Postulante e novizia nel Carmelo
Tratto da "Storia di un'anima" - Capitolo 7
Autore: Santa Teresa Di Lisieux
191 – Lunedì 9 aprile, giorno nel quale il Carmelo celebrava la festa dell’Annunciazione, rimandata a causa della quaresima, fu scelto come data del mio ingresso. La sera avanti tutta la famiglia era riunita intorno alla tavola alla quale io sedevo per l’ultima volta. Ah, come sono lancinanti quelle riunioni intime! Quando si vorrebbe vedersi dimenticate, ci vengono prodigate le carezze, le parole più tenere, che ci fanno sentire il sacrificio della separazione. Papà non diceva quasi nulla, ma il suo sguardo si fissava su me con amore. La zia piangeva di quando in quando, e lo zio mi usava mille premure affettuose. Giovanna e Maria erano altrettanto piene dì riguardi per me, soprattutto Maria la quale, prendendomi in disparte, mi chiese perdono dei dispiaceri che credeva di avermi dati. E infine la mia cara Leonia, tornata a casa da qualche mese dalla Visitazione, mi colmava più ancora di baci e di carezze. Soltanto di Celina non ho parlato, ma lei intuisce, Madre mia cara, in quale modo trascorse l’ultima notte che abbiamo passata insieme…
192 – La mattina del gran giorno, dopo aver dato un ultimo sguardo ai Buissonnets, nido grazioso della mia infanzia che non avrei rivisto mai più, partii al braccio del mio caro Re per salire la montagna del Carmelo… Come la vigilia, tutta la famiglia si trovò riunita per ascoltare la santa Messa e ricevere la Comunione. Appena Gesù discese nel cuore dei miei cari, intorno a me non intesi altro che singhiozzi, io sola non piansi, ma il cuore mi batteva con tanta violenza che mi parve impossibile fare un passo quando ci accennarono di avviarci verso la porta conventuale; mi mossi, tuttavia, pur domandandomi se non sarei morta, tanto mi martellava il cuore. Che momento fu quello! Bisogna esserci passati per sapere che cos’è.
193 – La mia emozione non si tradì all’esterno: dopo avere abbracciato tutti i miei cari, m’inginocchiai dinanzi al mio incomparabile Padre, chiedendogli la benedizione; per darmela, si mise egli stesso in ginocchio e mi benedisse piangendo. Fu uno spettacolo che dovette far sorridere gli angeli, quel vegliardo il quale presentava al Signore la figlia ancora nella primavera della vita. Dopo qualche istante, le porte dell’arca santa si chiusero dietro di me, e là ricevetti gli abbracci delle sorelle care le quali mi erano state mamme, e che da allora in poi avrei prese come modelli per le mie azioni. Finalmente i miei desideri erano compiuti, l’anima mia provava una pace così dolce e profonda che mi sarebbe impossibile esprimerla, e da sette anni e mezzo questa pace mi è rimasta, non mi ha abbandonata in mezzo alle prove più serie.
194 – Come tutte le postulanti, appena entrata fui condotta in coro: era nella penombra, a causa del Santissimo esposto e quello che mi colpì come prima cosa furono gli occhi della nostra santa madre Genoveffa che si fissarono su me; rimasi per un attimo in ginocchio ai piedi di lei, ringraziando il buon Dio del favore che mi concedeva di conoscere una santa, e poi seguii madre Maria di Gonzaga nei diversi ambienti del monastero: tutto mi pareva incantevole, mi credevo trasportata in un deserto, soprattutto la nostra celletta mi affascinava, ma la gioia che provavo era calma; non un soffio, sia pur lieve, ondulava le acque sulle quali vogava la mia navicella, non c’erano nubi nel mio cielo limpido… Ah! ero pienamente ricompensata di tutte le mie prove. Con quale gioia profonda ripetevo queste parole: «Per sempre, sono qui per sempre!…».
