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VIII - Le religioni al servizio della fraternità nel mondo (Cp.VIII ultimo)

Lettera enciclica "Fratelli tutti" sulla fraternità e l'amicizia sociale

Autore: Papa Francesco

CAPITOLO OTTAVO
LE RELIGIONI AL SERVIZIO DELLA FRATERNITÀ NEL MONDO
271. Le diverse religioni, a partire dal
riconoscimento del valore di ogni persona umana come creatura chiamata
ad essere figlio o figlia di Dio, offrono un prezioso apporto per la
costruzione della fraternità e per la difesa della giustizia nella
società. Il dialogo tra persone di religioni differenti non si fa
solamente per diplomazia, cortesia o tolleranza. Come hanno insegnato i
Vescovi dell’India, «l’obiettivo del dialogo è stabilire amicizia, pace,
armonia e condividere valori ed esperienze morali e spirituali in uno
spirito di verità e amore».[259]
Il fondamento ultimo
272. Come credenti pensiamo che, senza un’apertura
al Padre di tutti, non ci possano essere ragioni solide e stabili per
l’appello alla fraternità. Siamo convinti che «soltanto con questa
coscienza di figli che non sono orfani si può vivere in pace fra noi».[260]
Perché «la ragione, da sola, è in grado di cogliere l’uguaglianza tra
gli uomini e di stabilire una convivenza civica tra loro, ma non riesce a
fondare la fraternità».[261]
273. In questa prospettiva, desidero ricordare un
testo memorabile: «Se non esiste una verità trascendente, obbedendo alla
quale l’uomo acquista la sua piena identità, allora non esiste nessun
principio sicuro che garantisca giusti rapporti tra gli uomini. Il loro
interesse di classe, di gruppo, di Nazione li oppone inevitabilmente gli
uni agli altri. Se non si riconosce la verità trascendente, allora
trionfa la forza del potere, e ciascuno tende a utilizzare fino in fondo
i mezzi di cui dispone per imporre il proprio interesse o la propria
opinione, senza riguardo ai diritti dell’altro. […] La radice del
moderno totalitarismo, dunque, è da individuare nella negazione della
trascendente dignità della persona umana, immagine visibile del Dio
invisibile e, proprio per questo, per sua natura stessa, soggetto di
diritti che nessuno può violare: né l’individuo, né il gruppo, né la
classe, né la Nazione o lo Stato. Non può farlo nemmeno la maggioranza
di un corpo sociale, ponendosi contro la minoranza».[262]
274. A partire dalla nostra esperienza di fede e
dalla sapienza che si è andata accumulando nel corso dei secoli,
imparando anche da molte nostre debolezze e cadute, come credenti delle
diverse religioni sappiamo che rendere presente Dio è un bene per le
nostre società. Cercare Dio con cuore sincero, purché non lo offuschiamo
con i nostri interessi ideologici o strumentali, ci aiuta a
riconoscerci compagni di strada, veramente fratelli. Crediamo che
«quando, in nome di un’ideologia, si vuole estromettere Dio dalla
società, si finisce per adorare degli idoli, e ben presto l’uomo
smarrisce sé stesso, la sua dignità è calpestata, i suoi diritti
violati. Voi sapete bene a quali brutalità può condurre la privazione
della libertà di coscienza e della libertà religiosa, e come da tale
ferita si generi una umanità radicalmente impoverita, perché priva di
speranza e di riferimenti ideali».[263]
275. Va riconosciuto come «tra le più importanti
cause della crisi del mondo moderno vi siano una coscienza umana
anestetizzata e l’allontanamento dai valori religiosi, nonché il
predominio dell’individualismo e delle filosofie materialistiche che
divinizzano l’uomo e mettono i valori mondani e materiali al posto dei
principi supremi e trascendenti».[264]
Non è accettabile che nel dibattito pubblico abbiano voce soltanto i
potenti e gli scienziati. Dev’esserci uno spazio per la riflessione che
procede da uno sfondo religioso che raccoglie secoli di esperienza e di
sapienza. «I testi religiosi classici possono offrire un significato
destinato a tutte le epoche,posseggono una forza motivante», ma di fatto
«vengono disprezzati per la ristrettezza di visione dei razionalismi».[265]
276. Per queste ragioni, benché la Chiesa rispetti
l’autonomia della politica, non relega la propria missione all’ambito
del privato. Al contrario, «non può e non deve neanche restare ai
margini» nella costruzione di un mondo migliore, né trascurare di
«risvegliare le forze spirituali»[266]
che possano fecondare tutta la vita sociale. È vero che i ministri
religiosi non devono fare politica partitica, propria dei laici, però
nemmeno possono rinunciare alla dimensione politica dell’esistenza[267]
che implica una costante attenzione al bene comune e la preoccupazione
per lo sviluppo umano integrale. La Chiesa «ha un ruolo pubblico che non
