Alla ricerca della connessione
Conoscerlo e conoscerti (VII)
Autore: Nicolás Álvarez de las Asturias
Nel secolo scorso si è molto parlato della esistenza di un telefono rosso che metteva in comunicazione i capi di due grandi potenze mondiali, benché si trovassero a migliaia di chilometri di distanza. L’idea che persone tanto lontane potessero parlare direttamente causò molta sorpresa. Tuttavia allora non erano immaginabili i dispositivi mobili che oggi conosciamo. Riferendosi a quel dispositivo, nel 1972 san Josemaría disse che noi abbiamo «un filo diretto con Dio nostro Signore, molto più diretto […]. È tanto buono, che è sempre disponibile, che non ci fa fare anticamera».
Sappiamo per fede che il Signore è sempre all’altro capo della linea. Eppure, quante volte abbiamo avuto difficoltà nell’ascoltarlo o nell’essere puntuali ai tempi che avevamo previsto per l’orazione! Alcune persone affermano: «non riesco a collegarmi con Dio». È un’esperienza dolorosa che può indurre ad abbandonare l’orazione. Probabilmente sarà capitato anche a noi. A volte, pur impegnandoci molto, anche avendola fatta per anni, persiste la sensazione di non saper parlare con Dio: pur essendo sicuri di avere un filo diretto con lui, non riusciamo a superare il monologo interiore, non raggiungiamo quell’intimità alla quale tanto aneliamo.
Papa Francesco ci invita a «mantenere la “connessione” con Gesù, essere “in linea” con Lui […]. Così come ti preoccupi di non perdere la connessione a Internet, assicurati che sia attiva la tua connessione con il Signore, e questo significa non interrompere il dialogo, ascoltarlo, raccontargli le tue cose». Come rimanere svegli all’altro capo della linea? Che cosa possiamo fare perché la nostra orazione sia un dialogo a due? Qual è la via per continuare, con il passare degli anni, ad aumentare l’intimità con il Signore?
Testo scritto da san Josemaría, dove si legge: “Preghiera preparatoria. Signore mio e Dio mio, credo fermamente che sei qui, che mi vedi, che mi ascolti. Ti adoro con profonda riverenza. Ti chiedo perdono dei miei peccati e grazia per fare con frutto questa orazione. Madre mia immacolata, san Giuseppe padre e signore mio, Angelo mio custode, intercedete per me”
Li guarda dalla riva
Dopo la Risurrezione i discepoli si trasferiscono in Galilea, secondo l’indicazione data dal Signore alle sante donne: «Là mi vedranno» (Mt 28, 10). È quasi l’alba. Pietro e Giovanni, insieme ad altri cinque, remano verso terra dopo una notte di pesca infruttuosa. Gesù li guarda dalla riva (cfr. Gv 21, 4). In modo simile a ciò che accade in questo racconto, quando cominciamo a pregare ci mettiamo alla presenza di Gesù, sapendo che egli ci sta guardando; ci osserva dalla riva in atteggiamento di attesa e di ascolto. Immaginare che lo sguardo del Signore si posi su di noi ci aiuterà durante tutta l’orazione. Anche noi vogliamo guardarlo: «Che io ti veda; qui sta il nucleo della preghiera». In effetti, all’origine del dialogo con Dio c’è un incrocio di sguardi fra due persone che si amano: «Guardare Dio e lasciarsi guardare da Dio: questo è pregare».
Ma abbiamo anche voglia di ascoltare le sue parole, di accorgerci di quanto ci ama e di sapere ciò che desidera. I discepoli non avevano pescato nulla; però Gesù rivolge loro la parola, dà loro alcune istruzioni perché non rimangano a mani vuote: «Gettate le reti dalla parte destra della barca e troverete» (Gv 21, 6). Le buone conversazioni dipendono molte volte dalla sintonia che si stabilisce con le prime parole. Nello stesso modo, i primi minuti di orazione sono importanti perché costituiscono un modello per i rimanenti. Impegnarsi nel cominciare la conversazione ci aiuterà a mantenere vivo con maggiore facilità il dialogo successivo.
