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Anime ed intelletti senza freno

Tratto da "Cammino di Perfezione" - Capitoli 19, 20

Autore: Santa Teresa d'Avila

CAPITOLO 19

Comincia a trattare dell’orazione. Parla alle anime che non possono discorrere con l’intelletto.

1. Sono passati tanti giorni da quando ho scritto le cose precedenti, senza aver avuto l’opportunità di riprendere a trattarne; se volessi sapere quel che dicevo, dovrei rileggerlo, ma per non perdere tempo, lascerò le cose come vengono, senza un ordine. Per le persone di buona intelligenza e per anime esercitate alla meditazione, che possono raccogliersi in se stesse, ci sono tanti ottimi libri, scritti da autori di così grande merito, che sarebbe un errore far conto di quello che dico io in fatto di orazione. Torno a ripetere: vi sono libri che presentano per ogni giorno della settimana i misteri della vita del Signore e della sua passione, le meditazioni sul giudizio, sull’inferno, sul nostro nulla e su tutto ciò che dobbiamo a Dio, esposti con dottrina e metodo eccellenti per ciò che riguarda il fondamento e il fine dell’orazione. A chi ha la possibilità di consultarli e ha l’abitudine di seguire questo metodo di orazione, non occorre dire che per un così buon cammino il Signore lo condurrà al porto della luce e che a tali buoni principi corrisponderà una fine non meno santa; tutti coloro che potranno seguirlo vi troveranno riposo e sicurezza perché, tenuto a freno l’intelletto, si procede in tutta pace.
Ma ciò di cui vorrei trattare e su cui dare qualche consiglio, se il Signore mi concedesse di colpire nel segno (e se non me lo concede, vorrei almeno farvi capire che vi sono molte anime che soffrono il tormento che sto per dire, affinché non vi pesi troppo se lo proverete anche voi), è questo:

2. Vi sono anime e intelletti così sbrigliati che somigliano a cavalli senza freno che nessuno può fermare: ora vanno qui, ora lì, sempre in agitazione, per loro stessa natura – o perché Dio permette sia così. Mi fanno molta pena, sembrandomi persone assetate che vedono l’acqua da molto lontano e quando vogliono recarsi lì a bere, trovano chi sbarra loro il passo al principio, alla metà e alla fine del cammino. Può darsi che quando, a furia di lottare – e con che dura lotta! – hanno già vinto i primi nemici si lascino vincere dai secondi e preferiscano morire di sete, anziché bere un’acqua che deve costare tanto. E se altri ne hanno a sufficienza per vincere anche la seconda schiera di nemici, di fronte alla terza perdono ogni forza, forse proprio quando erano a due passi dalla fonte d’acqua viva di cui il Signore, parlando alla Samaritana, disse che chi l’avesse bevuta non avrebbe avuto più sete; e con quanta ragione e verità, quale si conviene a parole pronunciate dalla bocca della verità stessa! È proprio così: l’anima, dissetandosi a quell’acqua, non avrà più sete delle cose di questa vita, mentre la sete per le cose dell’altra vita cresce in misura assai maggiore di quanto quaggiù possiamo immaginare in virtù della sete naturale. Ma con quanto ardore si desidera avere questa sete! L’anima, infatti, capisce il suo grande valore; benché sia una sete penosissima, estenuante, trae con sé lo stesso appagamento che ne estingue l’arsura; pertanto è una sete che non uccide se non il desiderio delle cose terrene, anzi sazia in modo tale che, quando Dio la soddisfa, la più grande grazia che può fare all’anima è lasciarla ancora con questa sete – più beve di quest’acqua e più desidera berne.

3. L’acqua – mi viene ora in mente – ha tre proprietà che fanno al mio caso, fra le molte altre che certamente possiede. Una è quella di rinfrescare; infatti, per quanto caldo si abbia, gettandoci nell’acqua, esso scompare; anche un gran fuoco si estingue con essa, salvo che non sia di catrame, perché allora si accende di più. Oh, mio Dio, quale meraviglia è vedere un fuoco che si accende di più con l’acqua, un fuoco forte, potente, non soggetto agli elementi, giacché l’acqua, pur essendo il suo contrario, non lo spegne, ma lo alimenta! Sarebbe molto utile qui poter parlare con chi sapesse di filosofia perché, conoscendo le proprietà delle cose, potrebbe darmi le spiegazioni necessarie, mentre io mi concedo il lusso d’intrattenermi su ciò che non so dire e forse neanche capire.