195 – Felicità non effimera, che non sarebbe svanita con «le illusioni dei primi giorni». Le illusioni… Dio mi ha fatto la grazia di non averne entrando nel Carmelo; ho trovato la vita religiosa tal quale me l’ero figurata, nessun sacrificio mi ha meravigliata, eppure, Madre mia cara, lei lo sa, i miei primi passi hanno incontrato più spine che rose! Sì, la sofferenza mi ha teso le braccia, e mi ci sono gettata con amore. Quello che venivo a fare nel Carmelo lo dichiarai ai piedi di Gesù Ostia, nell’esame che precedette la mia professione: «Sono venuta per salvare le anime, e soprattutto a pregare per i sacerdoti». Quando si vuole conseguire uno scopo, occorre prendere i mezzi adeguati: Gesù mi fece capire che voleva darmi delle anime per mezzo della croce e la mia attrattiva per il dolore crebbe in proporzione con la sofferenza. Per cinque anni quella fu la mia strada; ma al difuori niente rivelava il mio patire, tanto più doloroso in quanto lo cososcevo io sola. Ah, quali sorprese avremo, alla fine del mondo, leggendo la storia delle anime! Quanti stupiranno vedendo per quale via è stata condotta l’anima mia!
196 – Ciò è tanto vero che, due mesi dopo il mio ingresso, il padre Pichon, essendo venuto per la professione di suor Maria del Sacro Cuore, rimase sorpreso vedendo ciò che il buon Dio operava nell’anima mia, e mi disse che il giorno prima mi aveva osservata mentre pregavo nel coro, e aveva creduto che il mio fervore fosse infantile e la mia via ben facile e dolce. Il mio colloquio col buon Padre fu per me una consolazione grande, ma velata di lacrime a causa delle dìfficoltà che provavo nell’aprire l’anima mia. Tuttavia feci una confessione generale quale non avevo fatta mai: alla fine il Padre mi disse queste parole, le più consolanti che abbiano mai echeggiato nell’anima mia: «In presenza di Dio, della Vergine Santa e di tutti i Santi, dichiaro che mai lei ha commesso un solo peccato mortale». Poi aggiunse: «ringrazi il buon Dio di ciò che fa per lei, perché, se l’abbandonasse, invece di essere un piccolo angelo, lei diverrebbe un piccolo demonio». Ah! non duravo fatica a crederlo, sentivo fino a che punto ero debole e imperfetta, ma la riconoscenza mi colmava l’anima; avevo tanto timore di aver macchiato la veste del mio Battesimo che una tale assicurazione uscita dalla bocca di un direttore come lo desiderava la nostra santa Madre Teresa, cioè tale che unisse la scienza alla virtù, mi pareva uscita dalla bocca stessa di Gesù… Il buon Padre mi disse ancora queste parole che mi sono rimaste impresse dolcemente nel cuore: «Figlia mia, che Nostro Signore sia sempre il suo Superiore e il suo Maestro di noviziato». Lo fu, infatti, ed anche «il mio Direttore».
