"Tutto parlava all'anima mia della grandezza e della potenza di Dio"
tratto da "Storia di un'anima", cap II: "L'ombra cupa della sofferenza"
Autore: Santa Teresa di Lisieaux
42 – Tutti i particolari della malattia della nostra Madre tanto cara sono presenti al mio cuore, ricordo soprattutto l’ultima settimana che passò sulla terra; eravamo, Celina e io, come povere piccole esiliate, tutte le mattine la signora Leriche veniva a prenderci, e passavamo la giornata da lei. Un giorno non avevamo avuto il tempo di fare la nostra preghiera prima di uscir di casa e durante il tragitto Celina mi disse piano: «Dobbiamo dire che non abbiamo fatto la nostra preghiera?». – «Oh, si!» le risposi: allora lo raccontò molto timidamente alla signora Leriche, e questa concluse: «Ebbene, figliette mie, ora la direte». Poi ci mise tutte due in una grande stanza e se ne partì… Celina mi guardò e dicemmo: «Ah! non è come Mamma. Lei ce la faceva fare sempre la nostra preghiera!». Quando giocavamo con i bimbi, ci perseguiva il pensiero della nostra Mamma cara, una volta Celina aveva avuto una bella albicocca, si chinò verso di me, e mi disse piano: «Non la mangiamo, la do alla Mamma». Ahimè! Povera Mamma tanto cara, era già troppo malata per mangiare i frutti della terra, non doveva più saziarsi se non in Cielo della gloria divina e bere con Gesù il vino misterioso del quale parla nell’ultima sua Cena, quando dice che lo condividerà con noi nel regno del Padre suo. Il rito commovente della Estrema Unzione mi si impresse nell’anima, vedo ancora il posto mio accanto a Celina, eravamo tutte e cinque per ordine d’età e c’era il caro povero Babbo: singhiozzava.
43 – Il giorno stesso, o l’indomani, del transito di Mamma egli mi prese tra le braccia e mi disse: «Vieni a dare un ultimo bacio alla tua povera Mamma»; senza dir nulla accostai le labbra alla fronte di mia Madre tanto amata. Non ricordo d’aver pianto molto, non parlavo con nessuno dei sentimenti profondi che provavo. Guardavo e ascoltavo… nessuno aveva tempo per occuparsi di me, perciò vedevo bene le cose che avrebbero voluto nascondermi; una volta mi trovai di fronte al coperchio della bara; mi fermai lungamente ad osservarlo, non ne avevo mai visti, e tuttavia capivo… Ero tanto piccina che, nonostante la statura non alta di Mamma, ero costretta ad alzar la testa per vedere la parte superiore, e mi pareva tanto grande. tanto trtste… Quindici anni dopo mi trovai dinanzi a un’altra bara, di Madre Genoveffa, era uguale a quella di Mamma e io mi credetti ancora ai giorni dell’infanzia! Tutti i ricordi sciamarono in folla, era pur la stessa Teresina di allora che guardava, ma nel frattempo era cresciuta e la bara le pareva piccola; non occorreva più sollevare la testa per vederla. Ora alzava il viso soltanto per contemplare il Cielo che le appariva pieno di gioia, perché tutte le sofferenze di lei erano finite e l’inverno dell’anima sua era passato per sempre.
44 – Il giorno in cui la Chiesa benedisse le spoglie mortali della nostra Mammina del Cielo, il buon Dio volle darmene un’altra sulla terra, e volle che la scegliessi liberamente. Eravamo tutte e cinque riunite, ci guardavamo con tristezza, c’era anche Luisa, e vedendo Celina e me, esclamò: «Povere piccine, non avete più Mamma…!». Allora Celina si gettò nelle braccia di Maria, dicendo: «Ebbene sarai tu la mia mamma!». Io ero avvezza a fare come lei, e tuttavia mi volsi a lei, Madre, e quasi già si fosse diradato il velame dell’avvenire, mi gettai nelle sue braccia: «Ebbene, sarà Paolina la mia mamma!…».
