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Tempo di Avvento: aprire il cuore alla speranza

Catechesi sulla speranza cristiana, a partire da Is 52,7.9-10

Autore: Papa Francesco

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Ci stiamo avvicinando al Natale, e il profeta Isaia ancora una volta ci aiuta ad aprirci alla speranza accogliendo la Buona Notizia della venuta della salvezza.
Il capitolo 52 di Isaia inizia con l’invito rivolto a Gerusalemme perché si svegli, si scuota di dosso polvere e catene e indossi le vesti più belle, perché il Signore è venuto a liberare il suo popolo (vv. 1-3). E aggiunge: «Il mio popolo conoscerà il mio nome, comprenderà in quel giorno che io dicevo: Eccomi!» (v. 6).
A questo “eccomi” detto da Dio, che riassume tutta la sua volontà di salvezza e di vicinanza a noi, risponde il canto di gioia di Gerusalemme, secondo l’invito del profeta. E’ un momento storico molto importante. È la fine dell’esilio di Babilonia, è la possibilità per Israele di ritrovare Dio e, nella fede ritrovare sé stesso. Il Signore si fa vicino, e il “piccolo resto”, cioè il piccolo popolo che è rimasto dopo l’esilio e che in esilio ha resistito nella fede, che ha attraversato la crisi e ha continuato a credere e a sperare anche in mezzo al buio, quel “piccolo resto” potrà vedere le meraviglie di Dio.
A questo punto il profeta inserisce un canto di esultanza:
«Come sono belli sui monti
i piedi del messaggero che annuncia la pace,
del messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza,
che dice a Sion: «Regna il tuo Dio».
[…]
Prorompete insieme in canti di gioia,
rovine di Gerusalemme
perché il Signore ha consolato il suo popolo,
ha riscattato Gerusalemme.
Il Signore ha snudato il suo santo braccio
davanti a tutte le nazioni;
tutti i confini della terra vedranno
la salvezza del nostro Dio» (Is 52,7.9-10).
Queste parole di Isaia, su cui vogliamo soffermarci un po’, fanno riferimento al miracolo della pace, e lo fanno in un modo molto particolare, ponendo lo sguardo non sul messaggero ma sui suoi piedi che corrono veloci: «Come sono belli sui monti i piedi del messaggero…».
Sembra lo sposo del Cantico dei Cantici che corre dalla sua amata: «Eccolo, viene saltando per i monti, balzando per le colline» (Ct 2,8). Così anche il messaggero di pace corre, portando il lieto annuncio di liberazione, di salvezza, e proclamando che Dio regna.
Dio non ha abbandonato il suo popolo e non si è lasciato sconfiggere dal male, perché Egli è fedele, e la sua grazia è più grande del peccato. Questo dobbiamo impararlo, Perché noi siamo testardi e non lo impariamo. Ma io farò la domanda: chi è più grande, Dio o il peccato? Dio! E chi vince alla fine? Dio o il peccato? Dio. Egli è capace di vincere il peccato più grosso, più vergognoso, più terribile, il peggiore dei peccati? Con che arma vince Dio il peccato? Con l’amore! Questo vuol dire che “Dio regna”; sono queste le parole della fede in un Signore la cui potenza si china sull’umanità, si abbassa, per offrire misericordia e liberare l’uomo da ciò che sfigura in lui l’immagine bella di Dio perché quando siamo in peccato l’immagine di Dio è sfigurata. E il compimento di tanto amore sarà proprio il Regno instaurato da Gesù, quel Regno di perdono e di pace che noi celebriamo con il Natale e che si realizza definitivamente nella Pasqua. E la gioia più bella del Natale è questa gioia interiore di pace: il Signore ha cancellato i miei peccati, il Signore mi ha perdonato, il Signore ha avuto misericordia di me, è venuto a salvarmi. Questa è la gioia del Natale!
Sono questi, fratelli e sorelle, i motivi della nostra speranza. Quando tutto sembra finito, quando, di fronte a tante realtà negative, la fede si fa faticosa e viene la tentazione di dire che niente più ha senso, ecco invece la bella notizia portata da quei piedi veloci: Dio sta venendo a realizzare qualcosa di nuovo, a instaurare un regno di pace; Dio ha “snudato il suo braccio” e viene a portare libertà e consolazione. Il male non trionferà per sempre, c’è una fine al dolore. La disperazione è vinta perché Dio è tra noi.
E anche noi siamo sollecitati a svegliarci un po’, come Gerusalemme, secondo l’invito che le rivolge il profeta; siamo chiamati a diventare uomini e donne di speranza, collaborando alla venuta di questo Regno fatto di luce e destinato a tutti, uomini e donne di speranza. Quanto è brutto quando troviamo un cristiano che ha perso la speranza! “Ma io non spero nulla, tutto è finito per me”: così dice un cristiano che non è capace di guardare orizzonti di speranza e davanti al suo cuore soltanto un muro. Ma Dio distrugge questi muri col perdono! E per questo dobbiamo pregare, perché Dio ci dia ogni giorno la speranza e la dia a tutti, quella speranza che nasce quando vediamo Dio nel presepio a Betlemme. Il messaggio della Buona Notizia che ci è affidato è urgente, dobbiamo anche noi correre come il messaggero sui monti, perché il mondo non può aspettare, l’umanità ha fame e sete di giustizia, di verità, di pace.
E vedendo il piccolo Bambino di Betlemme, i piccoli del mondo sapranno che la promessa si è compiuta, il messaggio si è realizzato. In un bimbo appena nato, bisognoso di tutto, avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia, è racchiusa tutta la potenza del Dio che salva. Il Natale è un giorno per aprire il cuore: bisogna aprire il cuore a tanta piccolezza, che è lì in quel Bambino, e a tanta meraviglia. È la meraviglia di Natale, a cui ci stiamo preparando, con speranza, in questo tempo di Avvento. È la sorpresa di un Dio bambino, di un Dio povero, di un Dio debole, di un Dio che abbandona la sua grandezza per farsi vicino a ognuno di noi.

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