandate alcunché d’impossibile, conoscete meglio di me la mia debolezza, la mia imperfezione, voi sapete bene che mai potrei amare le mie sorelle come le amate voi, se voi stesso, o mio Gesù, non le amaste ancora in me. E perché voi volevate concedermi questa grazia, che avete fatto un comandamento nuovo. Oh, come l’amo, il vostro comandamento, poiché mi dà la sicurezza che la volontà vostra è di amare in me tutti coloro che voi mi comandate di amare. Sì, lo sento, quando sono caritatevole è Gesù solo che agisce in me, più sono unita con lui, più amo anche tutte le mie sorelle. Quando voglio aumentare in me quest’amore, soprattutto quando il demonio cerca di mettermi davanti agli occhi dell’anima i difetti di quella o quell’altra sorella che mi è meno simpatica, mi affretto a cercare le sue virtù, i suoi buoni desideri; mi dico che, se l’ho vista cadere una volta, ella può bene avere riportato un gran numero di vittorie che nasconde per umiltà, e perfino ciò che mi pareva un errore può benissimo essere, a causa dell’intenzione, un atto di virtù.

291 – Non duro fatica a persuadermene, perché un giorno ho fatto una piccola esperienza che mi ha dimostrato come non si debba giudicare mai. Fu durante una ricreazione, la portiera suonò due colpi, bisognava aprire la porta grande degli operai per far entrare degli alberi destinati al presepio. La ricreazione non era gaia perché lei non c’era, Madre cara, perciò io pensavo che se m’avessero mandato a servire da «terza», sarei stata ben contenta; la madre sottopriora mi disse proprio di andare io, oppure la consorella che si trovava accanto a me. Io cominciai a togliermi subito il grembiule, abbastanza lentamente affinché la mia compagna si liberasse del suo prima di me, perché pensavo di farle piacere lasciandole la possibilità di essere «terza». La suora che sostituiva la portiera ci guardava ridendo, e quando vide che mi ero alzata ultima, mi disse: «Avevo ben pensato che non sarebbe stata lei a guadagnare una perla per la sua corona, andava troppo piano…». Certamente tutta la comunità credette che avessi agito per natura, e non saprei dire quanto bene all’anima mi abbia fatto una cosa così piccola, rendendomi indulgente per le debolezze delle altre. Ciò mi impedisce anche di provare un senso di vanità quando sono giudicata favorevolmente, perché mi dico questo: poiché prendono per imperfezione i miei piccoli atti di virtù, potranno altrettanto bene ingannarsi prendendo per virtù ciò che è soltanto imperfezione. Allora dico con san Paolo: «Mi metto ben poco in angustie per il giudizio di qualsiasi tribunale umano. Non mi giudico io stessa, colui che mi giudica e’ il Signore». Così per rendere favorevole quel giudizio, o piuttosto per non essere giudicata affatto, voglio aver sempre pensieri caritatevoli, perché Gesù ha detto: «Non giudicate, non sarete giudicati».