Fino a quel momento quelli che si trovavano nella barca dubitavano. Quando videro le reti piene di pesci, quando si resero conto di essere entrati in quel dialogo con Gesù che era stato più efficace di tante ore di sforzi solitari, Giovanni dice a Pietro: «È il Signore!» (Gv 21, 7). Questa certezza è già un inizio di preghiera: il Signore è qui, accanto a noi, sia che stiamo davanti al tabernacolo che in qualsiasi altro luogo.
Come lo Spirito Santo ci permette
Trascinando la barca, appesantita dalle reti piene, i discepoli raggiungono la riva. Vi trovano una inattesa colazione a base di pane e pesce alla brace. Sedutisi attorno al fuoco, mangiano in silenzio. Nessuno «osava domandargli: “Chi sei?”, poiché sapevano bene che era il Signore» (Gv 21, 12). Il peso della conversazione ricade su Gesù. Sicuramente, la chiave nell’orazione è lasciar fare a Dio, a parte l’impegno del proprio cuore. Quando fu chiesto a san Giovanni Paolo II com’era la sua orazione, rispose: «Bisognerebbe chiederlo allo Spirito Santo! Il Papa prega come lo Spirito Santo gli permette di pregare». L’elemento più importante è il tu, perché è Dio che prende l’iniziativa.
Dopo esserci messi alla presenza di Dio, è necessario smorzare ogni rumore e cercare un silenzio interiore che comporta un certo impegno. Così sarà più facile ascoltare la voce di Gesù che ci domanda: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?» (Gv 21, 5); e che ci dà questa indicazione: «Portate un po’ di pesce» (Gv 21, 10); o che ci chiede amabilmente: «Seguimi» (Gv 21, 19). Il Catechismo della Chiesa suggerisce che è necessario un combattimento per poterci scollegare (dagli eventi) e collegare (con il Signore) e così parlare con Dio nella solitudine del nostro cuore. I santi hanno ripetuto spesso questo consiglio: «Lascia per un momento le tue occupazioni abituali; entra per un istante in te stesso, lontano dal tumulto dei tuoi pensieri. Manda via le preoccupazioni opprimenti; allontana da te tutto ciò che ti turba […]. Entra nell’ospitalità della tua anima; escludi tutto, eccetto Dio e ciò che ti possa aiutare a cercarlo; così, chiuse tutte le porte, vai dietro a Lui. E dunque, anima mia, di’ a Dio: “Il tuo volto, Signore, io cerco; voglio vedere il tuo volto” (Sal 27, 8)».
Non sarà sempre semplice, perché il lavoro e le preoccupazioni attraggono fortemente la nostra memoria e la nostra immaginazione, e possono riempire la nostra interiorità. Non c’è dubbio che non esiste una bacchetta magica, perché di solito le distrazioni sono inevitabili ed è difficile mantenere un’attenzione continua. San Josemaría consigliava di trasformarle in tema di conversazione con Gesù, approfittandone «per pregare per l’oggetto della distrazione, per quelle persone, lasciando poi agire il Signore, che trae sempre ciò che vuole da ogni fiore». È anche un aiuto efficace trovare buoni momenti e luoghi propizi; anche se si può pregare dappertutto, non tutte le circostanze favoriscono il dialogo né esprimono il desiderio sincero di pregare.
La preghiera introduttiva: la connessione
Con l’obiettivo di facilitare la connessione, san Josemaría raccomandava una preghiera introduttiva che egli era solito utilizzare. Con queste parole ci insegna a cominciare con un atto di fede e con una disposizione umile: «Credo che sei qui», «ti adoro con profonda riverenza». È semplicemente una maniera di dire a Gesù: «Sono venuto a stare con te, voglio parlarti e vorrei che anche tu mi parlassi; ti dedico questi minuti con la speranza che questo incontro mi aiuti a unirmi di più alla tua volontà».
Quando diciamo «credo fermamente», stiamo dicendo una cosa vera, ma anche un desiderio; chiediamo al Signore di aumentarci la fede, perché sappiamo che «è la fede a dare le ali alla preghiera». Questo atto di fede ci porta immediatamente all’adorazione con la quale riconosciamo, da una parte, la sua grandezza e, nello stesso tempo, gli comunichiamo la decisione di abbandonarci nelle sue mani. Subito dopo riconosciamo le nostre debolezze chiedendo perdono e grazia, perché «l’umiltà è il fondamento della preghiera». Sappiamo di essere piccoli a confronto della sua grandezza, e privi di risorse personali. La preghiera è un dono gratuito che l’uomo deve chiedere come un mendicante. Perciò san Josemaría concludeva che «la preghiera è l’umiltà dell’uomo che riconosce la sua profonda miseria».