45 – Come ho già detto, da quel tempo entrai nel secondo periodo della mia esistenza, il più doloroso dei tre, soprattutto dopo l’ingresso nel Carmelo di colei che avevo scelta come mia seconda mamma. Questo periodo va dai miei quattro anni e mezzo fino ai quattordici, cioè fino a quando ritrovai il mio carattere di bimba pur entrando nel periodo serio della vita. Bisogna che le dica, Madre mia, che il mio carattere felice mutò totalmente dopo la morte di Mamma; vivace ed espansiva com’ero, divenni timida e dolce, sensibile fin troppo. Bastava uno sguardo per farmi piangere, bisognava che nessuno si occupasse di me perché fossi contenta, non sopportavo la compagnia degli estranei e ritrovavo la mia gaiezza soltanto nell’intimità della famiglia… Eppure, ero avviluppata ancora dagli affetti più delicati. Il cuore così ricco di Papà aveva unito all’amore che già mi dava, un amore veramente materno. E lei, Madre mia, e Maria, le mamme più tenere, più disinteressate! Ah, se il Signore non avesse profuso i suoi benefici raggi al suo fiore umile, questo non si sarebbe acclimatato sulla terra: troppo debole era ancora per sopportare pioggia e tempeste, aveva bisogno di calore, di guazza fresca, di respiro primaverile. Non gli mancarono mai questi doni, Gesù glieli fece trovare fin sotto il ghiaccio della prova.
46 – Non soffrii lasciando Alencon. I bimbi gradiscono i cambiamenti; e io venni a Lisieux con piacere. Ricordo il viaggio, l’arrivo, a sera, presso la zia, vedo ancora Giovanna e Maria sulla porta, ad aspettarci. Ero felice di avere delle cuginette tanto care, e volevo un gran bene a loro, alla zia, allo zio, soltanto che lui mi faceva un po’ paura e non mi sentivo proprio tranquilla e confortata quando gli ero vicina, come, invece, mi sentivo ai Buissonnets; lì, ai Buissonnets, la mia vita diventava felice davvero… Di mattina, lei veniva da me, mi domandava se avevo offerto il cuore al Signore, poi mi vestiva parlandomi di Dio; e poi ancora, accanto a lei, dicevo le preghiere. Dopo, imparavo a leggere. La prima parola che riuscii a compitare fu «Cieli». La mia Madrina prese cura d’insegnarmi a scrivere, e lei, Madre, mi dette le altre lezioni; non imparavo molto facilmente, avevo però gran memoria. Prediligevo il Catechismo, soprattutto la Storia Sacra, li studiavo con gioia; invece, la grammatica… ho pianto spesso, per la grammatica! Si ricorda, il maschile e il femminile?…
47 – Appena finito lo studio, salivo al belvedere e portavo quaderno e voti a Papà. Com’ero felice quando gli potevo dire: «Ho avuto 10 senza riserve, Paolina me l’ha detto da sé!». Perché accadeva questo: quando le domandavo io se avevo 10 senza riserve, e che lei mi diceva di sì, agli occhi miei era un tantino meno. Così lei mi dava dei buoni voti, e quando ne avevo messi insieme un certo numero, mi toccava un prernio e un giorno di vacanza. Quei giorni lì mi parevano più lunghi assai degli altri, e ciò faceva piacere a lei perché dimostrava che non mi garbava il dolce far niente.
48 – Tutti i pomeriggi facevo una passeggiatina con Papà; insieme facevamo la visita al Santissimo, cambiando chiesa ogni giorno, e così mi accadde di entrare per la prima volta nella cappella del Carmelo. Papà mi fece vedere la grata del coro, e disse che là dietro stavano le religiose. Ero ben lontana dal pensare che nove anni dopo ci sarei stata anch’io! Durante le passeggiate, Papà mi comprava sempre un regalino da un soldo o due: dopo, rientravamo a casa; allora facevo i compiti, poi, per tutto il tempo rimanente, me ne stavo in giardino a saltellare intorno a Papà, perché non sapevo giocare con la bambola. Era una gran gioia per me preparare bevande con granelli e scorze d’albero che raccattavo per terra, le portavo poi a Papà in una bella tazzina, e il mio povero caro Babbo interrompeva il suo lavoro, e sorridendo faceva finta di bere. Prima di restituirmi la tazza mi domandava (come di sfuggita) se dovesse versare il contenuto; qualche volta dicevo di sì, ma per lo più riportavo via la mia preziosa tisana affinché mi servisse per varie occasioni.
