Udienza Generale del 5 settembre 2007
San Gregorio di Nissa (2)
Autore: Papa Benedetto XVI
Cari fratelli e sorelle, vi propongo alcuni aspetti della dottrina di san Gregorio Nisseno, del quale abbiamo già parlato mercoledì scorso. Anzitutto Gregorio di Nissa manifesta una concezione molto elevata della dignità dell’uomo. Il fine dell’uomo, dice il santo Vescovo, è quello di rendersi simile a Dio, e questo fine lo raggiunge anzitutto attraverso l’amore, la conoscenza e la pratica delle virtù, «raggi luminosi che discendono dalla natura divina» (Le Beatitudini 6), in un movimento perpetuo di adesione al bene, come il corridore è proteso in avanti. Gregorio usa, a questo riguardo, un’efficace immagine, presente già nella Lettera di Paolo ai Filippesi: epekteinómenos (3,13), cioè «protendendomi» verso ciò che è più grande, verso la verità e l’amore. Questa icastica espressione indica una realtà profonda: la perfezione che vogliamo trovare non è una cosa conquistata per sempre; perfezione è questo rimanere in cammino, è una continua disponibilità ad andare avanti, perché non si raggiunge mai la piena somiglianza con Dio: siamo sempre in cammino (cfr Om. sul Cantico 12). La storia di ogni anima è quella di un amore ogni volta colmato, e allo stesso tempo aperto su nuovi orizzonti, perché Dio dilata continuamente le possibilità dell’anima, per renderla capace di beni sempre maggiori. Dio stesso, che ha deposto in noi i germi di bene, e dal quale parte ogni iniziativa di santità, «modella il blocco … Limando e pulendo il nostro spirito, forma in noi il Cristo» (Sui Salmi 2,11). Gregorio si preoccupa di precisare: «Non è in effetti opera nostra, e non è neppure la riuscita di una potenza umana divenire simili alla Divinità, ma è il risultato della munificenza di Dio, che fin dalla sua prima origine ha fatto grazia della somiglianza con Lui alla nostra natura» (La verginità 12,2). Per l’anima, dunque, «si tratta non di conoscere qualcosa di Dio, ma di avere in sé Dio» (Le Beatitudini 6). Del resto, nota acutamente Gregorio, «la divinità è purezza, è affrancamento dalle passioni e rimozione di ogni male: se tutte queste cose sono in te, Dio è realmente in te» (ibid.). Quando abbiamo Dio in noi, quando l’uomo ama Dio, per quella reciprocità che è propria della legge dell’amore, egli vuole ciò che Dio stesso vuole (cfr Om. sul Cantico 9), e quindi coopera con Dio a modellare in sé la divina immagine, così che «la nostra nascita spirituale è il risultato di una libera scelta, e noi siamo in qualche modo i genitori di noi stessi, creandoci come noi stessi vogliamo essere, e per nostra volontà formandoci secondo il modello che scegliamo» (Vita di Mosè 2,3). Per ascendere verso Dio, l’uomo deve purificarsi: «La via, che riconduce al cielo la natura umana, altro non è che l’allontanamento dai mali di questo mondo … Divenire simile a Dio significa divenire giusto, santo e buono… Se dunque, secondo l’Ecclesiaste (5,1), “Dio è nel cielo” e se, secondo il profeta (Sal 72,28), voi “aderite a Dio”, ne consegue necessariamente che dovete essere là dove Dio si trova, dal momento che siete uniti a Lui. Poiché egli vi ha comandato che, quando pregate, chiamiate Dio Padre, vi dice di diventare senz’altro simili al vostro Padre celeste, con una vita degna di Dio, come il Signore ci ordina più chiaramente altrove, dicendo: “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste!” (Mt 5,48)» (La preghiera del Signore 2). In questo cammino di ascesa spirituale, Cristo è il modello e il maestro, che ci fa vedere la bella immagine di Dio (cfr La perfezione cristiana). Ciascuno di noi, guardando a Lui, si ritrova ad essere «il pittore della propria vita», che ha la volontà come esecutrice del lavoro e le virtù come colori di cui servirsi (ibid.). Dunque, se l’uomo è ritenuto degno del nome di Cristo, come deve comportarsi? Gregorio risponde così: «[Deve] esaminare sempre nel suo intimo i propri pensieri, le proprie parole e le proprie azioni, per vedere se esse sono rivolte a Cristo o se si allontanano