Storia di un'anima - Capitolo 4 - Parte 1
Progresso nello studio e fervore religioso
Autore: Santa Teresa Di Lisieux
96 – Parlando delle visite alle carmelitane, ricordo la prima, la quale ebbe luogo poco tempo dopo che Paolina era entrata. Ho dimenticato di parlarne, ma c’è un particolare che non debho omettere. La mattina nella quale dovevo andare al parlatorio, mentre riflettevo sola sola nel mio letto (perché era li che facevo le mie orazioni più profonde, e, contrariamente alla Sposa dei cantici, vi trovavo sempre il mio Amato), mi domandai quale nome avrei avuto nel Carmelo; sapevo che c’era una suor Teresa di Gesù, e tuttavia il mio bel nome di Teresa non poteva essermi tolto. A un tratto pensai a Gesù Bambino che amavo tanto, e dissi a me stessa: «Oh, come sarei felice di chiamarmi Teresa di Gesù Bambino!». Non dissi nulla in parlatorio del sogno che avevo fatto da sveglia, ma alla buona madre Maria di Gonzaga, mentre domandava alle suore quale nome avrebbero potuto darini, venne in mente di chiamarmi col nome che avevo sognato. Grande fu la mia gioia, e quel felice incontro di pensieri mi parve una delicatezza del mio diletto Gesù Bambino.
97 – Ho omesso anche alcuni minimi particolari della mia infanzia prima che lei entrasse nel Carmelo; non le ho parlato del mio amore per le immagini e per la lettura. Eppure, Madre mia cara, debbo alle belle immagini che lei mi mostrava come ricompensa, una delle gioie più dolci e delle impressioni più forti che mi abbiano incitata a praticare la virtù. Dimenticavo il tempo mentre le guardavo, per esempio: l’umile fiore del Prigioniero divino mi diceva tante cose che mi diventava facile immergermi nel raccoglimento. Vedendo che il nome di Paolina era scritto sotto il piccolo stelo fiorito, avrei voluto che ci fosse anche quello di Teresa, e mi offrivo a Gesù per essere il fiore suo.
98 – Non sapevo giocare, però mi piaceva molto la lettura, e avrei passato la vita leggendo; fortunatamente avevo, per guidarmi, degli angeli sulla terra, i quali mi sceglievano libri tali da divertirmi nutrendomi spirito e cuore, e poi dovevo passare soltanto un tempo limitato a leggere, ciò che mi costava sacrifici gravi: a volte dovevo interrompere proprio in mezzo al passo più avvincente. Questa attrattiva per la lettura è durata fino a quando sono entrata nel Carmelo. Dire il numero di libri che mi è passato per le mani non sarebbe possibile, e tuttavia il Signore non ha mai permesso che ne leggessi uno solo capace di farmi del male. E vero che, leggendo certi racconti cavallereschi, non sempre intendevo, in un primo momento, il vero senso della vita; ma ben presto il Signore mi faceva sentire che la gloria vera è quella che durerà eterna, e che per arrivare ad essa non è necessario compiere opere sfolgoranti, bensì nascondersi e praticar la virtù sì che la mano sinistra ignori ciò che fa la destra…
99 – Così, leggendo le gesta patriottiche delle eroine di Francia, in particolare quelle della Venerabile Giovanna d’Arco, avevo gran desiderio d’imitarle, mi pareva di sentire in me lo stesso ardore dal quale erano animate, la medesima ispirazione celeste. Allora ricevetti una grazia che ho sempre considerata come una delle maggiori per me, perché a quell’età non ricevevo luci come ora che ne sono inondata. Pensai che ero nata per la gloria e cercando il mezzo di raggiungerla, il Signore m’ispirò i sentimenti che ho scritti qui sopra. Mi fece capire altresì che la mia gloria non apparirà agli occhi degli uomini, e consisterà nel divenire una grande santa!!! Questo desiderio potrà sembrar temerario se si considera quanto ero debole e imperfetta, e quanto lo sono ancora dopo sette anni passati in religione, tuttavia sento ancora la stessa fiducia ardita di diventare una grande santa, perché non conto sui meriti miei non avendone alcuno, ma spero in colui che è la Virtù, la Santità stessa. Lui solo, contentandosi dei miei deboli sforzi, mi eleverà fino a sé e, coprendomi dei suoi meriti infiniti, mi farà santa. Non pensavo allora che bisogna soffrire molto per arrivare alla santità, ma il Signore non tardò a mostrarmelo, mandandomi le prove che ho raccontato prima. Ora debbo riprendere il mio racconto al punto in cui l’ho lasciato.