49 – Mi piaceva coltivare fiori nel giardino che Papà m’aveva dato; mi divertivo a erigere minuscoli altari nella specie di nicchia che si trovava a metà del muro; quando avevo finito, correvo da Papà e, trascinandolo, gli dicevo di chiudere bene gli occhi e di non riaprirli se non nel momento che glielo avrei detto io; lui faceva tutto quello che volevo e si lasciava condurre davanti al mio giardinetto, allora gridavo: «Papà, apri gli occhi!». Li apriva e si estasiava per farmi piacere, ammirando quello che a me pareva un capolavoro! Non finirei mai se volessi raccontare mille episodietti simili a questo che si affollano alla memoria… Ah, come potrò ridire tutte le tenerezze che Papà prodigava alla sua reginetta? Ci sono cose che il cuore sente, ma che la parola e il pensiero stesso non possono rendere.
50 – Erano giorni belli per me quando il mio «caro re» mi conduceva con sé a pescare, mi piaceva tanto la campagna, mi piacevano i fiori, gli uccelli! Qualche volta anch’io m’ingegnavo di pescare con la mia piccola lenza, ma preferivo sedermi sola sull’erba in fiore, allora i pensieri si facevano profondi e l’anima mia, senza sapere che cosa fosse meditare, s’immergeva in una vera orazione… Ascoltavo brusii lontani. Il murmure del vento ed anche la musica indefinita dei soldati, la cui risonanza arrivava fino a me, mi riempivano il cuore di malinconia dolce. La terra mi pareva un luogo d’esilio, sognavo il Cielo… Il pomeriggio passava rapido, bisognava ben presto rientrare ai Buissonnets, ma prima di partire prendevo la merenda che avevo portata in un canestrino: il bel crostino di marmellata che lei mi aveva preparato aveva mutato aspetto, invece del colore vivo non vedevo più che una scialba tinta rosa, tutta stantia e svanita. Allora la terra mi pareva ancora più triste, e capivo che soltanto in Cielo la gioia sarebbe stata senza nembi…
51 – A proposito dei nembi, ricordo che un giorno il bel cielo azzurro dell’aperta campagna si coprì, e che poco dopo la tempesta si annunciò con il suo brontolìo, i lampi solcavano la nuvolaglia cupa, e vidi cadere la folgore a poca distanza; lungi dall’aver paura, ero rapita. Mi pareva che il buon Dio mi fosse tanto vicino! Papà non era altrettanto contento, non gia che il temporale gli facesse paura, ma l’erba e le grandi margherite (più alte di me…) scintillavano di gemme, e noi dovevamo attraversare parecchi prati prima di trovare una strada; intanto, il mio babbo caro temette che i diamanti bagnassero la sua bimba e la prese sulle spalle nonostante il bagaglio delle lenze.
52 – Durante le passeggiate con Papà, gli piaceva di farmi portare l’elemosina ai poveri che incontravamo; un giorno ne vedemmo uno che si trascinava a fatica sulle stampelle, mi avvicinai per dargli un soldo, ma lui non si considerò abbastanza povero da ricevere l’elemosina; mi guardò sorridendo con tristezza, e rifiutò di prendere ciò che gli offrivo. Non posso dire ciò che accadde in me, avrei voluto essergli di sollievo, consolarlo; invece mi pareva di avergli dato un dispiacere e senza dubbio quel poveretto indovinò il mio pensiero perché si voltò e mi sorrise. Papà mi aveva comprato un dolce; avevo gran voglia di darglielo, ma non osai, e tuttavia gli volli dar qualcosa che non potesse rifiutare, perché sentivo tanta simpatia verso lui. Allora mi ricordai d’avere inteso dire che il giorno della prima Comunione si ottiene tutto ciò che si chiede: quel pensiero mi consolò e, benché non avessi ancora sei anni, dissi a me stessa: «Pregherò per il mio povero nel giorno della prima Comunione». Mantenni la promessa cinque anni dopo, e spero che il Signore abbia esaudito la preghiera che gli avevo rivolta per uno dei suoi membri sofferenti.
53 – Amavo molto Dio e gli offrivo spesso il cuore secondo la piccola preghiera che Mamma mi aveva insegnata, e tuttavia un giorno, o piuttosto una sera del bel mese di maggio, commisi una colpa che vale la pena di raccontare e che mi dette un grande spunto per umiliarmi: credo di averne provato una contrizione perfetta. Ero troppo piccola per’ andare al mese di Maria, perciò restavo con Vittoria e facevo con lei le mie devozioni davanti al piccolo mese di Maria che accomodavo a modo mio; erano tanto piccoli i candelieri, i vasi da fiori… che due fiammiferi funzionanti da candele illuminavano tutto perfettamente; qualche volta Vittoria mi faceva la sorpresa di darmi due mozziconi di lucignolo, ma di rado. Una sera era tutto pronto per iniziare la preghiera; le dissi: «Vittoria, per favore, cominciate il “memorare”, io accendo». Fece finta di cominciare, ma non disse nulla, e mi guardò ridendo; io vedevo i miei preziosi fiammiferi che si consumavano rapidamente e la supplicai di dire le orazioni, ma lei silenzio; allora mi alzai e le dissi forte che era cattiva, e uscendo dalla mia dolcezza consueta, battei il piedi con tutte le forze… La povera Vittoria non aveva più voglia di ridere, mi guardò stupefatta e mi fece vedere il lucignolo che mi aveva portato… Dopo aver sparso lacrime di stizza, versai quelle del pentimento sincero, col fermo proposito di non ricominciare mai più.