4. Dal momento in cui Dio, sorelle, vi conduce a bere di quest’acqua – e ve ne sono fra voi che già la devono –, lo farete di gran gusto, e capirete come il vero amor di Dio, se è nella sua piena forza, cioè ormai spoglio interamente di aspirazioni terrene, librandosi a volo sopra di esse, sia il padrone di tutti gli elementi e del mondo; l’acqua che proviene dalla terra, non temete che possa estinguere questo fuoco d’amor di Dio: non ha potere su di esso. Anche se sono elementi contrari, esso è ora signore assoluto e non le è soggetto. Pertanto non vi meraviglierete, sorelle, se insisto tanto in questo libro a esortarvi ad acquistare tale libertà. Non è una bella cosa che una povera monaca di San Giuseppe possa giungere a signoreggiare su tutta la terra e sui suoi elementi? E quale meraviglia può destare il fatto che i santi, con l’aiuto di Dio, facessero di essi ciò che volevano? A san Martino ubbidivano il fuoco e le acque, a san Francesco perfino gli uccelli e i pesci, e così è stato per molti altri santi. Si vedeva chiaramente che, se avevano tale dominio su tutte le cose della terra, ciò si doveva al fatto che si erano adoperati attivamente a disprezzarle, assoggettandosi sinceramente, con tutte le loro forze, al sovrano del mondo. Pertanto, ripeto, l’acqua che nasce dalla terra è impotente contro tal fuoco, le cui fiamme sono molto alte e la cui origine non risiede in cosa tanto bassa. Ci sono altri fuochi di un debole amor di Dio, che si estingueranno per qualunque evento, ma questo assolutamente no; anche se un mare di tentazioni gli si rovesci addosso, non riuscirà a farlo cessare di ardere in modo tale che non finisca per dominarle.

5. Se poi si tratta di acqua che piove dal cielo, questa sarà ancor meno in grado di spegnerlo, perché non si tratta più di elementi contrari, ma provenienti dallo stesso luogo; non temete che si danneggino, anzi l’uno concorre all’effetto dell’altro, perché l’acqua delle vere lacrime (che sono quelle che sgorgano durante la vera orazione, concesse certamente dal Re del cielo) ravviva il fuoco e lo fa durare, mentre il fuoco aiuta l’acqua a raffreddarsi. Oh, mio Dio, che cosa straordinaria e meravigliosa è vedere un fuoco che raffredda! Proprio così, e raggela anche tutte le affezioni del mondo, quando è unito all’acqua viva del cielo, che è la fonte da cui sgorgano le lacrime delle quali ho parlato, donate da Dio, non procurate con il nostro sforzo. Non c’è, quindi, dubbio che quest’acqua ci tolga ogni brama delle cose del mondo e c’impedisca di soffermarci in esse, tranne che non sia nell’intento di comunicare con questo fuoco che, per sua natura, tende a non contentarsi di poco ma, potendolo, a far ardere tutto il mondo.

6. La seconda proprietà dell’acqua è «lavare ciò che non è pulito». Se non ci fosse acqua per lavare, che sarebbe del mondo? Sapete voi quanto deterga quest’acqua viva, quest’acqua celestiale, quest’acqua chiara, quando nulla l’intorbida, nulla l’infanga, quando cade dal cielo? Un’acqua che, bevuta una volta, sono certa che lascia l’anima netta e pura d’ogni colpa, perché – come ho scritto altrove – Dio non concede che si beva di quest’acqua (che non dipende dalla nostra volontà, essendo tale divina unione una grazia del tutto soprannaturale), se non per purificare l’anima e lasciarla netta, liberandola dal fango e da ogni miseria in cui, per le sue colpe, era invischiata. Invece le altre gioie che ci vengono dalla mediazione dell’intelletto, malgrado tutto, attingono a un’acqua che scorre sulla terra; non si beve direttamente alla sorgente. Pertanto, non manca mai lungo questo cammino qualcosa di fangoso che ne ostacola il corso e non è più tanto pura né limpida.
Io non chiamo «acqua viva» questa orazione che – ripeto –, secondo il mio parere, si fa con l’aiuto dell’intelletto, perché, nonostante tutti i nostri sforzi, resta sempre attaccato alla nostra misera natura qualcosa, lungo il cammino, di ciò che non vorremmo.

