Terza Domenica di Pasqua: “Egli vede che nessuna cosa è fatta senza di Me"
Meditazione con santa caterina da Siena
Autore: Fr. Daniele Aucone
Carissimi fratelli,
terza domenica di Pasqua e terza manifestazione di Gesù risorto, dopo l’apparizione a Maria di Magdala il mattino del giorno dopo il sabato, e la duplice manifestazione agli Undici (la prima volta la sera stessa del giorno di Pasqua e la seconda otto giorni dopo). La Liturgia ci fa ripercorrere in questa prima parte del tempo di Pasqua (le prime tre domeniche) lo sbocciare della fede pasquale dei discepoli, che coincide con il suo stesso momento inaugurale come comunità ecclesiale.
Una fede che matura lentamente, facendosi strada tra resistenze e dubbi, come sottolinea la finale del Vangelo di Marco (cap. 16) evidenziando l’ostinata incredulità dei discepoli di fronte già alle prime testimonianze di incontri con il risorto; e che ci permette di cogliere il senso delle apparizioni descritte nei Vangeli: vere e proprie teofanie, che intendono manifestare la realtà di un evento di cui nessuno ha avuto esperienza diretta (“o notte beata tu sola hai meritato di conoscere il tempo e l’ora in cui Cristo è risorto dagli inferi” canta l’inno dell’Exsultet della veglia pasquale), ma che divengono anche iniziative misericordiose con cui Gesù si fa di nuovo incontro a una comunità smarrita e disillusa, spezzatasi al momento della Passione e della croce, chiamandola a rendersi partecipe della sua nuova condizione. Una comunità impaurita, che si ripiega su di sé dopo il crollo di false attese e false rappresentazioni su Gesù, ma che proprio per questo ha bisogno di ricevere il soffio della sua esistenza pasquale. È ciò che abbiamo ascoltato nel Vangelo di domenica scorsa con la visita misericordiosa del risorto al gruppo degli Undici rinchiuso nel cenacolo, in cui spicca la figura di Tommaso (l’incredulo), curiosamente chiamato Didimo (‘il gemello’), quasi a ricordare quella incredulità che abita in ciascuno di noi, e che fa dell’apostolo un alter ego, un ‘gemello’ di ogni credente. Ce lo ha detto anche il Vangelo di oggi, con questa scena dei due discepoli scoraggiati e disillusi, in cui molti oggi possono probabilmente ritrovarsi, specie in questa situazione di pandemia e di emergenza sanitaria, che ha chiamato anche la Chiesa a rendersi presente in modo nuovo nel tessuto sociale.
E d’altronde è il brano stesso a suggerirci ancora una volta questo ingresso esistenziale nella scena e nei suoi protagonisti, e a invitarci a leggere la nostra situazione sullo sfondo della pagina evangelica: questo discepolo ‘senza nome’ a cui ciascuno di noi è chiamato quasi a sostituire se stesso; e questo villaggio non identificato con esattezza dagli studiosi (secondo alcuni si tratterebbe di Emmaus Nicopolis, per altri di Abu Gosh, per i francescani Quibebeh), che sembra divenire un luogo aperto ad accogliere ogni angolo e spazio della Terra. Una scena che sembra essere un’icona dello stesso cammino di vita cristiano, di cui prospetta in sintesi tutti gli elementi: il risorto che continua a farsi vicino all’umanità disincantata e affranta; che non smette di far risuonare la sua Parola mediante la liturgia della Chiesa; che compie il gesto dello spezzare il pane come sacramento della sua presenza e del suo camminare con noi tutti i giorni fino alla fine dei tempi; infine l’esperienza dei discepoli che diviene condivisione e annuncio, con il ritorno dei due di Emmaus a Gerusalemme per raccontare agli Undici il proprio incontro.
Una pagina che ci offre anche una buona porta d’ingresso per il triduo di s. Caterina, che oggi iniziamo appunto con questa celebrazione.