54 – Mi accadde un’altra avventura con Vittoria, ma di questa non ebbi pentimento, perché avevo mantenuto perfettamente la calma. Volevo un calamaio che si trovava sul camino della cucina, ero troppo piccina per prenderlo e lo chiesi molto gentilmente a Vittoria, ma lei rifiutò dicendomi di salire sopra una sedia. Io non fiatai, presi una seggiola, e intanto pensavo tra me che lei era poco amabile; volendo farglielo sentire, cercai nella mia minuscola testa ciò che mi offendeva di più; lei spesso mi chiamava, quando era stanca di me, «piccola mocciosa», e questo mi umiliava molto. Allora, prima di saltar giù dalla seggiola mi voltai con dignita’ e le lanciai: «Vittoria, siete una mocciosa! ». Poi fuggii, lasciandola a meditare sulla profonda parola che le avevo detto… Il risultato non tardò: ben presto la intesi che chiamava: «M’a’zelle Mari… Thérasse m’ha detto che sono una mocciosa!». Maria arrivò e mi fece chiedere perdono, ma io lo feci senza contrizione, pensando che Vittoria non aveva voluto allungare il suo grande braccio per farmi un piccolo favore, perciò meritava il titolo di «mocciosa».
55 – Tuttavia, mi voleva un gran bene e anch’io gliene volevo molto; un giorno mi cavò da un grande pericolo in cui ero caduta per colpa mia. Vittoria stava stirando e aveva accanto un secchio con dell’acqua, io la guardavo dondolandomi, come facevo spesso, sopra una seggiola; a un tratto, la seggiola mi manca e io casco, non per terra, ma nel fondo del secchio! I piedi mi toccavano la testa ed io riempivo il secchio come il pulcino riempie l’uovo… Quella povera Vittoria mi guardava con uno stupore sommo, mai aveva visto cosa simile. Quanto a me, avevo ben voglia di uscire dal mio secchio, ma impossibile, la prigione era così aggiustata che non potevo fare un movimento. Con un po’ di fatica mi salvò dal mio grande pericolo, ma non salvò il mio vestito e tutto il resto che bisognò cambiare perché ero bagnata come una minestra.
56 – Un’altra volta caddi nel caminetto. Per fortuna il fuoco era spento. Vittoria non ebbe altro guaio che rialzarmi e scuotermi da dosso la cenere di cui ero coperta. Accadevano il mercoledì, quando lei era a lezione di canto con Maria, tutte queste avventure. Similmente, un mercoledì venne Don Ducellier per fare una visita, Vittoria gli disse che non c’era nessuno in casa, fuorché Teresa, la più piccina; lui entrò in cucina per vedermi, e guardò i miei compiti; ero fiera di ricevere il mio confessore, perché poco prima mi ero confessata da lui per la prima volta. Che bel ricordo per me!
57 – Madre mia cara, con quanta cura lei mi aveva preparata! Mi aveva detto che non a un uomo avrei rivelato i miei peccati, bensì al buon Dio; ne ero veramente convinta, e perciò feci la mia confessione con grande spirito di fede, e domandai a lei perfino se dovevo dire a Don Ducellier: «Padre, io la amo con tutto il cuore», visto che avrei parlato col Signore nella persona di lui. Bene istruita di tutto quello che dovevo dire e fare, entrai nel confessionale e m’inginocchiai; ma Don Ducellier aprì la grata e non vide nessuno; ero tanto piccina che là mia testa si trovava sotto la tavoletta su cui si appoggiano le mani; allora mi disse di stare in piedi. Ubbidii subito, mi alzai e volgendomi proprio a lui per vederlo bene in faccia, gli feci la mia confessione come una ragazza grande e ricevetti la benedizione con molta devozione, perché lei mi aveva detto che in quel momento le lacrime di Gesù Bambino avrebbero purificato l’anima mia. Ricordo che la prima esortazione che mi fu rivolta fu l’invito soprattutto alla devozione della Vergine Santa, e io mi ripromisi di raddoppiare di tenerezza per lei. Uscendo dal confessionale ero tanto contenta e leggera, che mai avevo provato una gioia così grande nell’anima mia. Dopo tornai a confessarmi per tutte le feste grandi, ed era una vera festa per me ogni volta che ci andavo.