197 – Non voglio dire, con ciò, che l’anima mia fosse chiusa alle mie superiore, ah! ben lungi da ciò, ho sempre cercato che fosse per loro un libro aperto; ma nostra Madre, spesso ammalata, aveva poco tempo per occuparsi di me. So che mi amava molto e diceva di me tutto il bene possibile, tuttavia il buon Dio permetteva che, senza accorgersene, fosse molto severa, non potevo incontrarla senza baciar terra, e lo stesso accadeva nei rari colloqui di direzione che avevo con lei. Che grazia inestimabile! Come agiva visibilmente il buon Dio in colei che faceva le sue veci! Cosa sarei divenuta io se, come credevano le persone del mondo, fossi stata il «giocattolo» della comunità? Forse, anziché vedere Nostro Signore nelle mie superiore, non avrei considerato se non le persone, e il cuore mio, così bene custodito nel mondo, si sarebbe attaccato umanamente nel chiostro. Fortunatamente fui preservata da tale sventura. Senza dubbio amavo molto nostra Madre, ma di un’affezione pura che mi innalzava verso lo Sposo dell’anima mia… Maestra era una vera santa, il perfetto esemplare delle prime carmelitane; tutto il giorno stavo con lei, perché ella mi insegnava a lavorare. La sua bontà verso me era illimitata, e tuttavia l’anima mia non si dilatava. Soltanto con sforzo mi era possibile di «fare» direzione, poiché non ero avvezza a parlar dell’anima mia, non sapevo come esprimere ciò che in essa accadeva. Una buona Madre anziana capì ciò che provavo, e un giorno mi disse ridendo in ricreazione: «Bambina mia, mi pare che non dobbiate aver gran che da dire alle vostre superiore». «Perché, Madre mia?». – «Perché la vostra anima è sommamente semplice, ma quando sarete perfetta, sarete ancora più semplice, più ci avviciniamo a Dio, più ci facciamo semplici». – La buona Madre aveva ragione: tuttavia, la difficoltà che provavo nell’aprire l’anima mia pur provenendo dalla mia semplicità, era una vera prova; lo riconosco ora, perché senza cessare di essere semplice, esprimo i miei pensieri molto facilmente.
199 – Ho detto che Gesù era stato «il mio Direttore». Entrando nel Carmelo feci conoscenza con colui che doveva compiere quell’ufficio, ma, appena mi ebbe accolta tra le sue figlie, partì per l’esilio. In tal modo l’avevo conosciuto soltanto per rimanerne priva. Ridotta a ricevere da lui una lettera l’anno su dodici che gliene scrivevo, il cuore mio si volse ben presto verso il Direttore dei direttori, e fu lui a istruirmi in quella scienza nascosta ai sapienti e ai saggi che egli si degna rivelare ai più piccoli.
200 – L’umile fiore trapiantato sulla montagna del Carmelo doveva aprirsi all’ombra della Croce; le lacrime, il Sangue di Gesù divennero rugiada, il Volto adorabile velato di lacrime fu il sole. Fino allora non avevo approfondito i tesori nascosti nel Volto Santo e fu per mezzo di lei, Madre mia cara, che imparai a conoscerli; allo stesso modo in cui, un tempo, lei ci aveva precedute tutte nel Carmelo, similmente era penetrata per prima nei misteri d’amore celati nel Volto del Nostro Sposo; allora lei mi chiamò, e io capii. Capii quale era la vera gloria. Colui il cui regno non è di questo mondo mi mostrò che la saggezza vera consiste nel «volere essere ignorati e considerati nulla» e nel «porre la propria gioia nel disprezzo di sé». Ah, come il Volto di Gesù, volevo che «il mio fosse veramente nascosto, che sulla terra nessuno mi riconoscesse». Avevo sete di soffrire e di essere dimenticata. Quanto misericordiosa è la via per la quale il buon Dio mi ha sempre guidata, mai mi ha fatto desiderare qualche cosa senza darmela, così il suo calice amaro mi parve delizioso.