292 – Madre mia, leggendo ciò che ho scritto, potrebbe credere che la pratica della carità non mi sia difficile. E’ vero, da qualche mese non ho più da combattere per praticare questa bella virtù; non voglio dire con ciò che non mi accada mai di fare errori, oh, sono ben troppo imperfetta per questo! ma non mi costa grande fatica rialzarmi quando sono caduta, perché in un certo combattimento ho riportato vittoria; così la milizia celeste mi viene ora in soccorso, non potendo ammettere di vedermi vinta dopo che sono stata vittoriosa nella gloriosa lotta che cercherò di descrivere. C’è in comunità una consorella la quale ha il talento di dispiacermi in tutte le cose, le sue maniere, le sue parole, il suo carattere mi sembrano molto sgradevoli. Tuttavia è una santa religiosa che deve essere graditissima al Signore, perciò io, non volendo cedere all’antipatia naturale che provavo, mi son detta che la carità non deve consistere nei sentimenti, bensì nelle opere; allora mi sono dedicata a fare per questa consorella ciò che avrei fatto per la persona più cara. Ogni volta che la incontravo, pregavo il buon Dio per lei, offrendogli tutte le sue virtù e i suoi meriti. Sentivo che ciò era bene accetto a Gesù, perché non c’è artista al quale non piaccia ricevere lodi per le sue opere, e Gesu, l’artista delle anime, è felice quando non ci si ferma all’esterno, e invece, penetrando fino al santuario intimo che egli si è scelto come dimora, se ne ammira la bellezza. Non mi contentavo di pregar molto per la sorella che mi suscitava tanti conflitti interni, cercavo di farle tutti i favori possibili, e quando avevo la tentazione di risponderle sgarbatamente, mi limitavo a farle il più amabile dei miei sorrisi, e cercavo di stornare la conversazione perché è detto nell’Imitazione: «E meglio lasciar ciascuno nel suo sentimento piuttosto che fermarsi a contestare» Spesso anche, quando non ero in ricreazione (voglio dire durante le ore di lavoro), avendo a che fare per uffcio con questa consorella, quando i miei contrasti intimi erano troppo violenti, fuggivo come un disertore. Poiché ignorava assolutamente quello che sentivo per lei, mai ha supposto i motivi della mia condotta, e rimane persuasa che il suo carattere mi è piacevole. Un giorno in ricreazione mi ha detto press’a poco queste parole, tutta contenta: «Mi potrebbe dire, suor Teresa di Gesù Bambino, che cosa l’attira verso me, perché ogni volta che mi guarda, la vedo sorridere?». Ah, quello che mi attirava, era Gesù nascosto in fondo all’anima di lei… Gesù che rende dolce quello che c’è di più amaro. Le risposi che le sorridevo perché ero contenta di vederla (beninteso non aggiunsi che era dal punto di vista spirituale).

293 – Madre cara, l’ho già detto, il mio mezzo supremo per non essere vinta nei combattimenti è la diserzione, lo usavo già, questo mezzo, durante il noviziato, mi è sempre riuscito perfettamente. Voglio citare, Madre, un esempio che credo la farà sorridere. Durante una delle sue bronchiti, venni un mattino piano piano a riportarle le chiavi della grata della Comunione, perché ero sacrestana; in fondo, non ero affatto contranata per quell’occasione di vederla, ne ero anzi molto contenta, ma mi guardai bene dal farlo conoscere. Una consorella, animata di santo zelo e che in realtà mi amava molto, vedendomi entrare da lei, Madre mia, credette che l’avrei svegliata, e volle prendermi le chiavi, ma io ero troppo smaliziata per dar gliele e cedere i miei diritti. Le dissi con la maggior cortesia possibile che anch’io desideravo non svegliarla, che stava a me restituire le chiavi. Capisco ora che sarebbe stato ben più perfetto cedere a quella consorella, giovane, è vero, ma sempre più anziana di me. Non lo capivo allora, perciò, volendo assolutamente entrare dietro a quella, nonostante che ella mi spingesse la porta per impedirmi di passare, ben presto il guaio che temevamo accadde: il rumore che facevamo le fece aprire gli occhi. Allora, Madre mia, tutto ricadde su me, la povera consorella alla quale avevo resistito si mise a tirar fuori tutto un discorso il cui fondo era questo: E suor Teresa di Gesù Bambino che ha fatto rumore… mio Dio, come è sgradevole, ecc. Io che sentivo tutto il contrario, avevo una gran voglia di difendermi; fortunatamente mi venne un’idea luminosa: mi dissi che certamente, se avessi cominciato a giustificarmi, non avrei potuto mantenere la pace dell’anima, sentivo altresì che non avevo abbastanza virtù per lasciarmi accusare senza dir nulla, perciò l’ultima tavola di salvezza era la fuga. Pensare e fare fu tutt’uno, partii senza tamburo né tromba, mentre la consorella continuava il suo discorso che somigliava alle imprecazioni di Camilla contro Roma. Il cuore mi batteva tanto forte che mi fu impossibile andar lontano, e mi sedetti sulle scale per godere in pace il frutto della mia vittoria. Non era un atto di grande valore, è vero, ma credo tuttavia sia meglio non esporsi alla battaglia quando la sconfitta è sicura.