58 – Le feste! Quanti ricordi, in questa parola! Le feste, le amavo tanto! Lei mi sapeva spiegare così bene, Madre mia cara, tutti i misteri nascosti in ciascuna di esse, che diventavano davvero per me giorni di Cielo. Amavo soprattutto la processione del Santissimo. Che gioia spargere fiori sotto i passi del Signore! Ma prima di lasciarli cadere li lanciavo il più in alto possibile, e non ero mai tanto felice come vedendo le mie rose sfogliate che toccavano l’Ostensorio santo.
59 – Le feste! Ah, se quelle grandi erano rare, ogni settimana ne conduceva una molto cara al mio cuore: la Domenica! Che giornata era la Domenica! Era la festa di Dio, la festa del rtposo. Prima restavo a nanna più degli altri giorni, poi Mamma Paolina viziava la figlioletta portandole il cioccolato ancora tra le piume ed infine la vestiva come una regina in erba. La madrina veniva a fare i riccioli alla figlioccia che non sempre era buona e dolce quando le venivano tirati i capelli, ma poi era ben contenta d’andare a prendere la mano del suo re, il quale l’abbracciava ancor più teneramente del solito; dopo, tutta la famiglia partiva per la Messa. Lungo tutto il cammino, e perfino in chiesa, la reginetta di Papà gli dava la mano, e aveva posto accanto a lui. Quando scendevamo per la predica, bisognava trovare due seggiole una presso l’altra. Ciò non era difficile, poiché tutti trovavano così gradevole vedere un vecchio tanto bello con una frglioletta così piccina, che le persone si scomodavano per offrire un posto. Lo zio, il quale si trovava sulle panche dei camarlinghi, si rallegrava vedendoci arrivare, diceva che ero il suo piccolo raggio di sole… Io non mi preoccupavo affatto se ero guardata, ascoltavo con grande attenzione le prediche di cui tuttavia non capivo gran che; la prima che capii e che mi commosse profondamente, fu di Don Ducellier, sulla Passione: da allora capli tutte le altre.
60 – Quando il predicatore parlava di santa Teresa, Papà si chinava verso me, e mi diceva piano: «Ascolta bene, reginetta mia, parla della Santa tua Patrona». Ascoltavo, realmente, ma guardavo Papà più spesso del predicatore, il suo bel volto mi diceva tante cose! Qualche volta, gli occhi gli si empivano di lacrime, che egli si sforzava inutilmente di trattenere, pareva che già fosse staccato dalla terra, tanto l’anima sua sapeva immergersi nelle verità eterne. E tuttavia il suo corso di vita era ancora ben lungi dal giungere a compimento, dei lunghi anni dovevano trascorrere prima che il Cielo bello si aprisse agli occhi rapiti di lui, e che il Signore asciugasse le lacrime del suo servo buono e fedele!
61 – Ma torno alla Domenica. Quella giornata gioiosa che passava tanto rapida aveva pur la sua velatura di malinconia. Mi ricordo che la mia felicità era senza mescolanze fino a Compieta; durante quell’ufficio, pensavo che il giorno del riposo stava per finire, che l’indomani bisognava ricominciare la vita, lavorare, imparare, e il cuore sentiva l’esilio della terra, sospiravo pensando al riposo eterno del Cielo, la Domenica senza tramonto nella Patria… Persino le passeggiate che facevamo prima di rientrare ai Buissonnets, mi lasciavano un senso di tristezza nell’anima; allora la famiglia non era più completa, giacché, volendo fare piacere allo zio, Papà gli concedeva Maria o Paolina per la serata di domenica; ero ben contenta quando rimanevo anch’io. Anzi, preferivo così piuttosto che essere invitata sola, perché facevano meno attenzione a me. Il piacere più grande per me consisteva nell’ascoltare tutto ciò che lo zio diceva, ma non mi andava a genio che egli mi facesse delle domande, ed avevo paura quando mi faceva far cavallucdo e intonava Barba Blu con una voce formidabile. Con piacere vedevo Papà che ci veniva a prendere.
