Udienza Generale 13 dicembre 1978
Autore: San Giovanni Paolo II
1.Già per la terza volta in questi nostri incontri del mercoledì, riprendo il tema dell’Avvento, seguendo il ritmo della Liturgia, che nel modo più semplice e insieme più profondo ci introduce nella vita della Chiesa. Il Concilio Vaticano II, che ci ha dato una dottrina ricca e universale sulla Chiesa, ha richiamato la nostra attenzione anche sulla Liturgia. Attraverso essa conosciamo non soltanto che cosa sia la Chiesa, ma sperimentiamo, giorno per giorno, ciò di cui essa vive. Anche noi ne viviamo perché siamo la Chiesa: “La Liturgia… contribuisce in sommo grado a che i fedeli esprimano nella loro vita e manifestino agli altri il mistero di Cristo e la genuina natura della vera Chiesa, che ha la caratteristica di essere, nello stesso tempo, umana e divina, visibile ma dotata di realtà invisibili, fervente nell’azione e dedita alla contemplazione, presente nel mondo e, tuttavia, pellegrina” (Sacrosanctum Concilium, 2).
Ora la Chiesa vive l’Avvento e perciò i nostri incontri del mercoledì sono centrati su tale periodo liturgico. L’Avvento significa “venuta”. Per penetrare la realtà dell’Avvento, abbiamo finora cercato di guardare in direzione di chi viene e per chi viene. Abbiamo quindi parlato di un Dio, che creando il mondo rivela se stesso: di un Dio Creatore. E mercoledì scorso abbiamo parlato dell’uomo. Oggi proseguiremo, per trovare una risposta più completa alla domanda: perché l’“Avvento”? perché Dio viene? perché vuol venire all’uomo?
La liturgia dell’Avvento si fonda principalmente sui testi dei profeti dell’Antico Testamento. In essa parla quasi ogni giorno il profeta Isaia. Egli era, nella storia del Popolo di Dio dell’antica alleanza, un particolare “interprete” della promessa, che questo Popolo aveva da tempo ottenuto da Dio nella persona del suo capostipite: Abramo. Come tutti gli altri profeti, e forse più di tutti, Isaia rafforzava nei suoi contemporanei la fede nelle promesse di Dio confermate dall’alleanza ai piedi del monte Sinai. Egli insegnava soprattutto la perseveranza nell’attesa e la fedeltà: “Popolo di Sion, il Signore verrà a salvare i popoli e farà sentire la sua voce potente per la gioia del vostro cuore” (cf. Is 30,19.30).
Quando Cristo era nel mondo più volte fece riferimento alle parole di Isaia. Diceva chiaramente: “Oggi si è adempiuta questa scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi” (Lc 4,21).
2.La liturgia dell’Avvento è di carattere storico. L’attesa della venuta dell’Unto (Messia) fu un processo storico. Essa infatti ha permeato tutta la storia d’Israele, che fu eletto proprio al fine di preparare la venuta del Salvatore.
Le nostre considerazioni vanno però, in un certo modo, oltre la liturgia quotidiana dell’Avvento. Ritorniamo quindi alla domanda basilare: perché Dio viene? Perché egli vuole venire all’uomo, alla umanità? A queste domande cerchiamo risposte adeguate e le cerchiamo negli inizi stessi, cioè prima ancora che cominciasse la storia del Popolo eletto. Quest’anno, la nostra attenzione è rivolta ai primi capitoli del libro della Genesi. L’Avvento “storico” non sarebbe comprensibile senza un’accurata lettura e analisi di quei capitoli.
Quindi, cercando una risposta alla domanda: “perché” l’Avvento? dobbiamo ancora una volta rileggere attentamente tutta la descrizione della creazione del mondo e, in particolare, della creazione dell’uomo. È significativo (quanto ho già avuto occasione di accennare) come i singoli giorni della creazione finiscano col constatare: “Dio vide che era cosa buona”; e, dopo la creazione dell’uomo: “…vide che era cosa molto buona”. Tale constatazione, come ho già detto la scorsa settimana, si unisce alla benedizione del creato, e soprattutto a un’esplicita benedizione dell’uomo.