100 – Tre mesi dopo che fui guarita, Papà ci fece fare il viaggio di Alencon. Era la prima volta che ritornavo là, e la mia gioia fu grande quando rividi i luoghi nei quali era trascorsa la mia infanzia, soprattutto quando potei pregare sulla tomba di Mamma e chiederle di proteggermi sempre. il Signore mi ha fatto la grazia di non conoscere la società mondana se non quel tanto da potere disprezzarla e tenermi lontana da essa. Potrei dire che proprio durante il soggiorno in Alencon feci il mio primo ingresso nel mondo. Tutto era gioia, felicità intorno a me, ero festeggiata, carezzata, ammirata; in una parola, la vita mia per quindici giorni fu disseminata di fiori. Confesso che questa vita aveva un fascino per me. La Saggezza ha ben ragione quando dice che «la malia delle futilita’ mondane seduce anche lo spirito alieno dal male». A dieci anni il cuore si lascia abbagliare facilmente, e perciò considero una grande grazia di non essere rimasta ad Alencon; gli amici che avevamo là erano troppo mondani, sapevano troppo intrecciare le gioie della terra col servizio a Dio. Non pensavano abbastanza alla morte, e tuttavia la morte è venuta a visitare un gran numero di persone che ho conosciuto, giovani, ricche, felici! Mi piace tornare col pensiero ai luoghi incantatori dove esse hanno vissuto, e domandarmi dove sono, che cosa giovano loro i castelli, i parchi nei quali le ho viste godere le comodità della vita? E vedo che tutto è vanità e afflizione di spirito sotto il sole… e che l’unico bene è amare Dio con tutto il cuore, ed essere, quaggiù, poveri di spirito.
101 – Forse Gesù ha voluto mostrarmi il mondo innanzi alla prima visita che mi avrebbe fatta, affinché io scegliessi più liberamente la via sulla quale mi sarei impegnata con lui. Al tempo della mia prima Comunione mi è rimasto impresso nel cuore come un ricordo sgombro da nuvole; mi pare che non avrei potuto avere disposizioni migliori, e le mie pene d’anima mi lasciarono per quasi un anno. Gesù voleva farmi gustare una gioia più perfetta che fosse possibile in questa valle di lacrime.
102 – Si ricorda, Madre mia cara, dell’incantevole libretto che lei mi aveva composto tre mesi avanti la mia prima Comunione? Proprio quelle pagine mi aiutarono a preparare il cuore in modo conseguente e rapido, perché, se da lungo tempo già lo preparavo, bisognava ben dargli uno slancio nuovo, empirlo di fiori nuovi affinché Gesù potesse riposarsi in lui gradevolmente. Ogni giorno facevo un gran numero di «pratiche», che formavano altrettanti fiori, facevo un numero anche più grande di aspirazioni che lei aveva scritte nel mio libriccino per ogni giorno, e quegli atti d’amore formavano i bocci. Ogni settimana lei mi scriveva una cara lettera che mi empiva l’anima di pensieri profondi e mi aiutava a praticare la virtù, era una consolazione per la sua figliolina la quale faceva un sacrificio tanto grande accettando di non essere preparata sera per sera sulle ginocchia di lei, Madre mia, com’era stata preparata Celina.