62 – Sulla via del ritorno, guardavo le stelle che scintillavano dolcemente, e quella vista mi rapiva. Soprattutto un grappolo di perle d’oro che distinguevo con gioia, mi pareva che avesse la forma di una T , lo facevo vedere a Papà e gli dicevo che il nome mio era scritto in cielo, e poi, non volendo più scorgere nulla della brutta terra, gli chiedevo che mi conducesse; allora, senza guardare dove mettevo i piedi, abbandonavo il viso proprio verso l’alto, senza stancarmi di contemplare il firmamento.
63 – Che potrò dire delle veglie d’inverno, soprattutto di quelle domenicali? Com’era dolce per me, dopo la partita a lama, stare seduta con Celina sulle ginocchia di Papà. Con la sua bella voce cantava delle arie che empivano l’anima di pensieri profondi, oppure, cullandoci dolcemente, diceva delle poesie improntate di verità eterne. Dopo, salivamo per fare la preghiera in comune, e la minuscola regina era sola accanto al suo re: non aveva che da guardarlo per sapere come pregano i santi… Finalmente sfilavamo tutte, per ordine di età, a dare la buona notte a Papà e a ricevere un bacio; la regina veniva, naturalmente, per ultima, il re, per abbracciarla, la prendeva per i gomiti, e lei diceva a tutto fiato: «Buona notte, Papà, buona notte, dormi bene!»… Tutte le sere le stesse parole. Finalmente la Mammina mia mi prendeva tra le braccia e mi portava nel letto di Celina, allora dicevo: «Paolina, sono stata proprio buona, oggi? Gli angiolini mi voleranno intorno stanotte?». La risposta era sempre: «sì», altrimenti avrei passato la notte intera a piangere. Dopo avermi abbracciata – e così faceva anche la cara mia Madrina – Paolina discendeva, e la povera Teresa restava sola nel buio; aveva un bel raffigurarsi gli angiolini che le volavano intorno, ben presto lo sgomento la invadeva, le tenebre la impaurivano, perché dal letto non riusciva a vedere le stelle che scintillavano con tanta dolcezza.
64 – Considero una vera grazia di essere stata abituata lei, Madre cara, a vincere i miei timori; a volte lei mi mandava sola, di sera, a cercare un oggetto in una stanza lontana; se non fossi stata così ben diretta, sarei diventata pavidissima, mentre ora è proprio difficile che mi spaventi. Mi domando, a volte, come lei abbia potuto educarmi con tanto amore e delicatezza senza viziarmi, perché è vero che lei non mi condonava nemmeno una sola imperfezione: mai mi rimproverava senza ragione, ma altresì mai tornava su cosa decisa; lo sapevo tanto bene che non avrei potuto né voluto fare un passo se lei me l’avesse proibito. Papà stesso era costretto a conformarsi alla volontà di lei, perché senza il consenso di Paolina non andavo a spasso, e quando Papà mi diceva di andarci, rispondevo: «Paolina non vuole»; allora veniva lui a chiedere grazia per me; qualche volta, per fargli piacere, Paolina diceva di si, ma Teresa capiva bene, dall’espressione di lei, che quel sì non era detto a cuor convinto e si metteva a piangere senza accettar conforto fino a quando Paolina dicesse «sì» e l’abbracciasse a cuore convinto.