294 – Ahimè! quando mi riporto al tempo del mio noviziato, vedo quanto ero imperfetta… Mi affliggevo per cose tanto piccole che ora ne rido. Oh, com’è buono il Signore d’aver fatto crescere l’anima mia e averle dato le ali. Tutte le reti dei cacciatori non potrebbero farmi paura perché: «Invano si gettano le reti davanti a coloro che hanno le ali» (Prov.). Più tardi, senza dubbio, il tempo attuale mi parrà ancora pieno d’imperfezioni, ma ora non mi stupisco più di nulla, non mi affliggo vedendo che sono la debolezza stessa, al contrario, in essa mi glorifico e mi aspetto giorno per giorno di scoprire in me nuove imperfezioni.

295 – Ricordandomi che la «carita’ copre una moltitudine di peccati», attingo a questa miniera feconda che Gesù ha aperto dinanzi a me. Nel Vangelo, il Signore spiega in che cosa consiste il suo «comandamento nuovo». Dice in S. Matteo: «Sapete che è Stato detto: Amerete il vostro amico e odierete il vostro nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici, pregate per coloro che vi perseguitano». Senza dubbio, nel Carmelo non s’incontrano nemici, ma in definitiva ci sono delle simpatie, ci si sente attratti verso una consorella, mentre un’altra vi farebbe fare un lungo giro per evitare d’incontrarla, così, pur senza saperlo, ella diviene un soggetto di persecuzione. Ebbene! Gesù mi dice che questa sorella bisogna amarla, che bisogna pregare per lei, quand’anche la sua condotta mi portasse a credere che ella non mi ami: «Se voi amate coloro che vi amano, che merito ne avrete? perché anche i peccatori amano coloro che li amano» (S. Luca, VI).

296 – Ma non basta amare, bisogna dimostrarlo. Si è naturalmente felici di fare un dono a un amico, soprattutto ci piace fare delle sorprese, ma ciò non è affatto carità, perché lo fanno anche i peccatori. Ecco ciò che Gesù m’insegna ancora: «Date a chiunque vi chiede; e se vi prendono ciò che vi appartiene, non lo richiedete». Dare a tutte coloro che chiedono, è meno dolce che offrire spontaneamente per l’impulso del cuore; ancora, quando ci chiedono gentilmente, non ci costa di dare; ma se per disgrazia non usano parole abbastanza delicate, subito l’anima si ribella se non è radicata nella carità. Trova mille motivi per rifiutare quello che le viene chiesto, e, solo dopo aver fatto sentire a chi domanda la sua indelicatezza, le accorda infine come grazia ciò che quella desidera, oppure le fa un lieve favore che avrebbe richiesto un tempo venti volte minore a quello che c’è voluto per far valere diritti immaginari. Se è difficile dare a chiunque domanda, lo è ancora di più lasciar prendere quel che ci appartiene senza pretendere che ce lo restituiscano. Madre mia, dico che è difficile, piuttosto dovrei dire che sembra difficile, perché il giogo del Signore è soave e leggero; quando lo si accetta, sentiamo subito la sua dolcezza ed esclamiamo col Salmista: «Ho corso nella via dei vostri comandamenti, dopo che voi avete dilatato il mio cuore». Soltanto la carità può dilatare il mio cuore. O Gesù, da quando questa fiamma dolce mi consuma, corro con gioia sulla via del vostro comandamento nuovo. Voglio correre in essa fino al giorno felice nel quale, unendomi al corteo verginale, potrò seguirvi negli spazi infiniti, cantando il vostro cantico nuovo, quello dell’Amore.