7. Voglio spiegarmi meglio: noi stiamo meditando sul mondo e sulla caducità di tutti i suoi beni per disprezzarli e, quasi senza rendercene conto, ci troviamo invischiati in cose che di esso amiamo. Desiderose di fuggirle, quanto meno ci è di qualche impaccio pensare com’è stato, che cosa avverrà, che cosa si è fatto e che cosa si deve fare; così che, nel pensare a ciò che fa al caso nostro per liberarci dal pericolo, a volte vi incorriamo di nuovo. Non dico con questo che bisogna rinunciare a tali riflessioni, ma che v’è ragione di temere e che bisogna essere molto cauti.
A questo punto, si prende cura di ciò lo stesso Signore che non vuol fidarsi di noi. Stima tanto la nostra anima che nel tempo in cui la favorisce delle sue grazie non le permette d’invischiarsi in cose che possano nuocerle, ma subito l’avvicina a sé. In un istante le rivela più verità e le dà più chiara conoscenza di tutte le cose del mondo di quanta non potrebbe acquistarne in molti anni, quaggiù, dove la nostra vista non è libera, accecate come siamo dalla polvere che solleviamo durante il cammino. Qui, invece, il Signore ci porta al termine della giornata, senza che ce ne accorgiamo.

8. La terza proprietà dell’acqua è che «sazia e toglie la sete», perché a me sembra che sete voglia dire desiderio di una cosa di cui si ha tanto bisogno: se ci manca del tutto, ne moriamo. È strano che se ci manca moriamo, e se è di troppo, ci dà ugualmente la morte, come avviene degli annegati. Oh, mio Signore, potersi vedere così immersa in quest’acqua viva da perderci la vita! Forse ciò non è possibile? Sì, perché l’amore e il desiderio di Dio possono aumentare a tal punto che la nostra natura umana non riesca a sopportarlo, pertanto ci sono state persone che ne sono morte. Io so di una che se Dio non l’avesse sollecitamente soccorsa con quest’acqua viva in tale abbondanza da farla quasi uscire da sé mediante i rapimenti, si sarebbe trovata esposta a questo rischio. Dico che la faceva quasi uscir da sé, perché così l’anima trova il suo riposo. Sembra che, asfissiata dall’insofferenza del mondo, risusciti in Dio, e Sua Maestà la renda capace di godere tanto che, restando in sé, non potrebbe godere senza morire.

9. Da qui si può vedere che, non essendoci nulla nel nostro sommo Bene che non sia perfetto, tutto ciò che egli ci dà è per il nostro bene, e per quanto abbondante possa essere quest’acqua di cui ci fa dono, non può mai essere eccessiva, venendo da lui. Se, infatti, dà molto, rende l’anima capace – come ho detto – di bere molto, allo stesso modo di un vetraio che fa il vaso della misura necessaria per contenere ciò che vuole mettervi dentro.
Quando il desiderio viene da noi, non è mai esente da imperfezione. Se ha in sé qualcosa di buono, ciò si deve all’aiuto del Signore. Ma siamo così poco discreti che, essendo una pena dolce e piacevole, non crediamo mai di esserne sazi; ce ne alimentiamo a dismisura, stimoliamo con tutte le nostre forze questo desiderio e pertanto, alcune volte, ne moriamo. Morte felice! Ma, forse, vivendo, si sarebbero aiutati altri a morire del desiderio di questa morte. E credo che si tratti di un’insidia del demonio, il quale capisce il danno che gli può venire da queste anime, se restano in vita; pertanto le induce a inopportune penitenze per privarle della salute, il che non è poco per lui.

