Amore umano e vita cristiana - Il bene dei figli: la paternità - I
Testi sull'amore nel fidanzamento e nel matrimonio
Autore: José Manuel Martín Q.
Nel sostenere che chi non vive come pensa finisce per pensare come vive, la saggezza popolare non dice tutto e neppure la cosa più importante. Infatti, se è vero che coloro che non lottano per correggere una condotta sbagliata finiscono spesso per costruirsi una teoria che la giustifichi, non è men vero che una conoscenza adeguata delle realtà fondamentali costituisce il migliore e più duraturo aiuto a un retto comportamento. Tra queste verità, nessuna influisce tanto sulla condotta quanto la comprensione profonda che ogni donna e ogni uomo sono persona. E nessuna determina altrettanto efficacemente l’atteggiamento dei coniugi tra loro e in ciò che riguarda i figli. Per questo, la considerazione serena di ciò che comporta essere persona, lungi dall’allontanarci dalla pratica educativa, ci introduce proprio nel centro del problema, mentre illumina dall’interno il significato più profondo della paternità responsabile.
La scoperta della condizione personale, storicamente unita alla diffusione del cristianesimo, si intuisce in tutta la sua grandezza se la consideriamo come la risposta a una unica e decisiva domanda: quale sarà mai il valore di ogni uomo se il Verbo di Dio ha deciso di incarnarsi e morire sulla Croce per restituirgli la possibilità di godere di Lui e con Lui per tutta l’eternità? La verità era tanto innegabile quanto sublime e stupefacente. E le sue conseguenze pratiche tanto profonde e quotidiane, che i primi a capirlo temettero di non essere all’altezza di tanta meraviglia e di dimenticare, sia pure per un momento, l’impressionante grandezza di tutti coloro che avevano accanto. Vollero essere certi, allora, che il vocabolo medesimo con cui si riferivano a loro, ricordasse alla loro mente il valore quasi infinito di ogni uomo e di ogni donna. Il che è esattamente ciò che indica la parola persona, utilizzata da allora per indicarli: la grandezza indescrivibile e l’assoluta e insostituibile singolarità di ogni essere umano, correlativa, nell’ambito della grazia, alla condizione di figli di Dio.
La filosofia e la teologia convalidano ciò che gli uomini di buona volontà intuiscono e qualunque cristiano sa con certezza: l’unica cosa che può muovere Dio a creare, è il bene delle creature alle quali pensa di dare l’essere e, in particolare, delle persone. Egli non guadagna nulla nel crearci, dato che il Bene è infinito e non ammette una crescita. Per essere ancora più chiari: ognuno degli esseri umani è frutto diretto dell’infinito Amore di Dio, che vuole il meglio per lui. E dato che non c’è nulla migliore di Dio stesso, Dio crea l’uomo a sua immagine e somiglianza e lo rende capace di conoscerlo e di amarlo; elevandolo all’ordine della grazia, lo destina a unirsi definitivamente a Lui, introdotto nella sua stessa Vita, in un dialogo eterno e potentemente unitivo di conoscenza e di amore. Riferendosi a questa condizione finale dell’essere umano, Tommaso d’Aquino utilizza espressioni audaci ma profonde: noi uomini siamo chiamati a “raggiungere” o a “toccare” Dio (attingere Deum), trasformandoci in “dei” per partecipazione (participative dii). Se Dio si può descrivere come un Atto infinito e perfetto di Amore di Dio, saremo eternamente simili a Lui quando, alla fine, portati dalla sua grazia, tutto il nostro essere sarà riassunto e trasformato in un gioioso atto, anch’esso perpetuo, di amore di Dio. Dei per partecipazione: questo è il nostro destino e il più eccellente indice della nostra grandezza.
Su questa convinzione è stata costruita e ancora oggi poggia, il meglio della nostra civiltà; e sulla medesima base, arricchita e resa efficace dal dialogo con Dio, si deve edificare la relazione dei coniugi tra loro e con ciascun figlio. Sempre e in qualunque circostanza, per ciò che riguarda i figli, un padre e una madre devono tenere presente che si trovano davanti a una persona e che, con il loro atteggiamento e con la loro maniera di comportarsi, devono rispondere alla grandezza di questa indole personale. Nella sua accezione più ampia e profonda, la paternità responsabile sta a indicare la qualità del comportamento di quei genitori che rispondono come persone alla nobiltà indescrivibile, sul cui valore non c’è paura di esagerare, di quei figli che sono anche persone.