103 – Maria sostituiva Paolina per me: mi sedevo in grembo a lei e ascoltavo avidamente ciò che mi diceva, mi pare che tutto il cuore di lei, tanto grande, tanto generoso, si versasse in me. Come i guerrieri illustri insegnano ai loro figli il mestiere delle armi, così Maria mi parlava dei combattimenti della vita, e della palma riservata ai vittoriosi. E ancora mi parlava delle ricchezze immortali che è facile ammassare ogni giorno, e della sciagura che è passare senza allungare la mano per cogliere quei tesori, poi mi indicava il modo per essere santa per mezzo della fedeltà alle cose minime; mi dette il foglietto «Della rinuncia» che io meditavo con delizia. Com’era eloquente, la mia Madrina cara! Avrei voluto non essere sola per ascoltare i suoi insegnamenti profondi, mi sentivo così commossa da credere, nella mia ingenuità, che i più grandi peccatori si sarebbero commossi come me e che, abbandonando le ricchezze caduche, avrebbero cercato soltanto quelle del Cielo.
104 – A quel tempo nessuno ancora mi aveva insegnato a fare orazione, eppure io ne avevo gran desiderio; senonché Maria mi trovava già abbastanza pia, e mi permetteva soltanto le mie preghiere solite. Un giorno una maestra dell’Abbazia mi domandò cosa facessi nei giorni di vacanza quando mi trovavo sola. Le risposi che andavo dietro il mio letto in un po’ di posto vuoto che c’era, e che potevo chiudere con la tenda: lì, «pensavo». – «Ma a che cosa pensi?» – mi domandò ancora. -«Penso al buon Dio, alla vita… all’eternità, insomma, penso!». La buona religiosa rise molto di me, più tardi le piaceva di ricordarmi il tempo in cui pensavo, e mi domandava. – «Pensi ancora?…». Capisco ora che facevo orazione senza saperlo, e che già Dio misericordioso m’istruiva in segreto.
105 – I tre mesi di preparazione passarono rapidi, ben presto dovetti entrare in ritiro e per questo diventare collegiale interna, dormendo all’Abbazia. Non posso dire il ricordo dolce che mi ha lasciato quel ritiro; veramente, se ho molto sofferto in collegio, sono stata largamente compensata dalla felicità ineffabile di quei pochi giorni passati nell’attesa di Gesù. Non credo che si possa gustare quella gioia fuori dalle comunità religiose; essendo poche le bambine, era facile occuparsi di ciascuna in particolare, e veramente le nostre maestre ci prodigavano in quel momento delle cure materne. Si occupavano ancor più di me che delle altre, ogni sera la prima maestra veniva, con la sua lucernetta, ad abbracciarmi nel mio letto, mostrandomi grande affetto. Una sera, commossa per la bontà di lei, le dissi che le avrei confidato un segreto, e tirando fuori misteriosamente il mio libretto prezioso che era sotto il guanciale, glielo mostrai con gli occhi che brillavano di gioia. La mattina, trovavo bello di veder tutte le scolare che si alzavano appena sveglie, e di fare anch’io come loro, ma non ero abituata a vestirmi e sistemarmi da sola. Maria non era li per farmi i riccioli, perciò ero costretta a presentare timidamente il mio pettine alla maestra della stanza ove ci si vestiva, che rideva vedendo una figliolona di undici anni che non sapeva sbrogliarsi; tuttavia mi pettinava, ma non con la dolcezza di Maria, e io non osavo gridare, ciò che mi accadeva tutti i giorni sotto la mano delicata della mia madrina. Ebbi modo di costatare, durante il ritiro, che ero una bambina carezzata e curata come ce ne sono poche sulla terra, soprattutto fra quelle rimaste prive di mamma! Ogni giorno Maria e Leonia venivano a trovarmi con Papà, il quale mi colmava di pensierini cari, cosicché non soffersi per la privazione della famiglia, e niente oscurò il cielo bello del mio ritiro.
106 – Ascoltavo con grande attenzione gli insegnamenti che ci dava il reverendo Don Domin, ed anche li riassussievo scrivendoli; riguardo ai miei pensieri non ne volli scrivere alcuno pensando che me li sarei ricordati bene, ciò che fu vero. Era per me gran felicità di andare con le suore a tutte le funzioni; mi facevo notare in mezzo alle compagne per un grande crocifisso che Leonia mi aveva regalato, e che io passavo nella mia cintola come fanno i missionari; quel crocifisso suscitava ammirazione nelle buone religiose le quali pensavano che io, portandolo, volessi imitare la mia sorella carmelitana. Era ben verso lei che sciamavano i miei pensieri, sapevo che la mia Paolina era in ritiro com’ero io, non già perché Gesù si desse a lei, bensì perché lei si dava a Gesù e perciò questa solitudine passata nell’attesa mi era doppiamente cara.