65 – Quando Teresa si ammalava, ciò che le accadeva tutti gli inverni, non si può dire con quanta tenerezza materna veniva curata. Paolina la metteva nel proprio letto (favore incomparabile), e poi le dava tutto quello di cui aveva voglia. Un giorno tirò fuori da sotto il traversino un temperino graziosissimo, e lo regalò alla figlioletta, lasciandola immersa in un rapimento indescrivibile. «Ah, Paolina, tu mi vuoi tanto bene, dunque, giacché ti privi per me del tuo bel coltellino che ha una stella di madreperla? Ma poiché mi ami così, lo faresti il sacrificio del tuo orologio per impedirmi di morire?». – «Non soltanto per impedirti di morire darei il mio orologio, bensì soltanto per vederti presto guarita, farei subito tale sacrificio». Ascoltando queste parole di Paolina il mio stupore e la mia riconoscenza erano tanto grandi che non so esprimerli. D’estate, qualche volta, avevo mal di stomaco, e Paolina mi curava, come al solito, teneramente; per divertirmi, ciò che era la cura migliore, mi faceva fare il giro del giardino in carriola e poi mi faceva scendere, e metteva al posto mio un bel cespo di margherite che sospingeva con molta precauzione fino al mio giardino dove lo deponeva con grande pompa…
66 – Paolina riceveva tutte le mie confidenze intime, e gettava luce su tutti i miei dubbi. Una volta mi meravigliavo che il Signore non dia gloria uguale in Cielo a tutti gli eletti, e temevo che non tutti fossero felici; allora Paolina mi disse di andare a prendere il bicchiere grande di Papà e di metterlo accanto al mio piccolissimo ditale, poi di riempirli di acqua tutti due; e mi domandò: «Quale è più pieno?». Le risposi che erano pieni tutti e due, e che non si poteva mettere più acqua di quanta ne potevano contenere. La mia cara Madre mi fece capire così che il buon Dio dà in Cielo ai suoi eletti tanta gloria quanta possono riceverne, e che l’ultimo non avrà niente da invidiare al primo. In tal modo, mettendo alla mia portata le verità più sublimi, lei, Madre, sapeva dare all’anima mia il nutrimento che le occorreva.
67 – Con quanta gioia vedevo ogni anno arrivare la distribuzione dei premi! In questo, come in tutto, la giustizia era rispettata ed io ottenevo soltanto le ricompense meritate; sola, in piedi in mezzo alla nobile assemblea ascoltavo la sentenza letta dal «Re di Francia e di Navarra»; il cuore mi batteva forte quando ricevevo il premio e la corona… era, per me, come una immagine del Giudizio! Subito dopo la distribuzione, la reginetta si toglieva il suo abito bianco, poi si affrettavano a travestirla affinché potesse prendere parte alla grande rappresentazione! Com’erano gioiose quelle feste di famiglia! Allora, vedendo il mio re caro così radioso, com’ero lontana dal prevedere le prove che dovevano visitarlo!
68 – Tuttavia, un giorno il Signore mi mostrò in una visione davvero straordinaria, l’immagine vivente della prova che egli si compiaceva di prepararci Papà era in viaggio da vari giorni, ne dovevano passare ancora due prima che tornasse. Potevano essere le due o le tre del pomeriggio, il sole sfolgorava e tutta la natura pareva in festa. Mi trovavo sola alla finestra d’una soffitta che dava sul giardino grande; guardavo dinanzi a me, avevo lo spirito occupato da pensieri ridenti, quando vidi, dinanzi alla lavanderia che si trovava proprio di faccia, un uomo vestito in tutto e per tutto come Papà, medesima statura e identico passo, soltanto molto più curvo. La testa era coperta da una specie di grembiule di colore incerto, in modo che non potei vedere il viso. Portava un cappello simile a quello di Papà. Lo vidi venire avanti d’un passo regolare, lungo il giardinetto mio. Subito un sentimento di timore soprannaturale m’invase l’anima, ma in un attimo riflettei che certamente Papà era tornato, e si nascondeva per farmi una sorpresa; allora chiamai forte forte, con una voce che tremava dall’emozione: «Papà, Papà!… ». Ma il personaggio misterioso non pareva udisse, continuò il suo passo regolare senza neppure voltarsi; seguendolo con gli occhi, lo vidi dirigersi verso il boschetto che tagliava in due il viale grande, io mi aspettavo di vederlo rispuntare dall’altra parte dei grandi alberi, ma la visione profetica era svanita! Tutto ciò durò un istante solo, ma mi s’impresse così profondamente nel cuore che oggi, dopo quindici anni… il ricordo è ancora presente come se la visione stesse dinanzi agli occhi.
69 – Maria era con lei, Madre, in una stanza comunicante con quella nella quale mi trovavo io; nel sentirmi gridare «Papà», ebbe un’impressione di paura, intuendo – mi ha detto in seguito – che qualcosa accadeva di straordinario; senza farmi vedere la sua emozione, accorse a me, mi domandò che cosa mi prendeva di chiamare Papà il quale era ad Alenncon; allora raccontai ciò che avevo visto. Per rassicurarmi Maria mi disse che certamente era Vittoria che, per farmi paura, si era coperta il capo col grembiule; ma Vittoria, interrogata, affermò di non aver lasciato la cucina; d’altra parte, ero ben sicura d’aver visto un uomo e che quell’uomo aveva l’aspetto di Papà, allora andammo tutte tre dietro il folto degli alberi, ma non trovando nessun segno che indicasse il passaggio di qualcuno, lei mi disse di non pensarci più.