da Lui» (ibid.). E questo punto è importante per il valore che dà alla parola “cristiano”. “Cristiano” è uno che porta il nome di Cristo e quindi deve assimilarsi a Lui anche nella vita. Noi cristiani col Battesimo ci assumiamo una grande responsabilità. Ma Cristo – ricorda Gregorio – è presente anche nei poveri, per cui essi non devono mai essere oltraggiati: «Non disprezzare costoro, che giacciono stesi, come se per questo non valessero niente. Considera chi sono, e scoprirai quale è la loro dignità: essi ci rappresentano la Persona del Salvatore. Ed è così, perché il Signore, nella sua bontà, prestò loro la sua stessa Persona, affinché, per mezzo di essa, si muovano a compassione coloro che sono duri di cuore e nemici dei poveri» (L’amore per i poveri). Gregorio, abbiamo detto, parla di salita: salita a Dio nella preghiera mediante la purezza del cuore; ma salita a Dio anche mediante l’amore per il prossimo. L’amore è la scala che guida verso Dio. Di conseguenza, il Nisseno apostrofa vivacemente ogni suo ascoltatore: «Sii generoso con questi fratelli, vittime della sventura. Da’ all’affamato ciò che togli al tuo ventre» (ibid.). Con molta chiarezza Gregorio ricorda che tutti dipendiamo da Dio, e perciò esclama: «Non pensate che tutto sia vostro! Ci deve essere anche una parte per i poveri, gli amici di Dio. La verità, infatti, è che tutto viene da Dio, Padre universale, e che noi siamo fratelli, e apparteniamo a una medesima stirpe» (ibid.). E allora il cristiano si esamini, insiste ancora Gregorio: «Ma a che ti serve digiunare e fare astinenza dalle carni, se poi con la tua malvagità non fai altro che addentare il tuo fratello? Che guadagno ne trai, dinanzi a Dio, dal fatto di non mangiare del tuo, se poi, agendo da ingiusto, strappi dalle mani del povero ciò che è suo?» (ibid.). Concludiamo queste nostre catechesi sui tre grandi Padri Cappadoci richiamando ancora quell’aspetto importante della dottrina spirituale di Gregorio Nisseno, che è la preghiera. Per progredire nel cammino verso la perfezione ed accogliere in sé Dio, portare in sé lo Spirito di Dio, l’amore di Dio, l’uomo deve rivolgersi con fiducia a Lui nella preghiera: «Attraverso la preghiera riusciamo a stare con Dio. Ma chi è con Dio è lontano dal nemico. La preghiera è sostegno e difesa della castità, freno dell’ira, acquietamento e dominio della superbia. La preghiera è custodia della verginità, protezione della fedeltà nel matrimonio, speranza per coloro che vegliano, abbondanza di frutti per gli agricoltori, sicurezza per i naviganti» (La preghiera del Signore 1). Il cristiano prega ispirandosi sempre alla preghiera del Signore: «Se dunque vogliamo pregare che scenda su di noi il Regno di Dio, questo gli chiediamo con la potenza della Parola: che io sia allontanato dalla corruzione, che sia liberato dalla morte, che sia sciolto dalle catene dell’errore; non regni mai la morte su di me, non abbia mai potere su di noi la tirannia del male, non domini su di me l’avversario né mi faccia prigioniero attraverso il peccato, ma venga su di me il tuo Regno, affinché si allontanino da me o, meglio ancora, si annullino le passioni che ora mi dominano e signoreggiano» (ibid., 3). Terminata la sua vita terrena, il cristiano potrà così rivolgersi con serenità a Dio. Parlando di questo, san Gregorio pensa alla morte della sorella Macrina e scrive che essa nel momento della morte pregava Dio così: «Tu che hai sulla terra il potere di rimettere i peccati perdonami, affinché io possa avere ristoro» (cfr Sal 38,14), e perché venga trovata al tuo cospetto senza macchia, nel momento in cui vengo spogliata del mio corpo (cfr Col 2,11), così che il mio spirito, santo e immacolato (cfr Ef 5,27), venga accolto nelle tue mani, “come incenso di fronte a te” (Sal 140,2)» (Vita di Macrina 24). Questo insegnamento di san Gregorio rimane valido sempre: non solo parlare di Dio, ma portare Dio in sé. Lo facciamo con l’impegno della preghiera e vivendo nello spirito dell’amore per tutti i nostri fratelli.
Link alla fonte »