10. Avverto, quindi, l’anima che giunge ad avere questa sete così impetuosa, di stare bene in guardia, perché può esser certa che incorrerà in tale tentazione; anche se non muore di sete, perderà la salute e lascerà trapelare, pur non volendolo, sentimenti che dovrebbe evitare a ogni costo di far conoscere. A volte la nostra diligenza servirà a poco, perché non potremo nascondere tutto quel che vogliamo; abbiamo almeno l’avvertenza, quando ci assalgono questi impeti così grandi, che fanno crescere tale desiderio, di no aumentarli, ma di arrestarli dolcemente, mediante qualche altra considerazione, perché a volte sarà forse la nostra natura a operare tanto quanto l’amore. Vi sono infatti persone che qualunque cosa, sia pur cattiva, la desiderano ardentemente. Non credo però che ciò accada a quelle dotate di gran mortificazione, virtù utile in tutto. sembra una stoltezza dover frenare un desiderio tanto buono, eppure non lo è, perché io non dico che bisogna annullare il desiderio, ma moderarlo con un altro che forse ci farà guadagnare altrettanto merito.

11. Voglio aggiungere ancora qualcosa per farmi capire meglio. Viene un gran desiderio di vedersi con Dio, liberi da questa prigione del corpo, come l’aveva san Paolo; nasce, di conseguenza, una pena che dev’essere in sé piacevole. Ci sarà quindi bisogno di non poca mortificazione per frenarla, e non ci si riuscirà del tutto. Ma qualora si vedesse che è così forte da togliere quasi l’uso della ragione (come io ho costatato poco tempo fa in una persona impetuosa per natura, anche se abituata a spezzare la sua volontà al punto che mi pare l’abbia perduta del tutto, come si è potuto notare in varie circostanze – io l’ho vista per un attimo come fuor di sé per la gran pena e per lo sforzo di dissimularla), dico che in tali estremi, quando anche si trattasse dello spirito di Dio, sono d’avviso che sia umiltà temere perché non dobbiamo pensare che la nostra carità sia tale da porci in tali angustie.

12. E aggiungo che non ritengo sia male per l’anima (se – ripeto – può farlo, perché forse non potrà sempre farlo) mutare l’oggetto del suo desiderio, pensando che, vivendo, servirebbe meglio Dio e forse anche aiuterebbe qualche anima destinata a perdersi; servendo di più Dio, meriterà, come le è possibile, di godere più di Dio; e non ometta di temere per il poco che lo ha servito. Sono, questi, buoni motivi di conforto di fronte a un così gran tormento e serviranno a mitigare la sua pena e a farle guadagnare molti meriti, poiché proprio nell’intento di servire il Signore si vuole soffrire quaggiù e partecipare in vita alle sue pene. È come se, vedendo qualcuno sotto il peso di una difficile prova e di un gran dolore, lo si consolasse dicendogli di aver pazienza e di abbandonarsi nelle mani di Dio, adempiendo la sua volontà, perché rimettersi a lui è la cosa più sicura in ogni circostanza.

13. E se il demonio ha favorito in qualche modo tale sfrenato desiderio? Ciò sarebbe possibile, come mi pare che racconti Cassiano, a proposito di un eremita di asprissima penitenza, che, per il desiderio di vedere quanto prima Dio, fu istigato dal demonio a gettarsi in un pozzo. Sono certa che quest’eremita non doveva aver servito il Signore con umiltà e perfezione, perché il Signore è fedele e non avrebbe permesso che si accecasse nei riguardi di una cosa tanto evidente. È chiaro che se il desiderio gli fosse venuto da Dio, lungi dal nuocergli, gli avrebbe dato luce, discrezione, equilibrio. È fuori dubbio che, siccome questo avversario mortale cerca di nuocerci con tutti i mezzi, ed è sempre vigile, dobbiamo procurare di esserlo anche noi. È questo un punto molto importante per molte cose, soprattutto per abbreviare il tempo dell’orazione, per quanto piacevole sia, quando si vede che cominciano a mancare le forze fisiche o si sente la testa stanca. In tutto è molto necessaria la moderazione.