si esaurisce nelle sue attività di assistenza o di educazione» ma che
si adopera per la «promozione dell’uomo e della fraternità universale».[268]
Non aspira a competere per poteri terreni, bensì ad offrirsi come «una
famiglia tra le famiglie – questo è la Chiesa –, aperta a testimoniare
[…] al mondo odierno la fede, la speranza e l’amore verso il Signore e
verso coloro che Egli ama con predilezione. Una casa con le porte
aperte. La Chiesa è una casa con le porte aperte, perché è madre».[269]
E come Maria, la Madre di Gesù, «vogliamo essere una Chiesa che serve,
che esce di casa, che esce dai suoi templi, dalle sue sacrestie, per
accompagnare la vita, sostenere la speranza, essere segno di unità […]
per gettare ponti, abbattere muri, seminare riconciliazione».[270]
L’identità cristiana
277. La Chiesa apprezza l’azione di Dio nelle altre
religioni, e «nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste
religioni. Essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di
vivere, quei precetti e quelle dottrine che […] non raramente riflettono
un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini».[271]
Tuttavia come cristiani non possiamo nascondere che «se la musica del
Vangelo smette di vibrare nelle nostre viscere, avremo perso la gioia
che scaturisce dalla compassione, la tenerezza che nasce dalla fiducia,
la capacità della riconciliazione che trova la sua fonte nel saperci
sempre perdonati-inviati. Se la musica del Vangelo smette di suonare
nelle nostre case, nelle nostre piazze, nei luoghi di lavoro, nella
politica e nell’economia, avremo spento la melodia che ci provocava a
lottare per la dignità di ogni uomo e donna».[272]
Altri bevono ad altre fonti. Per noi, questa sorgente di dignità umana e
di fraternità sta nel Vangelo di Gesù Cristo. Da esso «scaturisce per
il pensiero cristiano e per l’azione della Chiesa il primato dato alla
relazione, all’incontro con il mistero sacro dell’altro, alla comunione
universale con l’umanità intera come vocazione di tutti».[273]
278. Chiamata a incarnarsi in ogni situazione e
presente attraverso i secoli in ogni luogo della terra – questo
significa “cattolica” –, la Chiesa può comprendere, a partire dalla
propria esperienza di grazia e di peccato, la bellezza dell’invito
all’amore universale. Infatti, «tutto ciò ch’è umano ci riguarda. […]
Dovunque i consessi dei popoli si riuniscono per stabilire i diritti e i
doveri dell’uomo, noi siamo onorati, quando ce lo consentono, di
assiderci fra loro».[274]
Per molti cristiani, questo cammino di fraternità ha anche una Madre,
di nome Maria. Ella ha ricevuto sotto la Croce questa maternità
universale (cfr Gv 19,26) e la sua attenzione è rivolta non solo a Gesù ma anche al «resto della sua discendenza» (Ap
12,17). Con la potenza del Risorto, vuole partorire un mondo nuovo,
dove tutti siamo fratelli, dove ci sia posto per ogni scartato delle
nostre società, dove risplendano la giustizia e la pace.
279. Come cristiani chiediamo che, nei Paesi in cui
siamo minoranza, ci sia garantita la libertà, così come noi la
favoriamo per quanti non sono cristiani là dove sono minoranza. C’è un
diritto umano fondamentale che non va dimenticato nel cammino della
fraternità e della pace: è la libertà religiosa per i credenti di tutte
le religioni. Tale libertà manifesta che possiamo «trovare un buon
accordo tra culture e religioni differenti; testimonia che le cose che
abbiamo in comune sono così tante e importanti che è possibile
individuare una via di convivenza serena, ordinata e pacifica,
nell’accoglienza delle differenze e nella gioia di essere fratelli
perché figli di un unico Dio».[275]
280. Nello stesso tempo, chiediamo a Dio di
rafforzare l’unità nella Chiesa, unità arricchita da diversità che si
riconciliano per l’azione dello Spirito Santo. Infatti «siamo stati
battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo» (1 Cor
12,13), dove ciascuno dà il suo apporto peculiare. Come diceva
Sant’Agostino, «l’orecchio vede attraverso l’occhio, e l’occhio ode
attraverso l’orecchio».[276]
È urgente inoltre continuare a dare testimonianza di un cammino di
incontro tra le diverse confessioni cristiane. Non possiamo dimenticare
il desiderio espresso da Gesù: che «tutti siano una sola cosa» (Gv
17,21). Ascoltando il suo invito, riconosciamo con dolore che al
processo di globalizzazione manca ancora il contributo profetico e
spirituale dell’unità tra tutti i cristiani. Ciò nonostante, «pur
essendo ancora in cammino verso la piena comunione, abbiamo sin d’ora il
dovere di offrire una testimonianza comune all’amore di Dio verso
tutti, collaborando nel servizio all’umanità».[277]
Religione e violenza
