Vienimi a prendere dove mi sono perso!
Meditazione per la Ventiquattresima domenica del T.O. anno C
Autore: Gaetano Piccolo
«Mi sono assiso cadendo in miseria,
sono risorto desiderando il tuo pane. […]
Ero partito per un luogo lontano,
ma c’è forse un luogo
dove non si trovi colui che avevo abbandonato?»
Sant’Agostino, Esposizione sul Salmo 138,5
Perdersi
Nella vita capita di perdersi. Ci perdiamo perché siamo stanchi, ci perdiamo perché ci sentiamo deboli, vorremmo fermarci, nasconderci, andare dietro all’ultimo filo d’erba, come una pecorella che ha perso di vista il proprio pastore.
Ci perdiamo a volte perché gli altri ci hanno dimenticato, ci perdiamo perché la vita ci ha messo da parte, e non possiamo farci niente, non possiamo neppure belare come una pecora, siamo persi, nascosti, come una moneta.
Altre volte, però ci perdiamo perché abbiamo voluto perderci. Ce ne siamo andati, magari sembrava perfino che fossimo rimasti lì, dentro quella relazione, ma il nostro cuore era altrove. Succede di perdersi, e nella vita capita anche che nessuno venga a cercarci, ma nella parabola che Gesù racconta oggi non c’è solo chi si perde, c’è sempre anche qualcuno che si mette a cercare o che aspetta, quando non può fare altro: e questo è Dio, uno che non si dà pace fino a quando non ci ha ritrovato!
Fame d’amore
Ci si perde nella vita perché a volte ci si illude di poter amare senza legarsi. Ci vogliamo riprendere la vita e alla fine ci accorgiamo di averla sprecata. Vogliamo la vita tutta per noi e alla fine moriamo di fame, della fame di affetto che abbiamo elemosinato e che nessuno ci ha dato. È l’avventura del figlio minore che decide di prendersi quello che gli spetta, si mette al centro e non vede più nessuno. È il bambino capriccioso che abita in noi e che non sente ragione. Non gli importa se l’altro muore: il padre infatti divise la sostanza, termine che richiama ciò che uno è (non solo quello che ha). Il padre muore per il figlio perché è l’unico modo per dargli l’eredità che gli spetta. Nella vita c’è tanto egoismo, ma capita anche di trovare padri e madri, amici, persone, che sono capaci di morire per lasciar andare l’altro.
L’amore non si merita
Il figlio minore si illude di trovare la vita fuori dalla relazione e invece trova la carestia. Quell’amore che ha cercato non c’è. Nessuno gliene dà. Era tutto un’illusione! E quando hai fame d’amore ti incolli alla prima cosa che trovi. Il figlio minore si incolla (è il verbo che traduciamo come “mettersi a servizio”) a un padrone.
Sì, perché ormai si sarà convinto che per stare dentro una relazione bisogna vivere da servi, ormai ha paura che nessuno lo amerà se non diventa servo di un padrone. Pensa perfino che la relazione con il padre sia la relazione con un padrone, non è più capace di riconoscere l’amore vero. Tutto gli sembra merce di scambio, niente gli sembra più gratuito. Tanto vale allora tornare dove gli conviene, se l’unico modo di vivere è fare il servo, meglio farlo nella casa di quel padre che lui sente ancora come padrone.
Vorrebbe dire al padre di trattarlo come un servo perché non è degno di essere figlio, ma se uno ti ama non può trattarti come servo. Il Padre non permette al figlio di pronunciare quella seconda parte del discorso che si è preparato: in una relazione d’amore non si perde mai la dignità!
L’amore è nei fatti
I cammini di riconciliazione, i percorsi che ci permettono di dire a qualcuno che lo amiamo veramente, che lo abbiamo perdonato, restano a volte solo nella nostra testa. Ma quei cammini hanno bisogno di gesti concreti. È quello che fa il padre. Copre la vergogna del figlio con il vestito più bello, come Dio all’inizio della Genesi, quando ricopre Adamo di una tunica di pelle: è la misericordia che copre, perché non se ne parli più!
Il padre rimette l’anello al dito del figlio, è l’anello che reca il sigillo che segna le proprietà: gli restituisce la fiducia, è disposto a essere ingannato ancora, condivide di nuovo la sostanza. Il padre fa mettere i calzari ai piedi del figlio: sono l’immagine dell’uomo libero, solo lo schiavo cammina a piedi nudi, ma quel figlio deve tornare a sentirsi libero in quella relazione, libero cioè di potersene andare di nuovo.
Il padre fa ammazzare il vitello grasso perché bisogna fare festa, perché quando vuoi bene a una persona, quando sei felice di ricominciare una relazione, vuoi celebrare la vita dell’altro. Ogni relazione è autentica solo quando l’uno celebra la vita dell’altro.
Adattati e arrabbiati
Possiamo anche rimanere apparentemente in una relazione, ma avere il cuore altrove. Ci adattiamo a stare forzatamente in una relazione, cerchiamo di compiacere, ma dentro alimentiamo la rabbia e la frustrazione.
Avremmo voluto andarcene, ma forse non ne abbiamo avuto il coraggio. Restiamo perché siamo incapaci o pigri o perché abbiamo paura del giudizio e delle conseguenze. Restiamo, ma si sente che l’amore non c’è più.
Il figlio maggiore è un bambino adattato che non riesce a fare capricci e a sbattere i piedi e allora sceglie la parte del bambino bravo che fa tutto quello che la mamma gli chiede. Ma quel bambino in realtà se n’è già andato. Il figlio maggiore in questa parabola è sempre fuori dalla casa, è fuori dalla relazione con il padre. Il suo amore è solo dovere. È un estraneo, al punto da dover chiedere ai servi cosa sta succedendo nella casa di suo padre.
Tutto nero
Il figlio maggiore è come un adolescente che vive di competizione e di confronto: pretende tutto per sé anche quando non lo dice. Siccome si è adattato, anche lui dà per scontato che debba essere amato come lui pretende, ma non ha il coraggio di esprimere la sua delusione, cova la rabbia nel cuore, e quella rabbia prima o poi verrà fuori in maniera esplosiva.
Il figlio maggiore è così arrabbiato da essere accecato, assolutizza e non vede più come stanno veramente le cose. La spia di quella rabbia accecante e distruttiva è quel mai ripetuto due volte: mai ti ho disobbedito, mai mi hai dato un capretto per fare festa! Così come è preoccupante pensare di non aver mai disobbedito, così è difficile credere che per lui non ci sia mai stato un capretto. Ma quando siamo arrabbiati è così: facciamo di tutta l’erba un fascio.
Un non finale
Non sappiamo se il padre gli abbia mai dato un capretto, ma certamente adesso gli sta dando il suo cuore. Esce per lui, non giudica, lo esorta, non fa appello al senso del dovere, ma all’amore e alla compassione. C’è una relazione nella quale possiamo rientrare in maniera nuova dopo la crisi.
In realtà la parabola resta aperta, non sappiamo se il figlio maggiore (probabilmente quei farisei e quegli scribi per i quali Gesù pronuncia la parabola) sia entrato oppure no, ma questa parabola è aperta per il lettore di ogni tempo, siamo noi che dobbiamo decidere se ritornare dentro la relazione per viverla in maniera nuova, onesta, ritrovando prima di tutto noi stessi che ci eravamo persi.
Leggersi dentro
Senti che ti sei perso in qualche modo nelle relazioni importanti della tua vita e nella relazione con Dio?
In che modo il Signore ti sta invitando a percorrere un cammino di riconciliazione?