107 – Ricordo che una mattina mi avevano fatto andare all’infermeria perché tossivo molto (da quando ero stata malata, le mie maestre facevano una grande attenzione a me, per un leggero mal di testa mi mandavano a prendere aria o a riposarmi nell’infermeria, e lo stesso se mi vedevano più pallida del solito). Vidi entrare la mia Celina cara, aveva ottenuto il permesso di venire a vedermi nonostante il ritiro, per offrirmi un’immagine che gradli tanto, era «il fiore del divino Prigioniero». Come fu dolce per me ricevere questo ricordo dalla mano di Celina! Quanti pensieri d’amore ho avuto per merito di lei!
108 – La vigilia del gran giorno ricevetti l’assoluzione per la seconda volta, la mia confessione generale mi lasciò una grande pace nell’anima, e il buon Dio permise che nessuna nube venisse a turbarla. Nel pomeriggio chiesi perdono a tutta la famiglia che venne a trovarmi, ma riuscii a parlare soltanto con le lacrime, ero troppo commossa… Paolina non c’era, tuttavia sentivo che era vicina a me col cuore; mi aveva mandato una bella immagine per mezzo di Maria, non mi stancavo d’ammirarla e farla ammirare da tutti. Avevo scritto al buon padre Pichon per raccomandarmi alle sue preghiere, dicendogli anche che ben presto sarei stata carmelitana, e che allora sarebbe stato lui il mio direttore. (E ciò accadde davvero quattro anni dopo, poiché gli aprii l’anima quando fui al Carmelo). Maria mi dette una lettera di lui, realmente ero troppo felice! Tutte le gioie mi arrivavano insieme. Più di tutto mi fece piacere nella lettera di lui questa frase: «Domani salirò all’altare per lei e per la sua Paolina!». Paolina e Teresa furono l’8 maggio più che mai unite, poiché Gesù pareva le confondesse inondandole con le sue grazie…
109 – Un «giorno bello tra tutti» arrivò finalmente. Quali ricordi intraducibili mi hanno lasciato nell’anima i particolari minimi di quella giornata di Cielo! il risveglio gioioso dell’aurora, i baci rispettosi e teneri delle maestre e delle compagne grandi. La stanza piena di fiocchi di neve di cui ciascuna bimba veniva rivestita a turno. Soprattutto l’entrata nella cappella e il canto mattinale dell’inno tanto bello «O santo Altare che gli Angeli circondano!». Ma non voglio entrare nei particolari, ci sono cose che perdono il loro profumo appena esposte all’aria, ci sono pensteri dell’anima che non si possono tradurre in linguaggio terreno senza perdere il loro senso intimo e celeste; sono come quella “Pietra bianca che sara data al vincitore, e sulla quale è scritto un nome che nessuno conosce se non colui che la riceve”. Ah, come fu dolce il primo bacio di Gesù all’anima mia! Fu un bacio d’amore, mi sentivo amata, e dicevo anche: «Vi amo, mi do a Voi per sempre». Non ci furono domande, non lotte, non sacrifici; da lungo tempo Gesù e la povera piccola Teresa si erano guardati e si erano capiti… Quel giorno non era più uno sguardo, ma una fusione, non erano più due, Teresa era scomparsa come la goccia d’acqua nell’oceano. Gesù restava solo, era il padrone, il re. Teresa gli aveva pur chiesto di toglierle la libertà, perché la libertà le faceva paura, lei si sentiva così debole, così fragile, che voleva unirsi per sempre alla Forza divina! La sua gioia era troppo grande, troppo profonda perché lei potesse contenerla, lacrime deliziose la inondarono ben presto, con grande stupore delle compagne le quali più tardi dicevano una all’altra: «Perché ha pianto? Aveva qualche cosa che le dispiaceva?». – «No, era piuttosto per non avere la Mamma con sé, o la sorella che lei ama tanto e che è carmelitana». Non capivano che tutta la gioia del Cielo venendo in un cuore, questo cuore esiliato non poteva sopportarla senza spargere lacrime. Oh no, l’assenza di Mamma non mi dava dolore nel giorno della prima Comunione, non c’era forse il Cielo nell’anima mia? E Mamma non aveva lì il suo posto da gran tempo? Non piangevo l’assenza di Paolina: senza dubbio sarei stata felice di vedermela accanto, ma da lungo tempo il mio sacrificio era accettato; in quel giorno, soltanto la gioia mi empiva il cuore, io mi univo a colei che si dava irrevocabilmente a Gesù: e Gesù si dava a me con tanto amore!