297 – Dicevo: Gesù non vuole che io reclami ciò che mi appartiene; ciò dovrebbe sembrarmi facile e naturale, poiché niente è mio. Ai beni della terra ho rinunciato per il voto di povertà, non ho dunque il diritto di lamentarmi se mi viene tolta una cosa che non mi appartiene, e debbo invece rallegrarmi quando mi accade di sentirla, la povertà. In altri tempi mi pareva di non essere attaccata a nulla, ma da quando ho capito le parole di Gesù, vedo che, all’atto pratico, sono molto imperfetta. Per esempio, delle cose necessarie per dipingere nessuna e mia, lo so bene; ma se, mettendomi all’opera, trovo pennelli e pitture tutti sottosopra, se un regolo o un temperino sono spanti, la pazienza è li lì per abbandonarmi e devo prendere il coraggio a due mani per non richiedere con una certa amarezza gli oggetti che mi mancano. Bisogna bene, a volte, chiedere le cose indispensabili, ma facendolo con umiltà non si manca al comandamento di Gesù, anzi, si agisce come i poveri, i quali tendono la mano per ricevere ciò che loro è necessano: se vengono respinti, non se ne meravigliano, nessuno deve loro niente. Ah, quale pace inonda l’anima quando s’innalza al di sopra dei sentimenti della natura! Non esiste gioia paragonabile a quella che gusta il vero povero di spirito. Se chiede con distacco una cosa necessaria, e non soltanto questa cosa gli viene rifiutata, ma addirittura cercano di prendere quello che ha, egli segue il consiglio di Gesù: «Abbandonate anche il vostro mantello a colui che vuol litigare per avere il vostro vestito»

298 – Abbandonare il proprio mantello è, mi sembra, rinunziare ai propri ultimi diritti, considerarsi come la serva, la schiava delle altre. Quando si è lasciato il proprio mantello è più facile camminare, correre, perciò Gesù aggiunge: «E chiunque vi forzi a fare mille passi, fatene duemila di più con lui». Così non basta dare a chiunque mi chieda qualche cosa, bisogna che io vada incontro ai desideri, che mi mostri molto grata ed onorata di rendermi utile, e se prendono una cosa a mio uso, non debbo mostrare di rimpiangerla, ma al contrario sembrar felice di esserne sbarazzata. Madre cara, son ben lontana dal praticare quello che comprendo, tuttavia il solo desiderio che ne ho, mi dà la pace.

299 – Più ancora che negli altri giorni, sento che mi sono spiegata malissimo. Ho fatto una specie di discorso sulla carità che deve averla stancata nel leggerlo; mi perdoni, Madre cara, e pensi che in questo momento le infermiere praticano riguardo a me ciò che io sto scrivendo: non esitano a fare duemila passi là dove venti basterebbero, ho dunque potuto contemplare la carità in atto! Senza dubbio l’anima mia deve sentirsene tutta profumata; quanto al mio spirito, confesso che si è un poco paralizzato davanti a una simile dedizione, e la mia penna ha perduto di leggerezza. Perché mi sia possibile trascrivere i miei pensieri, bisogna che io sia come il passero solitario e veramente ciò mi accade assai di rado. Appena comincio a prendere la penna, ecco una buona consorella che mi passa vicino con la forca sulla spalla. Crede distrarmi facendo due chiacchiere, fieno, anatre, polli, visita del dottore, tutto è tirato in ballo; per dire il vero, non dura a lungo, ma di consorelle caritatevoli ce n’è più d’una, e a un tratto un’altra rivoltatrice di fieno mi depone dei fiori sulle ginocchia, credendo forse d’ispirarmi idee poetiche. Io che in questo momento non ne ho bisogno, preferirei che i fiori restassero a dondolare sui loro steli. Finalmente, stanca di aprire e chiudere questo famoso quaderno, apro un libro (che non vuol restare aperto) e dico risolutamente che copio pensieri dei Salmi e del Vangelo per la festa di Nostra Madre. È ben vero, perché non faccio economia di citazioni.