In tutta questa descrizione sta davanti a noi un Dio che, per usare l’espressione di San Paolo, si compiace della verità, del bene (cf. 1Cor 13,6). Là dove è la gioia, che scaturisce dal bene, là c’è l’amore. E solo là dove c’è l’amore, c’è la gioia che viene dal bene. Il libro della Genesi, fin dai suoi primi capitoli, ci rivela Dio che è Amore (benché di tale espressione si servirà molto più tardi San Giovanni). Egli è Amore, perché gioisce del bene. La creazione è quindi insieme un’autentica donazione: là dove c’è amore, c’è dono.
Il libro della Genesi indica l’inizio dell’esistenza del mondo e dell’uomo. Interpretandola dobbiamo senz’altro, come ha fatto San Tommaso d’Aquino, costruire una conseguente filosofia dell’essere, filosofia nella quale verrà espresso l’ordine stesso dell’esistenza. Tuttavia il libro della Genesi parla della creazione come dono. Dio che crea il mondo visibile è donatore; e l’uomo è colui che riceve il dono. Egli è colui per il quale Dio crea il mondo visibile, colui che Dio, sin dagli inizi, introduce non soltanto nell’ordine della esistenza, ma anche nell’ordine della donazione. Il fatto che l’uomo è “immagine e somiglianza” di Dio significa, fra l’altro, che è in grado di ricevere il dono, che è sensibile a questo dono, e che è capace di ricambiarlo. Perciò proprio Dio fin dall’inizio stabilisce con l’uomo, e solo con lui, l’alleanza. Il libro della Genesi ci rivela non soltanto l’ordine naturale della esistenza, ma in pari tempo, fin dall’inizio l’ordine soprannaturale della grazia. Della grazia possiamo parlare solamente se ammettiamo la realtà del Dono. Ricordiamo dal catechismo: la grazia è il dono soprannaturale di Dio per cui diventiamo figli di Dio ed eredi del cielo.
3.Quale legame ha tutto ciò con l’Avvento? possiamo giustamente chiederci. Rispondo: l’Avvento si è delineato per la prima volta all’orizzonte della storia dell’uomo, quando Dio rivelò se stesso come Colui che si compiace del bene, che ama e che dona.
In questo dono all’uomo Dio non si è limitato a “dargli” il mondo visibile – questo è chiaro fin dall’inizio – ma dando all’uomo il mondo visibile, Dio vuole dargli anche Se stesso, così come l’uomo è capace di darsi, così come “dona se stesso” all’altro uomo: da persona a persona; cioè dare Se stesso a lui, ammettendolo alla partecipazione ai suoi misteri, anzi alla partecipazione alla sua vita. Questo si attua in modo tangibile nelle relazioni tra familiari: marito-moglie, genitori-figli. Ecco perché i profeti si riferiscono molto spesso a tali relazioni, per mostrare la vera immagine di Dio.
L’ordine della grazia è possibile solo “nel mondo delle persone”. Esso riguarda il dono che tende sempre alla formazione e alla comunione delle persone; infatti il libro della Genesi ci presenta una tale donazione. La forma di questa “comunione delle persone” è in esso delineata fin dal principio. L’uomo è chiamato alla familiarità con Dio, all’intimità e amicizia con lui. Dio vuole essergli vicino. Vuole renderlo partecipe dei suoi disegni. Vuole renderlo partecipe della sua vita. Vuole renderlo felice della sua stessa felicità (del suo stesso Essere).
Per tutto questo è necessaria la Venuta di Dio, e l’attesa dell’uomo: la disponibilità dell’uomo. Sappiamo che il primo uomo, che godeva della originaria innocenza e di una particolare vicinanza del suo Creatore, non ha dimostrato questa disponibilità. Questa prima alleanza di Dio con l’uomo è stata interrotta, ma non è cessata da parte di Dio la volontà di salvare l’uomo. Non si è spezzato l’ordine della grazia, e perciò l’Avvento dura sempre.
La realtà dell’Avvento viene tra l’altro espressa dalle seguenti parole di San Paolo: “Dio… vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità” (1Tm 2,4).
Quel “Dio vuole” è proprio l’Avvento, e si trova alla base di ogni avvento.