201 – Dopo le feste radiose del mese di maggio, professione e velazione della nostra sorella cara, Maria, (la maggiore della famiglia che la più piccola ebbe l’onore di coronare nel giorno delle nozze), bisognava bene che la prova ci visitasse… L’anno prima, nel mese di maggio, Papà era stato colpito da un attacco di paralisi alle gambe, eravamo state in ansia grave, ma il temperamento forte del mio caro Re aveva preso ben presto il sopravvento, e i timori erano scomparsi; tuttavia più d’una volta, durante il viaggio a Roma, avevamo notato che si stancava facilmente, e non era più gaio come al solito. Quello che avevo accertato in modo particolare, era il progresso che Papà faceva nella perfezione; sull’esempio di san Francesco di Sales, era arrivato a padroneggiare la sua vivacità naturale a tal segno da sembrar la natura più dolce del mondo. Pareva che le cose della terra lo sfiorassero appena, prendeva facilmente il sopravvento sulle contrarietà, e in definitiva il Signore lo inondava di consolazioni; durante le sue visite quotidiane al santissimo Sacramento gli occhi suoi si empivano spesso di lacrime, e il suo viso respirava una beatitudine celeste… Quando Leonia uscì dalla Visitazione, egli non si afflisse, non fece alcun rimprovero al buon Dio per non esser stato esaudito nelle preghiere che gli aveva rivolte per ottenere la vocazione della sua cara figlia, anzi, andò a prenderla con una certa gioia. Ecco con quale fede Papà accettò la separazione dalla sua reginetta: l’annunciò in questi termini ai suoi amici di Alencon: «Cari amici, Teresa, la mia reginetta, è entrata ieri nel Carmelo! Dio solo può esigere un sacrificio come questo… Non mi compiangete, perché il mio cuore sovrabbonda di gioia».
202 – Era tempo che un servo tanto fedele ricevesse il premio delle sue fatiche, era giusto che il suo compenso somigliasse a quello che Dio dette al Re del Cielo, suo Figlio unico… Papà aveva offerto da poco tempo a Dio un altare; fu lui la vittima scelta per essere immolata con l’Agnello senza macchia. Lei conosce, Madre mia cara, le nostre amarezze del mese di giugno, soprattutto del 24, nell’anno 1888, quei ricordi sono impressi troppo profondamente nei nostri cuori perché sia necessario scriverli… Oh Madre mia, quanto abbiamo sofferto! Ed era solamente l’inizio della nostra prova. Tuttavia il tempo della mia vestizione era giunto: fui ricevuta dal capitolo, ma come pensare a fare una cerimonia? Già parlavano di darmi il santo abito senza farmi uscire, quando venne deciso di attendere. Contro ogni previsione il nostro caro Babbo si rimise dal suo secondo attacco, e Monsignor Vescovo stabilìla cerimonia al 10 gennaio.
203 – L’attesa era stata lunga, ma pure che bella festa! Niente mancò, niente, nemmeno la neve… Non so se le ho già parlato del mio amore per la neve? Quand’ero molto piccola, il suo candore mi rapiva; uno dei piaceri più grandi era passeggiare sotto i fiocchi bianchi. Donde mi veniva quel gusto della neve? Forse dal fatto che, essendo io un ftorellino d’inverno, il primo splendore della natura che videro i miei occhi dovette essere il suo manto bianco. Avevo sempre desiderato che nel giorno della mia vestizione la natura fosse, come me, vestita di bianco. Il giorno prima guardavo tristemente il cielo grigio dal quale sfuggiva ogni tanto un po’ di pioggia fine, e la temperatura era così mite che non speravo più la neve. ll mattino dopo, il cielo non era cambiato; tuttavia la festa fu incantevole, e il fiore più bello fu il mio caro Re. Mai era stato più bello, più degno. Formò l’ammirazione di tutti, quel giorno fu il suo trionfo, l’ultima sua festa quaggiù. Aveva dato tutti i suoi figli al buon Dio, poiché avendogli anche Celina confidato la propria vocazione, lui aveva pianto di gioia, ed era andato a ringraziare Colui che «gli faceva l’onore di prendere tutte le sue figlie».