300 – Madre cara, la divertirei, credo, raccontandole tutte le avventure mie nei boschetti del Carmelo non so se ho potuto scrivere dieci righe senza essere disturbata; ciò non dovrebbe farmi ridere né divertirmi, tuttavia per amore di Dio e delle mie sorelle (così caritatevoli verso me) cerco di aver l’aria contenta e soprattutto di esserlo… Ecco qua, una rivoltatrice si allontana dopo avermi detto con tono compassionevole: «Povera sorellina, la deve stancare scrivere così tutto il giorno». -«Stia tranquilla – le ho risposto – pare che io scriva molto, ma in verità non scrivo quasi nulla». – «Tanto meglio! – mi ha detto con un’aria rassicurata – ma è lo stesso, io son contenta che qui si stia rivoltando il fieno, perché la distrae sempre un pochino» -. Infatti, è una distrazione così grande per me (senza contar le visite delle infermiere) che non mentisco dicendo: non scrivo quasi nulla. Per fortuna non mi scoraggio facilmente, e per dimostrarglielo, Madre mia, finirò di spiegarle ciò che Gesù mi ha fatto capire riguardo alla carità. Finora le ho parlato soltanto dell’esterno, ora vorrei confidarle come io capisco la carità puramente spirituale. Sono ben sicura che non tarderò a confondere una e l’altra, ma, Madre mia, poiché parlo a lei, è certo che non le sarà difficile cogliere il mio pensiero e sbrogliare la matassa di sua figlia.

301 – Non sempre è possibile al Carmelo praticare alla lettera le parole del Vangelo, si è talvolta costrette, per ragioni di ufficio, a rifiutare un piacere; ma quando la carità ha gettato radici profonde nell’anima, si mostra anche all’esterno. C’e’ un modo così garbato di rifiutare quello che non si può fare, che il rifiuto fa piacere quanto il dono. E vero che ci si perita meno a chiedere un favore a una consorella sempre disposta a farlo, eppure Gesù ha detto: «Non evitate colui che vuole un prestito da voi». Così, sotto pretesto che si sarebbe costrette a rifiutare, non dobbiamo allontanarci dalle consorelle che hanno l’abitudine di chieder sempre dei piaceri. E nemmeno si deve essere condiscendenti al fine di far bella figura o nella speranza che un’altra volta la sorella cui facciamo un favore ce lo restituisca, perché nostro Signore ha detto anche: «Se voi prestate a coloro dai quali sperate ricevere qualche cosa, che merito ne avrete? Perché anche i peccatori prestano ai peccatori alfine di riceverne altrettanto. Ma quanto a voi, fate del bene, prestate senza sperar nulla, e la vostra ricompensa sara grande». Sì! la ricompensa è grande anche sulla terra. Su questa via non c’è che il primo passo che costi. Prestare senza sperar niente sembra duro alla natura, si preferirebbe regalare, perché una cosa donata non appartiene più. Quando vi vengono a dire con espressione convintissima: «Sorella, ho bisogno del suo aiuto per qualche ora, ma stia tranquilla, ho il permesso di Nostra Madre e le restituirò il tempo che lei mi dà, perché so quanto lei è occupata»; veramente, quando sappiamo benissimo che mai quel tempo prestato da noi ci verrà restituirlo, sarebbe più piacevole dire: «gliene faccio dono». Ciò contenterebbe l’amor proprio, perché dare è un atto più generoso che prestare, e poi facciamo sentire alla consorella che non contiamo sui servizi di lei… Oh, gl’insegnamenti di Gesù come sono contrari ai sentimenti della natura! Senza il soccorso della sua grazia sarebbe impossibile non solamente metterli in pratica, bensì anche capirli.

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