70 – Non pensarci più non era in mio potere; di frequente l’immaginazione mi ripresentava la scena misteriosa che avevo visto, e ben spesso ho cercato di alzare il velo che mi nascondeva il significato di essa, perché rimanevo convinta in fondo al cuore che quella scena avesse un senso, e che il segreto di essa mi sarebbe stato svelato un giorno… Quel giorno si è fatto attendere lungamente, ma dopo quattordici anni il Signore ha strappato egli stesso il velo misterioso. Trovandomi in «licenza» con suor Maria del Sacro Cuore, parlavamo come sempre delle cose dell’altra vita e delle nostre memorie fanciullesche, quando le ricordai la visione che avevo avuta all’età da sei a sette anni; a un tratto, mentre riferivo i particolari di questa scena strana, capimmo insieme ciò che significava. Era proprio Papa che avevo visto, camminare curvo per l’età, proprio lui che portava sul volto venerabile, sulla testa ormai bianca, il segno della sua prova gloriosa. Come il Volto adorabile di Gesù che fu velato durante la Passione, così il volto del suo servo fedele doveva essere velato nei giorni del dolore, per potere poi splendere nella Patria celeste presso il suo Signore, il Verbo Eterno! Dal seno di quella gloria ineffabile quando regnava nel Cielo, il nostro Babbo amato ci ha ottenuto la grazia di capire la visione avuta dalla sua reginetta in una età in cui non si può temere l’illusione. Dall’intimo della sua gloria ci ha ottenuto questa dolce consolazione di capire che dieci anni prima della nostra grande prova, il Signore ce la mostrava già, come un Padre fa intravedere ai figli l’avvenire glorioso che prepara per essi, e si compiace considerando in anticipo le ricchezze inestimabili che apparterranno loro.
71 – Ah! perché il buon Dio ha dato proprio a me quella luce? Perché ha mostrato a una bambina tanto piccola una cosa incomprensibile per lei, una cosa che, se l’avesse capita, l’avrebbe fatta morire di dolore, perché?… Ecco uno dei misteri che senza dubbio capiremo nel Cielo, e che formerà la nostra eterna ammirazione.
72 – Quanto è buono il Signore! Come proporziona le prove alle forze che ci dà! Mai, come ho detto, avrei potuto sopportare nemmeno il solo pensiero delle pene amare che l’avvenire mi riservava. Non potevo nemmeno pensare senza fremere che Papà poteva morire. Una volta era salito sopra una scala e, poiché io rimanevo proprio li sotto, mi gridò: «Allontanati, povero cosino, se casco ti schiaccio». All’udir ciò provai una rivolta interiore, invece di allontanarmi mi appiccicai alla scala pensando: «Almeno se papà cade, non avrò il dolore di vederlo morire, perché morrò con lui!». Non posso dire quanto bene volevo a Papà, tutto, in lui, mi suscitava ammirazione; quando mi spiegava i suoi pensieri (come se fossi stata una bambina grande), gli dicevo ingenuamente che certamente se egli avesse detto quelle cose ai grandi uomini del governo, lo avrebbero preso per farlo re, e allora la Francia sarebbe stata felice come non lo era mai stata… Ma in fondo ero contenta (e me lo rimproveravo come pensiero egoistico) di essere la sola a conoscere bene Papà, perché sapevo che se fosse divenuto re di Francia e di Navarra sarebbe stato infelice: è la sorte di
tutti i monarchi e soprattutto non sarebbe stato più il mio re, proprio di me sola!
73 – Avevo sei o sette anni quando Papà ci condusse a Trouville. Mai dimenticherò l’impressione che mi fece il mare, non potevo fare a meno di guardarlo continuamente; la sua maestà, il fragore dei flutti, tutto parlava all’anima mia della grandezza e della potenza di Dio. Ricordo che, durante la passeggiata sulla spiaggia, un signore e una signora mi guardarono mentre correvo gioiosamente intorno a Papà; poi si avvicinarono, e gli domandarono se ero sua, e dissero che ero proprio una bella bambina. Papà rispose di sì, ma mi accorsi che faceva loro segno di non farmi dei complimenti. Era la prima volta che mi sentivo chiamare carina, mi fece molto piacere, perché non l’avrei creduto; lei, Madre mia, faceva tanta attenzione a non lasciarmi vicino nessuna cosa che potesse appannare la mia innocenza, soprattutto a non lasciarmi udire nessuna parola cap
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