Credere, adorare, domandare perdono e chiedere aiuto: quattro movimenti del cuore che ci permettono una buona connessione. Ci può essere di aiuto la ripetizione serena di questa preghiera introduttiva, se la gustiamo parola per parola. Forse converrà ripeterla diverse volte, fino a quando la nostra attenzione non resta concentrata sul Signore. Può esserci utile anche costruire una preghiera introduttiva più personale e impiegarla quando saremo più aridi o svagati. In generale, se siamo distratti o abbiamo la mente vuota, ripetere con calma una preghiera vocale (il Padrenostro o quella che ci viene in mente al momento) è vantaggioso per fissare l’attenzione e rasserenare l’anima: una, due, tre volte, staccando le parole o cambiandone alcune.
Un fuoco acceso: il dialogo
Questa connessione iniziale precede il nucleo dell’orazione, quel «dialogo con Dio, cuore a cuore, in cui interviene tutta l’anima: l’intelligenza e l’immaginazione, la memoria e la volontà». Se ritorniamo all’alba di quel giorno nel quale i discepoli erano ancora esterrefatti per la pesca miracolosa, Gesù accende un fuoco per cuocere ciò che ha preparato. Possiamo immaginare come lo avrà fatto, evitando i rischi che comporta accendere un fuoco. Nello stesso modo, se equipariamo l’orazione a un piccolo fuoco che vogliamo veder aumentare, prima di tutto dobbiamo trovare il combustibile adatto.
Il combustibile che alimenta il fuoco è di solito l’insieme di attività che abbiamo tra le mani e la nostra situazione personale: l’argomento del dialogo è la nostra vita. Le nostre gioie, le nostre tristezze e le nostre preoccupazioni sono il miglior riassunto di ciò che abbiamo nel cuore. Con parole semplici la nostra conversazione deve essere adattata al terreno della vicenda quotidiana, come possiamo immaginare sia accaduto durante la colazione pasquale. Inoltre, non poche volte, comincerà con un: «Signore, non so…». Nello stesso tempo, l’orazione cristiana non si limita ad aprire a Dio la propria intimità, in quanto alimentiamo in un modo particolare la fiamma con la vita stessa di Cristo. Parliamo con Dio anche di lui, del suo passaggio sulla terra, della sua voglia di redenzione. Insieme a tutto questo, dato che ci sentiamo responsabili dei nostri fratelli, «il cristiano non lascia il mondo fuori dalla porta della sua camera, ma porta nel cuore le persone e le situazioni, i problemi, tante cose».
A questo punto, ognuno cercherà i modi di pregare che lo aiutano di più. Non esistono regole fisse. Non c’è dubbio che seguire un certo metodo ci permette di sapere che cosa fare finché sperimentiamo l’iniziativa di Dio. Per esempio, alcune persone hanno bisogno di un programma flessibile di orazione durante la settimana. Alle volte scrivere quello che diciamo offre molti vantaggi per non distrarci. L’orazione sarà in un certo modo nei periodi di lavoro intenso e in un altro modo nei periodi più tranquilli; inoltre sarà adattata al tempo liturgico nel quale si trova la Chiesa. Sono molte le strade che ci si aprono: tuffarci nella contemplazione del Vangelo cercando l’Umanità Santissima del Signore o meditare un argomento aiutati da un buon libro, consapevoli che la lettura favorisce l’esame; ci saranno giorni di maggiori richieste, lodi o adorazione; recitare con calma alcune giaculatorie è un buon metodo per i momenti di agitazione interiore; altre volte staremo in silenzio, sapendo di essere guardati da Cristo o da Maria. Alla fine, qualunque sia la via per la quale lo Spirito Santo ci ha portati, tutto ci conduce a «conoscerlo e conoscerti».
Il vento e il fogliame
A parte il buon combustibile, ci conviene tener conto degli ostacoli che possiamo incontrare per mantenere viva la fiamma: il vento dell’immaginazione che tenta di spegnere la debole fiamma iniziale e il fogliame umido delle piccole miserie che faremo in modo di bruciare.
