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La gioia di coloro che entrano nel tempio

Udienza Generale 7 novembre 2001

Autore: San Giovanni Paolo II

Salmo 109

1 Di Davide. Salmo.
Oracolo del Signore al mio Signore:
«Siedi alla mia destra,
finché io ponga i tuoi nemici
a sgabello dei tuoi piedi».
2 Lo scettro del tuo potere
stende il Signore da Sion:
«Domina in mezzo ai tuoi nemici.
3 A te il principato
nel giorno della tua potenza
tra santi splendori;
dal seno dell’aurora,
come rugiada, io ti ho generato».
4 Il Signore ha giurato
e non si pente:
«Tu sei sacerdote per sempre
al modo di Melchisedek».
5 Il Signore è alla tua destra,
annienterà i re nel giorno della sua ira.
6 Giudicherà i popoli:
in mezzo a cadaveri
ne stritolerà la testa su vasta terra.
7 Lungo il cammino si disseta al torrente
e solleva alta la testa.

Carissimi Fratelli e Sorelle!

1. La tradizione di Israele ha imposto all’inno di lode ora proclamato il titolo di “Salmo per la todáh”, cioè per il rendimento di grazie nel canto liturgico, per cui ben s’adatta a essere intonato nelle Lodi mattutine. Nei pochi versetti di questo gioioso inno si possono identificare tre elementi significativi, tali da rendere spiritualmente fruttuoso il suo uso da parte della comunità orante cristiana.

2. C’è innanzitutto l’appello pressante alla preghiera, nettamente descritta in dimensione liturgica. Basta elencare i verbi all’imperativo che scandiscono il Salmo e si accompagnano con indicazioni di ordine cultuale: “Acclamate…, servite il Signore nella gioia, presentatevi a lui con esultanza. Riconoscete che il Signore è Dio… Varcate le sue porte con inni di grazie, i suoi atri con canti di lode, lodatelo, benedite il suo nome” (vv. 2-4). Una serie di inviti non solo a penetrare nell’area sacra del tempio attraverso le porte e i cortili (cfr Sal 14,1; 23,3.7-10), ma anche ad inneggiare a Dio festosamente.
È una specie di filo costante di lode che non si spezza mai, esprimendosi in una continua professione di fede e di amore. Una lode che dalla terra sale verso Dio, ma che insieme nutre l’animo del credente.

3. Una seconda piccola nota vorrei riservare all’avvio stesso del canto, ove il Salmista chiama tutta la terra ad acclamare il Signore (cfr v. 1). Certo, il Salmo fisserà poi la sua attenzione sul popolo dell’elezione, ma l’orizzonte coinvolto nella lode è universale, come non di rado avviene nel Salterio, in particolare nei cosiddetti “inni al Signore re” (cfr Sal 95-98). Il mondo e la storia non sono in mano al fato, al caos, a una cieca necessità. Sono, invece, governati da un Dio misterioso, sì, ma insieme desideroso che l’umanità viva stabilmente secondo rapporti giusti e autentici: Egli “sorregge il mondo, perché non vacilli; giudica le nazioni con rettitudine… Giudicherà il mondo con giustizia e con verità tutte le genti” (Sal 95,10.13).

4. Tutti siamo, perciò, nelle mani di Dio, Signore e Re, e tutti lo celebriamo, nella fiducia che egli non ci lascerà cadere dalle sue mani di Creatore e di Padre. In questa luce si può meglio apprezzare il terzo elemento significativo del Salmo. Al centro della lode che il Salmista pone sulle nostre labbra, vi è infatti una specie di professione di fede, espressa attraverso una serie di attributi che definiscono la realtà intima di Dio. Questo credo essenziale contiene i seguenti asserti: il Signore è Dio, il Signore è il nostro creatore, noi siamo il suo popolo, il Signore è buono, il suo amore è eterno, la sua fedeltà non ha fine (cfr vv. 3-5).

5. Si ha innanzitutto una rinnovata confessione di fede nell’unico Dio, come richiesto dal primo comandamento del Decalogo: “Io sono il Signore, tuo Dio… Non avrai altri dèi di fronte a me” (Es 20,2.3). E come si ripete spesso nella Bibbia: “Sappi dunque oggi e conserva bene nel cuore che il Signore è Dio lassù nei cieli e quaggiù sulla terra: e non ve n’è altro” (Dt 4,39). Si proclama poi la fede nel Dio creatore, sorgente dell’essere e della vita. Segue l’affermazione, espressa attraverso la cosiddetta “formula del patto”, della certezza che Israele ha dell’elezione divina: “Noi siamo suoi, suo popolo e gregge del suo pascolo” (v. 3). È certezza che i fedeli del nuovo Popolo di Dio fanno propria, nella consapevolezza di costituire il gregge che il Pastore supremo delle anime conduce ai pascoli eterni del cielo (cfr 1Pt 2,25).

6. Dopo la proclamazione del Dio uno, creatore e fonte dell’alleanza, il ritratto del Signore cantato dal nostro Salmo prosegue con la meditazione di tre qualità divine spesso esaltate nel Salterio: la bontà, l’amore misericordioso (hésed), la fedeltà. Sono le tre virtù che caratterizzano l’alleanza di Dio col suo popolo; esse esprimono un legame che non s’infrangerà mai, dentro il flusso delle generazioni e nonostante il fiume fangoso dei peccati, delle ribellioni e delle infedeltà umane. Con serena fiducia nell’amore divino che non verrà mai meno, il popolo di Dio s’incammina nella storia con le sue tentazioni e debolezze quotidiane.

E questa fiducia si fa canto, al quale talvolta le parole non bastano più, come osserva sant’Agostino: “Quanto più aumenterà la carità, tanto più ti renderai conto che tu dicevi e non dicevi. Infatti prima di assaporare certe cose credevi di poter utilizzare delle parole per indicare Dio; quando invece hai cominciato a sentirne il gusto, ti sei accorto che non sei in grado di spiegare adeguatamente ciò che provi. Ma se ti accorgerai di non saper esprimere a parole quel che provi, dovrai forse per questo tacere e non lodare?… Assolutamente no. Non sarai così ingrato. A lui è dovuto l’onore, il rispetto, la lode più grande… Ascolta il Salmo: ‘Terra tutta, giubilate al Signore!’. Comprenderai il giubilo di tutta la terra, se tu stesso giubili al Signore” (Esposizioni sui Salmi III/1, Roma 1993, p. 459).

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