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Il buon pastore: Dio l’Altissimo e il Sapientissimo

Udienza Generale 20 novembre 2002

Autore: San Giovanni Paolo II

Consolate, consolate il mio popolo, dice il vostro Dio.
2 Parlate al cuore di Gerusalemme, e proclamatele che il tempo della sua servitù è compiuto; che il debito della sua iniquità è pagato, ch’ella ha ricevuto dalla mano dell’Eterno il doppio per tutti i suoi peccati.
3 La voce d’uno grida: ‘Preparate nel deserto la via dell’Eterno, appianate ne’ luoghi aridi una strada per il nostro Dio!
4 Ogni valle sia colmata, ogni monte ed ogni colle siano abbassati; i luoghi erti siano livellati, i luoghi scabri diventino pianura.
5 Allora la gloria dell’Eterno sarà rivelata, e ogni carne, ad un tempo, la vedrà; perché la bocca dell’Eterno l’ha detto’.
6 Una voce dice: ‘Grida!’ E si risponde: ‘Che griderò?’ ‘Grida che ogni carne è come l’erba, e che tutta la sua grazia è come il fiore del campo.
7 L’erba si secca, il fiore appassisce quando il soffio dell’Eterno vi passa sopra; certo, il popolo è come l’erba.
8 L’erba si secca, il fiore appassisce, ma la parola del nostro Dio sussiste in eterno’.
9 O tu che rechi la buona novella a Sion, sali sopra un alto monte! O tu che rechi la buona novella a Gerusalemme, alza forte la voce! Alzala, non temere! Di’ alle città di Giuda: ‘Ecco il vostro Dio!’
10 Ecco, il Signore, l’Eterno, viene con potenza, e col suo braccio Ei domina. Ecco, la sua mercede è con lui, e la sua ricompensa lo precede.
11 Come un pastore, egli pascerà il suo gregge; raccoglierà gli agnelli in braccio, se li torrà in seno, e condurrà pian piano le pecore che allattano.
12 Chi ha misurato le acque nel cavo della sua mano o preso le dimensioni del cielo con la spanna? Chi ha raccolto la polvere della terra in una misura o pesato le montagne con la stadera ed i colli con la bilancia?
13 Chi ha preso le dimensioni dello spirito dell’Eterno o chi gli è stato consigliere per insegnargli qualcosa?
14 Chi ha egli consultato perché gli desse istruzione e gl’insegnasse il sentiero della giustizia, gl’impartisse la sapienza, e gli facesse conoscere la via del discernimento?
15 Ecco, le nazioni sono, agli occhi suoi, come una gocciola della secchia, come la polvere minuta delle bilance; ecco, le isole son come pulviscolo che vola.
16 Il Libano non basterebbe a procurar il fuoco, e i suoi animali non basterebbero per l’olocausto.
17 Tutte le nazioni son come nulla dinanzi a lui; ei le reputa meno che nulla, una vanità.
18 A chi vorreste voi assomigliare Iddio? e con quale immagine lo rappresentereste?
19 Un artista fonde l’idolo, l’orafo lo ricopre d’oro e vi salda delle catenelle d’argento.
20 Colui che la povertà costrinse ad offrir poco sceglie un legno che non marcisca, e si procura un abile artista, che metta su un idolo che non si smova.
21 Ma non lo sapete? non l’avete sentito? Non v’è stato annunziato fin dal principio? Non avete riflettuto alla fondazione della terra?
22 Egli è colui che sta assiso sul globo della terra, e gli abitanti d’essa sono per lui come locuste; egli distende i cieli come una cortina, e li spiega come una tenda per abitarvi;
23 egli riduce i principi a nulla, e annienta i giudici della terra;
24 appena piantati, appena seminati, appena il loro fusto ha preso radici in terra, Egli vi soffia contro, e quelli seccano, e l’uragano li porta via come stoppia.
25 A chi dunque mi vorreste assomigliare perch’io gli sia pari? dice il Santo.
26 Levate gli occhi in alto, e guardate: Chi ha create queste cose? Colui che fa uscir fuori, e conta il loro esercito, che le chiama tutte per nome; e per la grandezza del suo potere e per la potenza della sua forza, non una manca.
27 Perché dici tu, o Giacobbe, e perché parli così, o Israele: ‘La mia via è occulta all’Eterno e al mio diritto non bada il mio Dio?’
28 Non lo sai tu? non l’hai tu udito? L’Eterno è l’Iddio d’eternità, il creatore degli estremi confini della terra. Egli non s’affatica e non si stanca; la sua intelligenza è imperscrutabile.
29 Egli dà forza allo stanco, e accresce vigore a colui ch’è spossato.
30 I giovani s’affaticano e si stancano; i giovani scelti vacillano e cadono,
31 ma quelli che sperano nell’Eterno acquistan nuove forze, s’alzano a volo come aquile; corrono e non si stancano, camminano e non s’affaticano.

 

Carissimi Fratelli e Sorelle!

1. Nel libro del grande profeta Isaia, vissuto nell’ottavo secolo a.C., sono raccolte le voci anche di altri profeti, suoi discepoli e continuatori. È il caso di colui che gli studiosi della Bibbia hanno chiamato «il Secondo Isaia», il profeta del ritorno di Israele dall’esilio babilonese, che avvenne nel sesto secolo a.C. La sua opera costituisce i capitoli 40-55 del libro di Isaia ed appunto dal primo di questi capitoli è desunto il Cantico entrato nella Liturgia delle Lodi e poc’anzi proclamato.