L’immaginazione ha sicuramente un ruolo importante nel dialogo e dovremo contare su di essa specialmente quando contempliamo la vita del Signore; però, nello stesso tempo, è la pazza di casa, quella che suole essere la protagonista del nostro mondo fantastico. Avere una fantasia troppo sciolta e senza controllo è fonte di dispersione. Ed ecco, dunque, la necessità di respingere gli attacchi del vento che vuole spegnere il fuoco e, contemporaneamente, stimolare ciò che aiuta a tenerlo vivo. C’è un particolare significativo nell’incontro del Risorto con i suoi discepoli sulla riva del lago di Tiberiade. Soltanto uno di loro è stato sul Calvario, san Giovanni, ed è proprio lui che si accorge del Signore. Il contatto con la croce ha purificato il suo sguardo: è diventato più fine e capace di indovinare. Il dolore spiana il cammino dell’orazione; la mortificazione interiore porta l’immaginazione a ravvivare la fiamma, evitando che si trasformi in un vento senza controllo che la soffochi.
Infine, dobbiamo tener conto dell’umidità del fogliame. Nel nostro intimo c’è un sottobosco di cattivi ricordi, di piccoli rancori, di suscettibilità, di invidie, di confronti, di sensualità e di brama di successo che ci fanno centrare su noi stessi. L’orazione ci porta proprio nella direzione contraria: a dimenticarci dell’io con l’obiettivo di centrarci in Lui. Abbiamo bisogno che questo fondo affettivo prenda aria nella nostra orazione, portando questa umidità alla luce, esponendola al sole che è Dio, dicendo: «Guarda questo, e questo, le tante cose cattive che lascio davanti a te, Signore: purifica tutto». Allora gli chiederemo aiuto per perdonare, dimenticare, rallegrarci del bene altrui; per vedere il lato positivo delle cose, rifiutare le tentazioni o apprezzare le umiliazioni. In tal modo evaporerà quell’umidità che potrebbe rendere difficile la nostra conversazione con Dio.
Un desiderio che continua
Connessione, dialogo e bilancio. Il tratto finale dell’orazione è il momento per tirare le somme, per sapere che cosa portiamo via. Questo induceva san Josemaría a pensare ai «propositi, affetti e ispirazioni». Dopo il dialogo con Dio si fa strada spontaneamente il desiderio di migliorare, di compiere la sua volontà. Questo desiderio, diceva sant’Agostino, è già una buona preghiera: finché continuerai a desiderare, continuerai a pregare. Alcune volte queste intenzioni si tradurranno in propositi, che spesso saranno concreti e pratici. In ogni caso l’orazione serve da slancio per vivere alla presenza di Dio le ore successive. Gli affetti potranno essere stati presenti con maggiore o minore vivacità; non sempre sono importanti, benché, se non ci fossero gli affetti, dovremmo domandarci dove mettiamo abitualmente il cuore. Naturalmente, non si tratta necessariamente di emozioni sensibili, perché gli affetti possono anche essere suscitati dai sereni desideri della volontà, come quando uno vuole amare.
Le ispirazioni sono luci di Dio che sarà bene apprezzare, perché ci aiuteranno molto nelle orazioni future. Dopo qualche tempo, possono essere un buon combustibile che tenga desta l’anima nei momenti di maggiore aridità, nei quali siamo poco lucidi o apatici. Anche se quando intravediamo queste ispirazioni siamo convinti che non le dimenticheremo mai, in realtà il tempo logora la memoria. Per questo conviene prenderne nota a caldo, quando siamo in grado di scriverle con una vivezza straordinaria: «Quelle parole, che ti hanno colpito durante l’orazione, incidile nella memoria e recitale lentamente, più volte, durante la giornata».
Non dimentichiamo mai l’aiuto che ci offrono gli alleati del cielo. Quando ci sentiamo deboli ricorriamo a coloro che sono più vicini a Dio. Lo potremo fare o all’inizio o alla fine, e anche tutte le volte che noteremo la difficoltà di tenere viva la fiamma. Particolarmente presente sarà la Madonna, il suo sposo Giuseppe e l’angelo custode che ci «porterà sante ispirazioni».