281. Tra le religioni è possibile un cammino di
pace. Il punto di partenza dev’essere lo sguardo di Dio. Perché «Dio non
guarda con gli occhi, Dio guarda con il cuore. E l’amore di Dio è lo
stesso per ogni persona, di qualunque religione sia. E se è ateo, è lo
stesso amore. Quando arriverà l’ultimo giorno e ci sarà sulla terra la
luce sufficiente per poter vedere le cose come sono, avremo parecchie
sorprese!».[278]
282. Anche «i credenti hanno bisogno di trovare
spazi per dialogare e agire insieme per il bene comune e la promozione
dei più poveri. Non si tratta di renderci tutti più light o di
nascondere le convinzioni proprie, alle quali siamo più legati, per
poterci incontrare con altri che pensano diversamente. […] Perché tanto
più profonda, solida e ricca è un’identità, tanto più potrà arricchire
gli altri con il suo peculiare contributo».[279]
Come credenti ci vediamo provocati a tornare alle nostre fonti per
concentrarci sull’essenziale: l’adorazione di Dio e l’amore del
prossimo, in modo tale che alcuni aspetti della nostra dottrina, fuori
dal loro contesto, non finiscano per alimentare forme di disprezzo, di
odio, di xenofobia, di negazione dell’altro. La verità è che la violenza
non trova base alcuna nelle convinzioni religiose fondamentali, bensì
nelle loro deformazioni.
283. Il culto a Dio, sincero e umile, «porta non
alla discriminazione, all’odio e alla violenza, ma al rispetto per la
sacralità della vita, al rispetto per la dignità e la libertà degli
altri e all’amorevole impegno per il benessere di tutti».[280] In realtà, «chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore» (1 Gv
4,8). Pertanto, «il terrorismo esecrabile che minaccia la sicurezza
delle persone, sia in Oriente che in Occidente, sia a Nord che a Sud,
spargendo panico, terrore e pessimismo non è dovuto alla religione –
anche se i terroristi la strumentalizzano – ma è dovuto alle accumulate
interpretazioni errate dei testi religiosi, alle politiche di fame, di
povertà, di ingiustizia, di oppressione, di arroganza; per questo è
necessario interrompere il sostegno ai movimenti terroristici attraverso
il rifornimento di denaro, di armi, di piani o giustificazioni e anche
la copertura mediatica, e considerare tutto ciò come crimini
internazionali che minacciano la sicurezza e la pace mondiale. Occorre
condannare un tale terrorismo in tutte le sue forme e manifestazioni».[281]
Le convinzioni religiose riguardo al senso sacro della vita umana ci
permettono di «riconoscere i valori fondamentali della comune umanità,
valori in nome dei quali si può e si deve collaborare, costruire e
dialogare, perdonare e crescere, permettendo all’insieme delle diverse
voci di formare un nobile e armonico canto, piuttosto che urla fanatiche
di odio».[282]
284. Talvolta la violenza fondamentalista viene scatenata in alcuni gruppi di qualsiasi religione dall’imprudenza dei loro leader. Tuttavia, «il comandamento della pace è inscritto nel profondo delle tradizioni religiose che rappresentiamo. […] Come leader
religiosi siamo chiamati ad essere veri “dialoganti”, ad agire nella
costruzione della pace non come intermediari, ma come autentici
mediatori. Gli intermediari cercano di fare sconti a tutte le parti, al
fine di ottenere un guadagno per sé. Il mediatore, invece, è colui che
non trattiene nulla per sé, ma si spende generosamente, fino a
consumarsi, sapendo che l’unico guadagno è quello della pace. Ciascuno
di noi è chiamato ad essere un artigiano della pace, unendo e non
dividendo, estinguendo l’odio e non conservandolo, aprendo le vie del
dialogo e non innalzando nuovi muri!».[283]
Appello
285. In quell’incontro fraterno,
che ricordo con gioia, con il Grande Imam Ahmad Al-Tayyeb, abbiamo
fermamente dichiarato che le religioni non incitano mai alla guerra e
non sollecitano sentimenti di odio, ostilità, estremismo, né invitano
alla violenza o allo spargimento di sangue. Queste sciagure sono frutto
della deviazione dagli insegnamenti religiosi, dell’uso politico delle
religioni e anche delle interpretazioni di gruppi di uomini di religione
che hanno abusato – in alcune fasi della storia – dell’influenza del
sentimento religioso sui cuori degli uomini […]. Infatti Dio,
l’Onnipotente, non ha bisogno di essere difeso da nessuno e non vuole
che il suo nome venga usato per terrorizzare la gente».[284] Perciò desidero riprendere qui l’appello alla pace, alla giustizia e alla fraternità che abbiamo fatto insieme:
«In nome di Dio che ha creato tutti gli esseri umani uguali nei
diritti, nei doveri e nella dignità, e li ha chiamati a convivere come
fratelli tra di loro, per popolare la terra e diffondere in essa i
valori del bene, della carità e della pace.