Questo Cantico si compone di due parti: i primi due versetti provengono dalla fine di un bellissimo oracolo di consolazione che annunzia il ritorno degli esiliati a Gerusalemme, sotto la guida di Dio stesso (cfr Is 40,1-11). I versetti successivi formano l’inizio di un discorso apologetico, che esalta l’onniscienza e l’onnipotenza di Dio e, d’altra parte, sottopone a dura critica i fabbricatori di idoli.

2. All’inizio dunque del testo liturgico appare la figura potente di Dio, che torna a Gerusalemme preceduto dai suoi trofei, come Giacobbe era tornato in Terra Santa preceduto dai suoi greggi (cfr Gn 31,17; 32,17). I trofei di Dio sono gli Ebrei esiliati, che Egli ha strappato dalla mano dei loro conquistatori. Dio è quindi dipinto «come un pastore» (Is 40,11). Frequente nella Bibbia e in altre antiche tradizioni, questa immagine evoca l’idea di guida e di dominio, ma qui i tratti sono soprattutto teneri e appassionati, perché il pastore è anche il compagno di viaggio delle sue pecore (cfr Sal 22). Egli si cura del gregge, non solo nutrendolo e preoccupandosi che non si disperda, ma anche chinandosi con tenerezza sugli agnellini e sulle pecore madri (cfr Is 40,11).

3. Conclusa la descrizione dell’ingresso in scena del Signore re e pastore, ecco la riflessione sul suo agire come Creatore dell’universo. Nessuno può stare alla pari con lui in quest’opera grandiosa e colossale: non certo l’uomo, ed ancor meno gli idoli, esseri morti e impotenti. Il profeta ricorre poi a una serie di interrogazioni retoriche, nelle quali cioè è già inclusa la risposta. Esse sono pronunziate in una sorta di processo: nessuno può competere con Dio e arrogarsi il suo immenso potere o la sua illimitata sapienza.

Nessuno è in grado di misurare l’immenso universo creato da Dio. Il profeta fa capire come gli strumenti umani siano ridicolmente inadeguati per questo compito. D’altra parte, Dio è stato un artefice solitario; nessuno è stato in grado di aiutarlo o di consigliarlo in un progetto così immenso com’è quello della creazione cosmica (cfr vv. 13-14).

Nella sua diciottesima Catechesi battesimale san Cirillo di Gerusalemme, sulla base del nostro Cantico, invita a non misurare Dio con il metro della nostra limitatezza umana: «Per te, uomo così piccolo e debole, la distanza dalla Gotia all’India, dalla Spagna alla Persia, è grande, ma per Dio, che tiene in mano tutto il mondo, ogni terra è vicina» (Le catechesi, Roma 1993, p. 408).

4. Dopo aver celebrato l’onnipotenza di Dio nella creazione, il profeta delinea la sua signoria sulla storia, cioè sulle nazioni, sull’umanità che popola la terra. Gli abitanti dei territori noti, ma anche quelli di regioni remote, che la Bibbia chiama «isole» lontane, sono una realtà microscopica rispetto alla grandezza infinita del Signore. Le immagini sono brillanti e intense: i popoli sono «come una goccia da un secchio», «il pulviscolo sulla bilancia», «un granello di polvere» (Is 40,15).
Nessuno sarebbe in grado di approntare un sacrificio degno di questo grandioso Signore e re: non basterebbero tutte le vittime sacrificali della terra, né tutte le foreste di cedri del Libano per accendere il fuoco di questo olocausto (cfr v. 16). Il profeta riporta l’uomo alla coscienza del suo limite di fronte all’infinita grandezza e alla sovrana onnipotenza di Dio. La conclusione è lapidaria: «Tutte le nazioni sono come un nulla davanti a lui, come niente e vanità sono da lui ritenute» (v. 17).

5. Il fedele è, dunque, invitato, fin dall’inizio della giornata, all’adorazione del Signore onnipotente. San Gregorio di Nissa, Padre della Chiesa di Cappadocia (IV secolo), così meditava le parole del Cantico di Isaia: «Allorquando sentiamo pronunciare la parola “onnipotente”, noi pensiamo al fatto che Dio tiene insieme tutte le cose nell’esistenza, sia quelle intelligibili, sia quelle che appartengono alla creazione materiale. Per questo motivo, infatti, egli tiene il circolo della terra, per questo motivo egli ha nella mano i confini della terra, per questo motivo egli contiene il cielo con un pugno, per questo motivo egli misura l’acqua con la mano, per questo motivo egli comprende in se stesso tutta la creazione intellettuale: perché tutte le cose rimangano nell’esistenza, tenute con potenza dalla potenza che le abbraccia» (Teologia trinitaria, Milano 1994, p. 625).

San Girolamo, dal canto suo, si ferma stupito di fronte a un’altra sorprendente verità: quella di Cristo, che, «pur essendo di natura divina… spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini» (Fil 2,6-7). Quel Dio infinito e onnipotente – egli annota – si è fatto piccolo e limitato. San Girolamo lo contempla nella stalla di Betlemme ed esclama: «Lui che in un pugno racchiude l’universo, eccotelo racchiuso in un’angusta mangiatoia» (Lettera 22, 39, in: Opere scelte, I, Torino 1971, p. 379).

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