110 – Nel pomeriggio fui io a pronunciare l’atto di consacrazione alla Madonna; era ben giusto che io parlassi a nome delle mie compagne alla mia Mamma del Cielo, io che ero rimasta priva così giovane della Mamma terrena. Misi tutto il cuore nel parlarle, nel consacrarmi a lei, come una bambina che si getta nelle braccia di sua madre, e le chiede di vegliare su lei. Mi pare che la Vergine Santa dovette guardare il suo fiorellino e sorridergli, non era lei che l’aveva guarito con un sorriso visibde? Non aveva proprio lei deposto nel calice dell’umile fiore il suo Gesù, il Fiore dei campi, il Giglio della valle?
111 – La sera di quel bel giorno ritrovai la mia famiglia terrena; già il mattino, dopo la Messa, avevo abbracciato Papà e tutti i miei cari parenti, ma allora fu il vero riunirsi; Papà prendendo la mano della sua piccola regina si avviò verso il Carmelo. Allora vidi la mia Paolina divenuta la sposa di Gesù, la vidi col velo bianco come il mio, con la corona di rose… Ah, la mia gioia fu senza amarezza, speravo di raggiungerla presto e attendere con lei il Cielo! Non fui insensibile alla festa di famiglia che ebbe luogo la sera della mia prima Comunione; l’orologio bello che mi regalò il mio re mi fece gran piacere, ma la gioia era tranquilla e niente turbò la mia pace intima. Maria mi prese con sé nella notte che segui quel bel giorno, perché i giorni più radiosi sono seguiti da tenebre, soltanto il giorno della prima, unica, eterna Comunione del Cielo sarà senza tramonto!
112 – Il giorno dopo fu bello anch’esso, ma improntato di malinconia. Il vestito che Maria mi aveva comprato, tutti i regali che avevo ricevuti non mi colmavano il cuore, soltanto Gesù poteva contentarmi, sospiravo il momento nel quale avrei potuto riceverlo una seconda volta. Un mese circa dopo la prima Comunione andai a confessarmi per l’Ascensione, e osai chiedere il permesso di fare la santa Comunione. Al disopra di tutte le speranze, il sacerdote me la permise ed ebbi la felicità d’inginocchiarmi alla balaustra fra Papà e Maria; che ricordo dolce ho conservato di quella seconda visita di Gesù! Le lacrime mi caddero ancora con indicibile soavità, ripetevo tutto il tempo a me stessa le parole di san Paolo: «Non sono più io che vivo, è Gesù che vive in me». Dopo quella Comunione, il mio desiderio di ricevere il buon Dio divenne più e più grande, ottenni il permesso per tutte le feste principali. La vigilia di quei giorni felici Maria mi prendeva la sera sulle ginocchia e mi preparava come l’aveva fatto per la prima Comunione; ricordo una volta in cui mi parlò del dolore, dicendomi che forse non avrei camminato su quella via, ma che Dio mi porterebbe sempre come un bambino.