204 – Alla fine della cerimonia Monsignor Vescovo intonò il Te Deum, un sacerdote cercò di far notare che quell’inno veniva cantato soltanto alle professioni, ma l’avvio era dato, e il cantico del ringraziamento continuò fino alla fine. Non doveva essere completa quella festa, poiché in essa si riunivano tutte le altre? Dopo aver abbracciato un’ultima volta il mio Re caro, rientrai nella clausura, e la prima cosa che vidi nel chiostro fu «il mio Gesù Bambino rosa» che mi sorrideva in mezzo ai fiori e alle luci, e poi subito il mio sguardò si posò su dei fiocchi di neve: il cortile era bianco come me. Che delicatezza di Gesù! Prevenendo i desideri della sua piccola fidanzata, le regalava la neve… Della neve! Quale è dunque l’uomo, potente quanto si voglia, che riesca a far cadere dal cielo la neve per far piacere alla sua amata? Forse, le persone del mondo si posero questa domanda, certo si è che la neve della mia vestizione parve loro un piccolo miracolo, e tutta la città ne stupì. Trovarono che avevo uno strano gusto poiché mi piaceva la neve. Tanto meglio! ciò fece risaltare ancor più l’incomprensibile condiscendenza dello Sposo delle vergini, di colui che ama i gigli bianchi come la neve!
205 – Monsignore entrò dopo la cerimonia, fu di una bontà davvero paterna verso me. Era fiero di vedere che avevo – perseverato, diceva a tutti che ero la «sua figlioletta». Ogni volta che tornò dopo quella bella festa, sua Eccellenza fu sempre tanto buono con me, mi ricordo soprattutto della sua visita nel centenario di san Giovanni della Croce. Mi prese la testa tra le mani, mi fece tante carezze, mai ero stata tanto onorata! Nello stesso tempo il buon Dio mi fece pensare alle carezze che vorrà prodigarmi dinanzi agli angeli e ai Santi, e delle quali mi dava una debole immagine fin da questo mondo, così la consolazione che provai fu grande.
206 – Come ho detto, la giornata del 10 gennaio fu il trionfo del mio Re, io la paragono all’entrata di Gesù in Gerusalemme nel giorno delle Palme; come quella del nostro Divino Maestro, la gloria di un giorno fu seguita da una passione dolorosa, e questa passione non fu per lui solo; come i dolori di Gesù trafissero con una spada il cuore della sua Madre divina, così i nostri cuori sentirono le sofferenze di colui che noi amavamo più teneramente di ogni altro sulla terra. Ricordo che nel giugno 1888, nel momento delle nostre prime prove, dicevo: «Soffro molto, ma sento che posso sopportare prove più grandi». Non pensavo allora a quelle che mi erano riservate. Non sapevo che il 12 febbraio, un mese dopo la mia vestizione, il nostro Babbo amato avrebbe bevuto alla coppa più amara e più umiliante. Ah, quel giorno non ho detto che avrei potuto soffrire di più! Le parole non riescono ad esprimere le nostre angosce, perciò non cercherò di descriverle. Un giorno, in Cielo, ci piacerà di parlare delle nostre prove gloriose, non siamo già felici per averle sofferte? Sì, i tre anni del martirio di Papà mi sembrano i più amabili, i più fruttuosi di tutta la nostra vita, io non li darei per tutte le estasi e le rivelazioni dei Santi, il cuore mio trabocca di gratitudine pensando a quel tesoro inestimabile che deve causare una santa invidia agli Angeli della corte celeste.
207 – Un mio desiderio di sofferenze era colmato, tuttavia l’attrattiva verso il dolore non diminuiva in me, tanto che l’anima mia condivise presto le sofferenze del cuore. L’aridità era il mio pane quotidiano, e, privata di qualsiasi consolazione, ero tuttavia la creatura più felice, poiché tutti i miei desideri erano soddisfatti. Oh, Madre mia cara! Com’è stata dolce la nostra grande prova, poiché da tutti i nostri cuori sono usciti solamente sospiri d’amore e di riconoscenza! Noi non camminavamo più sui sentieri della perfezione, volavamo tutte e cinque! Le due povere esiliate di Caen, pur essendo ancora nel mondo, non erano già più del mondo. Ah, quali meraviglie ha operato la prova nell’anima della mia cara Celina! Tutte le lettere scritte da lei in quel periodo sono pervase di rassegnazione e d’amore. E chi potrà dire dei colloqui che avevamo? Lungi dal separarci, le grate del Carmelo univano più fortemente le nostre anime, avevamo gli stessi pensieri, gli stessi desideri, lo stesso amore di Gesù e delle anime! Quando Celina e Teresa parlavano tra loro, mai una parola delle cose terrene si mescolava alle loro conversazioni che già erano tutte nel Cielo. Come un tempo nel «belvedere», sognavamo le cose dell’eternità e, per godere ben presto di quel gaudio senza fine, sceglievamo quaggiù come nostra unica parte «la sofferenza e il disprezzo».