14. Perché credete, figlie mie, che io abbia voluto parlarvi del fine a cui siamo chiamate e mostrarvi il premio che ci attende prima della battaglia, parlandovi del bene che consegue dal giungere a bere alla fonte celeste di quest’acqua viva? È stato perché non vi affliggiate per le difficoltà e le contrarietà che presenta il cammino, ma procediate in esso con coraggio e non vi stanchiate. Difatti, come ho detto, può darsi che dopo essere arrivate alla meta, quando non vi manca che abbassarvi per bere, abbandoniate tutto e perdiate questo bene, disperando di avere la forza di raggiungerla e di essere degne di tale dono.

15. Pensate che il Signore invita tutti. Poiché egli è la stessa verità, non c’è da aver dubbi. Se il suo invito non fosse generale, non ci chiamerebbe tutti, e quand’anche ci chiamasse, non direbbe: «Io vi darò da bere». Avrebbe potuto dire: «Venite tutti, perché, infine, non perderete nulla, e io darò da bere a chi vorrò». Ma avendo detto, senza questa restrizione, «tutti», ritengo certo che a tutti coloro i quali non si fermeranno nel cammino, non mancherà quest’acqua viva.
Il Signore, che ce la promette, ci dia la grazia di cercarla come si deve cercare, per quello che egli è!

CAPITOLO 20

Dice come, sia pur attraverso vie differenti, non manchi mai il conforto nel cammino dell’orazione e consiglia le sorelle a parlare di continuo su questo argomento.

1. Sembra che io mi contraddica in quest’ultimo capitolo rispetto a ciò che avevo detto prima perché, volendo offrire una consolazione alle anime che non arrivano a questo grado, affermavo che il Signore guida a sé per diverse strade, come in cielo vi sono molte dimore. Lo riaffermo ora perché Sua Maestà, vedendo la nostra debolezza, vi provvide da par suo. Però non disse: «Gli uni verranno per questa strada e gli altri per quella»; anzi, la sua misericordia è stata così grande che non ha impedito ad alcuno di venire a bere a questa fonte di vita. Sia per sempre benedetto! Con quanta ragione avrebbe potuto impedirlo a me!

2. Poiché non mi ordinò di lasciare questo cammino, quando l’ebbi intrapreso, e fece sì che fossi tuffata nel profondo della sorgente, non c’è dubbio che non lo impedirà a nessuno, anzi, pubblicamente ci chiama a gran voce. Ma, essendo infinitamente buono, non ci costringe a farlo e offre da bere in molti modi a coloro che vogliono seguirlo, affinché nessuno sia privo di conforto né muoia di sete. Da questa fonte abbondante infatti derivano ruscelli, alcuni grandi, altri piccoli, e talvolta piccole pozze per i bambini. A costoro basta poca acqua, mentre il presentare loro molta acqua non farebbe che spaventarli: proprio i bambini sono quelli che si trovano al principio della via di orazione. Pertanto, sorelle mie, non abbiate paura di morire di sete in questo cammino: non manca mai l’acqua delle consolazioni a tal punto che la sete sia intollerabile. Poiché è così, seguite il mio consiglio e non fermatevi lungo la strada, ma lottate da anime forti fino a morire nella ricerca di questo bene, non essendo voi qui se non per combattere la vostra battaglia. Procedendo sempre con la ferma determinazione di morire piuttosto che lasciar di raggiungere la fine del cammino, se il Signore vi farà soffrire un po’ di sete in questa vita, vi darà abbondantemente da bere in quella eterna, ove non dovrete più temere che debba venire a mancarvi. Piaccia al Signore che non siamo noi a venir meno a lui! Amen.