Al di là della generica deferenza, e anche della venerazione e del rispetto, questa risposta non può che essere adeguatamente espressa con una parola: amore, profondamente intesa come la ricerca coerente e decisa del bene dell’essere amato. La vita sulla terra, allora, più che come una “prova”, deve essere concepita come la grande opportunità che Dio ci offre per accrescere la nostra capacità di amare, in modo da essere sempre più felici già su questa terra e in modo che, quando avremo conclusa la nostra esistenza temporale e avendo dilatato le dimensioni del nostro cuore, Dio sia sempre più “dentro” la nostra anima e potremo godere di Lui per tutta l’eternità. Il padre e la madre devono collaborare con Dio in questo compito, in un modo molto particolare che deriva dalla loro condizione di genitori.
Il modello è, ancora una volta, Dio stesso. Se, per salvarci, Cristo “annientò” se stesso, manifestando così l’immensità dell’Amore divino, per educare – che in definitiva non è altro che insegnare ad amare – il padre e la madre, in modo simile, devono saper “scomparire” a beneficio di ogni figlio. Vale a dire, i loro interessi, le loro capacità, le loro passioni più nobili non contano, allora, se non nella misura in cui sapranno metterle senza riserve al servizio del compimento del progetto di Dio per ogni figlio. In altre parole, nella proporzione esatta con cui aiutano ogni figlio a scoprire questo progetto – unico, anche se convergente con quello di qualunque altro essere umano –, e stimolano e sostengono la sua libertà, perché sappia portarsi autonomamente fino alla pienezza dell’Amore che gli ha dato l’essere e che di nuovo lo interpella perché liberamente ritorni a Lui. Questo diritto-dovere deriva, come dicevo, dalla loro condizione di genitori.
Come ricorda anche Tommaso d’Aquino, coloro che sono stati la causa del sorgere di una realtà, devono nello stesso modo costituire il motore del suo sviluppo: possono e debbono. Il figlio non è altro che la sintesi dell’amore dei coniugi tra loro, intimamente uniti all’amore di Dio, che crea l’anima. Compete, dunque, ai genitori cooperare con Dio nell’educazione di ogni figlio, come un diritto inalienabile, che contemporaneamente è un dovere dal quale nessuno li può dispensare: perché sono realmente i suoi genitori, per la loro condizione di co-creatori.
Dio bastava a dare la vita a qualunque essere umano; non aveva bisogno di niente e di nessuno. Però volle anche questa volta farci simili a Lui in questa sua azione creatrice, frutto del suo infinito Amore, elevandoci, in un certo senso, all’altezza di co-creatori. E lo fece alla sua maniera, tenendo conto della propria sublimità e, per così dire, della grandezza del fine della sua azione creatrice: ogni persona umana, che deve essere trattata sempre con amore, ma in modo molto particolare nell’istante prodigioso in cui inaugura la sua esistenza, situazione che apre tutte le possibilità che la vita offre e comporta. Per questo, per completare la creazione di ogni nuova persona umana, Dio cercò “qualcosa” di ugualmente meraviglioso: se l’infinito e onnipotente Amore divino è il Testo che narra l’ingresso nella vita dell’essere umano e lo realizza – la Parola di Dio è infinitamente efficace –, l’unico contesto proporzionato a questo Amore senza misura dovrebbe essere un altrettanto grandioso ed eccellente atto d’amore.
Mi riferisco, com’è facile intuire, all’atto meraviglioso con il quale si uniscono intimamente un uomo e una donna che, per amore, si sono donati l’un l’altro e per tutta la vita. Come ho suggerito, questo insieme di verità, di solito poco considerate, costituisce l’ambito e l’orizzonte imprescindibili, in cui si delinea la particolare dottrina della paternità responsabile. Ciò che in essa si suole asserire – e che riservo a un articolo successivo – si comprende del tutto soltanto alla luce della sublimità di coloro che intervengono più direttamente nella generazione e nello sviluppo di ogni persona umana: Dio, lo stesso figlio, ciascuno dei suoi genitori.
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