In nome dell’innocente anima umana che Dio ha proibito di uccidere,
affermando che chiunque uccide una persona è come se avesse ucciso tutta
l’umanità e chiunque ne salva una è come se avesse salvato l’umanità
intera.
In nome dei poveri, dei miseri, dei bisognosi e degli emarginati che
Dio ha comandato di soccorrere come un dovere richiesto a tutti gli
uomini e in particolar modo a ogni uomo facoltoso e benestante.
In nome degli orfani, delle vedove, dei rifugiati e degli esiliati
dalle loro dimore e dai loro paesi; di tutte le vittime delle guerre,
delle persecuzioni e delle ingiustizie; dei deboli, di quanti vivono
nella paura, dei prigionieri di guerra e dei torturati in qualsiasi
parte del mondo, senza distinzione alcuna.
In nome dei popoli che hanno perso la sicurezza, la pace e la comune
convivenza, divenendo vittime delle distruzioni, delle rovine e delle
guerre.
In nome della fratellanza umana che abbraccia tutti gli uomini, li unisce e li rende uguali.
In nome di questa fratellanza lacerata dalle politiche di
integralismo e divisione e dai sistemi di guadagno smodato e dalle
tendenze ideologiche odiose, che manipolano le azioni e i destini degli
uomini.
In nome della libertà, che Dio ha donato a tutti gli esseri umani, creandoli liberi e distinguendoli con essa.
In nome della giustizia e della misericordia, fondamenti della prosperità e cardini della fede.
In nome di tutte le persone di buona volontà, presenti in ogni angolo della terra.
In nome di Dio e di tutto questo, […] [dichiariamo] di adottare la
cultura del dialogo come via, la collaborazione comune come condotta, la
conoscenza reciproca come metodo e criterio».[285]
* * *
286. In questo spazio di riflessione sulla
fraternità universale, mi sono sentito motivato specialmente da San
Francesco d’Assisi, e anche da altri fratelli che non sono cattolici:
Martin Luther King, Desmond Tutu, il Mahatma Gandhi e molti altri. Ma
voglio concludere ricordando un’altra persona di profonda fede, la
quale, a partire dalla sua intensa esperienza di Dio, ha compiuto un
cammino di trasformazione fino a sentirsi fratello di tutti. Mi
riferisco al Beato Charles de Foucauld.
287. Egli andò orientando il suo ideale di una
dedizione totale a Dio verso un’identificazione con gli ultimi,
abbandonati nel profondo del deserto africano. In quel contesto
esprimeva la sua aspirazione a sentire qualunque essere umano come un
fratello,[286] e chiedeva a un amico: «Pregate Iddio affinché io sia davvero il fratello di tutte le anime di questo paese».[287] Voleva essere, in definitiva, «il fratello universale».[288] Ma solo identificandosi con gli ultimi arrivò ad essere fratello di tutti. Che Dio ispiri questo ideale in ognuno di noi. Amen.
Preghiera al Creatore
Signore e Padre dell’umanità,
che hai creato tutti gli esseri umani con la stessa dignità,
infondi nei nostri cuori uno spirito fraterno.
Ispiraci il sogno di un nuovo incontro, di dialogo, di giustizia e di pace.
Stimolaci a creare società più sane e un mondo più degno,
senza fame, senza povertà, senza violenza, senza guerre.
Il nostro cuore si apra
a tutti i popoli e le nazioni della terra,
per riconoscere il bene e la bellezza
che hai seminato in ciascuno di essi,
per stringere legami di unità, di progetti comuni,
di speranze condivise. Amen.

Preghiera cristiana ecumenica
Dio nostro, Trinità d’amore,
dalla potente comunione della tua intimità divina
effondi in mezzo a noi il fiume dell’amore fraterno.
Donaci l’amore che traspariva nei gesti di Gesù,
nella sua famiglia di Nazaret e nella prima comunità cristiana.
Concedi a noi cristiani di vivere il Vangelo
e di riconoscere Cristo in ogni essere umano,
per vederlo crocifisso nelle angosce degli abbandonati
e dei dimenticati di questo mondo
e risorto in ogni fratello che si rialza in piedi.
Vieni, Spirito Santo! Mostraci la tua bellezza
riflessa in tutti i popoli della terra,
per scoprire che tutti sono importanti,
che tutti sono necessari, che sono volti differenti
della stessa umanità amata da Dio. Amen.
Dato ad Assisi, presso la tomba di San Francesco, il 3 ottobre,
vigilia della Festa del Poverello, dell’anno 2020, ottavo del mio
Pontificato

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