208 – In tal modo passò il tempo del mio fidanzamento: fu ben lungo per la povera Teresa! Alla fine del mio anno di noviziato Nostra Madre mi disse di non chiedere la professione, ché certamente il Superiore respingerebbe la mia istanza, dovetti attendere ancora otto mesi… Al primo momento mi fu ben difficile accogliere quel grande sacrificio, ma ben presto la luce mi si fece nell’anima; meditavo allora i «Fondamenti della vita spirituale» del Padre Surin; un giorno, durante l’orazione, capii che il mio desiderio vivo di far professione era mescolato con un grande amor proprio; poiché mi ero data a Gesù per fargli piacere, consolarlo, non dovevo obbligarlo a fare la mia volontà invece della sua; capii allora che una fidanzata dev’essere ornata nel giorno delle nozze, e che io non avevo fatto nulla a questo scopo, allora dissi a Gesù: «O Dio mio! non vi chiedo di pronunciare i miei santi voti, attenderò quanto vorrete voi, soltanto non voglio che per colpa mia la mia unione con voi sia differita, perciò mi metterò con tutto l’impegno a prepararmi una bella veste ricca di gemme; quando la troverete abbastanza ornata, sono sicura che nessuna creatura vi impedirà di scendere verso di me per unirmi con voi per sempre, o mio Amato!».
209 – Dopo la mia vestizione avevo già ricevuto luci abbondanti sulla perfezione religiosa, principalmente riguardo al voto di povertà. Durante il mio postulantato ero contenta di avere delle cose graziose per mio uso, e di trovare sotto mano tutto ciò che mi occorreva. «il mio Direttore» sopportava ciò pazientemente, perché non gli piace mostrare alle anime tutto nello stesso momento. Generalmente dà la sua luce a poco a poco. (All’inizio della mia vita spirituale, verso l’età dai tredici ai quattordici anni, mi chiedevo ciò che più tardi avrei avuto da acquistare perché credevo che mi fosse impossibile capire meglio la perfezione; ho riconosciuto ben presto che, più si va avanti su quel cammino, più ci crediamo lontani dalla meta, così ora mi rassegno a vedermi sempre imperfetta, e trovo in ciò la mia gioia…). Ritorno alle lezioni che mi dette «il mio Direttore». Una sera, dopo Compieta, cercai inutilmente la nostra piccola lampada sulle tavole destinate a quell’uso, era gran silenzio, impossibile reclamare. Capii che una suora, credendo di prendere la sua lampada, aveva preso la nostra, di cui avevo gran bisogno; invece di provar dispiacere essendone privata, fui ben felice, sentendo che la povertà consiste nel vedersi privi non soltanto delle cose piacevoli, bensì anche delle indispensabili, così nelle tenebre esteriori fui illuminata interiormente. Fui presa in quel tempo da un vero e proprio amore per gli oggetti più brutti e meno comodi, così vidi con gioia che mi veniva tolta la bella brocchina della nostra cella, e che mi veniva data una brocca grossa e tutta sbocconcellata.
210 – Facevo anche veri sforzi per non giustificarmi, cosa che mi pareva ben difficile, specie con la nostra Maestra, alla quale non avrei voluto tacere alcunché. Ecco la mia prima vittoria, non è molto grande, ma mi è costata molto: un vasetto collocato dietro una finestra venne trovato rotto; la nostra Maestra, credendo che l’avessi fatto cadere io, me lo mostrò, dicendomi di far più attenzione un’altra volta. Senza dir nulla baciai terra, poi promisi che nell’avvenire sarei stata più ordinata. A causa della mia scarsa virtù quelle pratiche mi costavano molto, e avevo bisogno di pensare che nel giudizio universale tutto sarebbe stato rivelato, perché facevo questa osservazione: quando si fa il proprio dovere senza mai giustificarsi, nessuno lo sa; al contrario, le imperfezioni appaiono subito.