La santa senese non ha commentato direttamente l’episodio di Emmaus, ma questa sintesi del cammino di vita cristiano che la pagina evangelica ci offre è proprio ciò che viene messo a tema ed analizzato a fondo in tutta la sua opera spirituale. Dottrina che è legata alla celebre immagine del ponte che collega cielo e terra, simbolo del Verbo incarnato e della sua unione ipostatica tra natura divina e condizione umana, che indica anche un itinerario di vita cristiana e cammino spirituale, che ciascun credente è chiamato a percorrere. Ad ognuno dei tre grandi scaloni del ponte, corrispondono infatti altrettante tappe o stadi del cammino di maturazione cristiana, che ritroviamo peraltro anche nella scena di Emmaus. Il primo scalone, simboleggiato dai piedi, indica il momento iniziale della vita cristiana, l’inizio della sequela e del discepolato mediante la conversione e un cambiamento di vita rispetto alla condizione di peccato. Il secondo livello, che è quello del costato, indica lo stadio della maturazione e della crescita nella via del discepolato, in cui si sperimenta che la vita secondo il Vangelo è una vita bella e ricca di senso, un po’ come i due discepoli di Emmaus a cui arde il cuore, mentre ascoltano la Parola spiegata da Gesù. Infine l’ultima tappa è quella della bocca, cioè l’esperienza della parola e della comunicazione, sia con Dio nell’orazione e nella lode, sia nell’annuncio e nella testimonianza mediante la condivisione di fede con i fratelli (è chiara qui l’eco dell’esperienza stessa di s. Domenico, che, come dice il suo primo biografo, “parlava o con Dio o di Dio”). E anche qui troviamo un rinvio alla scena di Emmaus, che si chiude proprio con il ritorno dei due a Gerusalemme per condividere con gli Undici l’esperienza di incontro con il risorto, per esercitare cioè “l’ufficio della bocca” per utilizzare appunto le parole del Dialogo.
Caterina descrive diverse in maniera abbastanza dettagliata le ‘operazioni’, cioè gli atteggiamenti e lo stile di vita di colui che ha raggiunto un tale grado di maturazione nella vita cristiana (per esempio il saper sopportare contrarietà e tribolazioni, il cercare solo la virtù e il servizio di Dio piuttosto che il proprio diletto spirituale, la docilità alla volontà di Dio), ma si sofferma in modo particolare sull’illuminazione dell’intelligenza e dello sguardo interiore che si accompagna a questo stadio del cammino: il discepolo è in grado di ‘metabolizzare’, di integrare con uno sguardo di fede ogni situazione di contrarietà e di avversità, perché scorge la presenza di Dio anche in quei momenti. “Egli vede che nessuna cosa è fatta senza di Me, ed è fatta con mistero e Provvidenza, fuorché il peccato”, scrive Caterina al cap. LXXVII del Dialogo. Il che ci riporta non solo alla scena iniziale dei due di Emmaus, a cui il risorto spiega lungo il cammino che la Passione e la morte non sono stati ‘incidenti’ di percorso imprevisti e non voluti, ma tasselli che rientravano nel misterioso piano di salvezza divino; ma anche al nostro oggi, chiamato a cogliere anche in questa vicenda dolorosa dell’emergenza sanitaria globale la presenza del risorto che continua ad accompagnare la nostra storia e a camminare con noi. Anche noi come i discepoli di Emmaus possiamo sfogare al Signore le nostre delusioni e i nostri turbamenti, e anche a noi il risorto risponde mostrando le sue ferite e i segni della Passione e della crocifissione. È ciò che ha fatto anche Caterina portando al cospetto di Dio i dolori e i travagli del suo tempo (le famose quattro domande da cui ha origine il Dialogo: misericordia per sé, per la Chiesa, per il mondo e per un caso particolare). Chiediamo al Signore questo conforto e questa luce, proprio per intercessione di s. Caterina, compatrona di Roma, d’Italia e di Europa, che tanto si è spesa per il bene della società e della Chiesa del suo tempo, e domandiamolo con fiducia, sostenuti dalle parole di promessa e speranza che l’Eterno Padre le rivolge nel Dialogo:
“Essa (la mia Provvidenza), dal principio del mondo infino ad oggi ha provveduto e provvederà fino all’ultimo, alle necessità e alla salute dell’uomo, in molti e diversi modi (secondo che io, giusto medico, vedo bisognarvi per le vostre infermità), per rendergli sanità perfetta, o perché ci si conservi. La mia provvidenza non mancherà mai a chi la vorrà ricevere, come sono quelli che perfettamente sperano in me. E chi spera in me, chi bussa e chiama in verità, non solamente con la parola, ma con l’affetto e col lume della santissima fede, gusterà me nella mia provvidenza” (Dial. Cap. CXXXVI).
Così sia anche per noi.
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