113 – Un giorno dopo, le parole di Maria mi tornarono alla mente, sentii nascere in me un gran desiderio di soffrire, e al tempo stesso l’intima sicurezza che Gesù mi riservava un gran numero di croci; mi sentii inondata di consolazioni così grandi che la considero come una delle grazie maggiori nella mia vita. Soffrire divenne il mio ideale, aveva un fascino che mi rapiva senza che io lo conoscessi bene. Fino allora avevo sofferto senza amare la sofferenza, da quel giorno ne provai un vero amore. Sentivo anche il desiderio di amare soltanto il buon Dio, di non trovar gioia che in lui. Spesso durante le mie comunioni ripetevo le parole della Imitazione: «O Gesù! Dolcezza ineffabile cambiate per me in amarezze tutte le consolazioni della terra!» Questa preghiera usciva dalle mie labbra senza sforzo, senza costrizione; mi pareva di ripeterla non per mio volere, ma come una bambina la quale ripeta parole suggeritele da una persona amica. Più tardi le dirò, Madre mia cara, in qual modo Gesù si è compiaciuto di attuare il mio desiderio, e come lui solo fu sempre la mia dolcezza ineffabile; se ne parlassi subito sarei costretta ad anticipare il tempo della mia vita di giovane, mentre ho ancora da darle molti particolari riguardo all’infanzia.
114 – Poco tempo dopo la prima Comunione entrai novamente in ritiro per la Cresima. Mi ero preparata con grande cura a ricevere la visita dello Spirito Santo, non capivo che non si desse grande importanza a ricevere questo sacramento d’Amore. Comunemente si praticava un solo giorno di ritiro per la Cresima, ma poiché Monsignore non poté venire nel giorno stabilito, ebbi la consolazione di due giorni in solitudine. Per distrarci la nostra maestra ci condusse a Monte Cassino, e là colsi a piene mani le grandi margherite per la festa del Corpus Domini. Come era gioiosa l’anima mia! A somiglianza degli apostoli attendevo con felicità la visita dello Spirito Santo. Mi rallegravo al pensiero di essere ben presto perfetta cristiana, e soprattutto di avere sulla fronte eternamente la croce misteriosa che il Vescovo traccia dando il sacramento. Finalmente arrivò il momento felice, non sentii un vento impetuoso nella discesa dello Spirito Santo, ma piuttosto quella brezza lieve, della quale il profeta Elia intese il murmure sul monte Horeb. In quel giorno ricevetti la forza per offrire, perché ben presto il martirio dell’anima mia doveva cominciare. Mi fu madrina la mia cara Leonia, era così commossa che non poté trattenersi dal piangere tutto il tempo della cerimonia. Con me ricevette la santa Comunione, perché io ebbi ancora la felicità di unirmi a Gesù in quel bel giorno.
115 – Dopo le deliziose indimenticabili feste, la mia esistenza rientrò nel quotidiano, cioè dovetti riprendere la vita di collegiale che mi era così penosa. Nel momento della mia prima Comunione amavo quella convivenza con bambine della mia età, tutte piene di buona volontà, le quali avevano preso come me la risoluzione di praticare seriamente la virtù; ma bisognava riprendere i contatti con delle scolare ben diverse, distratte, riottose alla regola, e ciò mi rendeva infelice. Ero un carattere gaio, ma non sapevo lanciarmi nei giochi dell’età mia; spesso durante la ricreazione mi appoggiavo ad un albero, e da là contemplavo il colpo d’occhio, abbandonandomi a riflessioni serie! Avevo inventato un gioco che mi piaceva, cioè di seppellire i poveri uccellini morti che trovavo sotto gli alberi; varie scolare vollero aiutarmi, cosicché il nostro cimitero divenne graziosissimo, piantato d’alberi e di fiori, il tutto proporzionato alle dimensioni dei nostri piccoli implumi. Mi piaceva anche di raccontare novelle di mia invenzione, via via che mi venivano in mente, allora le mie compagne mi circondavano premurosamente, e talvolta delle scolare grandi si univano al gruppo delle ascoltatrici. La medesima storia durava per parecchi giorni perché mi piaceva di renderla sempre più interessante, a mano a mano che vedevo le impressioni che suscitava e che si manifestavano sul viso delle mie compagne, ma presto la maestra mi proibì di continuare la mia professione di oratore, volendoci veder correre e non discorrere.