211 – M’impegnavo soprattutto a praticare le virtù piccole, non avendo il destro per praticare le grandi, così mi piaceva ripiegare le cappe dimenticate dalle consorelle, e rendere a queste ultime tutti i piccoli servigi che potevo. Mi fu dato anche l’amore della mortificazione e fu tanto più grande in quanto niente mi era permesso per soddisfarlo. La sola piccola mortificazione che facevo nel mondo, e che consisteva nel non appoggiare il dorso quand’ero seduta, mi fu proibita a causa della mia propensione a curvarmi. Ahimè! il mio ardore certamente non sarebbe stato di lunga durata se mi avessero concesso molte penitenze… Quelle che mi permisero senza che io le chiedessi consistevano nel mortificare il mio amor proprio, ciò che mi procurava molto maggior vantaggio che non le penitenze corporali.
212 – Il refettorio, che fu il mio ufficio subito dopo la vestizione, mi offerse più d’una occasione per mettere il mio amor proprio al posto che gli spetta, cioè sotto i piedi. E’ vero che provavo grande consolazione perché ero nello stesso ufficio suo, Madre mia cara, e potevo contemplare da vicino le sue virtù, ma questo ravvicinamento mi era causa di sofferenza; non mi sentivo, come un tempo, libera di dire a lei tutto, c’era la regola da osservare, non potevo aprirle l’anima mia; insomma, ero al Carmelo, e non più ai Buissonnets sotto il tetto paterno!
213 – Tuttavia la Santa Vergine mi aiutava a preparare la veste dell’anima mia; appena fu compiuta, gli ostacoli svanirono da sé. Monsignor Vescovo mi mandò il permesso che avevo chiesto, la comunità mi ricevette e la mia professione fu fissata all’8 settembre. Tutto quello che ho scritto in poche parole richiederebbe molte pagine di particolari, ma queste pagine non verranno mai lette sulla terra; presto, Madre mia cara, le parlerò di tutte queste cose nella nostra casa paterna, nel Cielo bello al quale salgono i sospiri dei nostri cuori! La mia veste nuziale era pronta, impreziosita dai gioielli antichi che mi aveva dati il mio Fidanzato, ma ciò non bastava alla sua generosità. Voleva darmi un diamante nuovo dai rfflessi innumerevoli. La prova di Papà era, con tutte le sue circostanze dolorose, i gioielli antichi, e il nuovo fu una prova ben piccola in apparenza, ma che mi fece soffrire molto.
214 – Da qualche tempo, poiché il nostro povero caro Babbo si sentiva un po’ meglio, lo facevano uscire in carrozza, e si pensava perfino di farlo viaggiare in treno per venire a trovarci. Naturalmente Celina pensò subito che bisognava scegliere il giorno della mia velazione. «Per non stancarlo – diceva lei – non lo farò assistere a tutta la cerimonia, solamente alla fine andrò a prenderlo, e lo condurrò dolcemente fino alla grata, affinché Teresa riceva la sua benedizione». Ah, riconosco bene il cuore della mia Celina cara… è pur vero che «l’amore non pone mai pretesti d’impossibilità perché crede tutto possibile e tutto permesso». Invece, la prudenza umana trema a ciascun passo, e non osa, per così dire, posare il piede; così il buon Dio che voleva provarmi si servì di lei come di uno strumento docile, e il giorno delle mie nozze fui veramente orfana: non avevo più Padre sulla terra, ma potevo guardare al Cielo con fiducia e dire con piena verità: «Padre Nostro, che sei nei Cieli».