3. Ora, per iniziare questo cammino di cui ho parlato in modo che non si sbagli fin dal primo momento, parliamo un po’ di come si deve iniziare il nostro viaggio, che è la cosa essenziale, vale a dire la più importante a tutti i fini. Non che non si debba intraprenderlo se non si ha la determinazione di cui parlerò, perché il Signore ci aiuterà gradatamente a perfezionarci, e quand’anche non si facesse che un solo passo, esso ha in sé tanta forza che non si deve temere sia un passo perduto né che non ci sarà molto ben ricompensato.
È – diciamo – come chi ha un rosario di indulgenze: se lo recita una volta, guadagna una volta le indulgenze; se, invece, più volte, ne guadagna altrettante di più, ma se non lo recita mai, tenendolo chiuso in uno scrigno, sarebbe meglio che non l’avesse. Pertanto, anche se non si prosegue in questo cammino, dopo averlo cominciato, il poco tratto che di esso si sarà percorso ci darà luce per avanzare bene in altre vie, e tanto maggiore quanto più ci si sarà inoltrati in esso. In conclusione, si può essere certi che non si avrà alcun danno, sotto nessun punto di vista, dall’averlo cominciato, anche se poi si sarà lasciato, perché il bene non è mai causa di male.
Pertanto, figlie mie, procurate di liberare tutte le persone che tratteranno con voi, se le vedete ben disposte e l’amicizia ve lo consente, dalla paura d’iniziare una ricerca così vantaggiosa. Vi prego, per l’amor di Dio, che la vostra conversazione sia sempre rivolta al maggior bene di coloro con cui parlate, perché la vostra orazione deve servire al profitto delle anime. E poiché dovete chiedere sempre questo al Signore, sarebbe male, sorelle, non cercare di adoperarsi in tutti i modi a conseguirlo.

4. Se volete comportarvi da buone parenti, questa dev’essere la vostra vera manifestazione d’affetto; se da buone amiche, sappiate che non potete esserlo se non in questo modo. Regni nei vostri cuori la verità, come dev’essere a causa della meditazione, e vedrete chiaramente quale sia l’amore che dobbiamo avere verso il prossimo.
Non è più il tempo, sorelle, d’intrattenerci in giochi da bambini, giacché altro non mi sembrano queste amicizie del mondo, anche se son buone; né abbiano mai luogo tra voi espressioni di tal genere: «se mi volete bene», o «non mi volete bene», né con parenti né con altri, a meno che siano dette in vista di un fine superiore e per il profitto di qualche anima. Può darsi infatti che per attirare l’attenzione e far accettare una verità da un parente, un fratello o altri, dobbiate prima disporveli con tali espressioni e manifestazioni d’affetto, che riescono sempre gradite alla nostra umana sensibilità. Forse stimeranno di più una di queste buone parole – come esse si chiamano – che non molte parole di Dio, e si disporranno meglio, col loro aiuto, ad accogliere, in seguito, quelle divine. Così non ve le impedisco, purché intese a giovare alle anime, ma se non è a tal fine, non potranno procurarvi alcun vantaggio, e potranno recarvi, invece, molto danno, senza che ve ne accorgiate. Si sa che voi siete religiose e che la vostra vita è fatta di orazione. Guardatevi, quindi, dal dire: non voglio che mi reputino virtuosa; il bene o il male che si vede in voi ricade su tutte. Ed è proprio un gran male che persone le quali hanno un obbligo così rigoroso di non parlare se non di Dio, come le religiose, credano sia meglio, in questo caso, far ricorso alle dissimulazioni, a meno che qualche volta non sia in vista di un bene maggiore. Questo dev’essere il vostro genere di conversazione e il vostro linguaggio; chi vorrà trattare con voi lo impari, altrimenti guardatevi da imparare voi il suo: sarebbe l’inferno.

5. Se vi dovessero considerare come persone grossolane, poco importa; se come ipocrite, ancor meno. Ne guadagnerete che non venga a farvi visita se non chi capirà il vostro linguaggio, perché è fuori d’ogni logica che chi non conosce l’arabo abbia piacere di intrattenersi a lungo con chi non conosce altra lingua. Così nessuno verrebbe più a stancarvi né a nuocervi, perché non sarebbe poco danno cominciare a parlare una nuova lingua, spendendo in questo tutto il vostro tempo. E non potete sapere, come me che ne ho fatto esperienza, il gran male che ciò arreca all’anima, perché nel cercare di apprendere una nuova lingua, si dimentica l’altra. S’incorre in una continua inquietudine, dalla quale dovete rifuggire a ogni costo, essendo soprattutto necessario, per entrare in questo cammino di cui ho cominciato a parlare, aver pace e tranquillità nell’anima.

6. Se le persone che tratteranno con voi volessero imparare la vostra lingua, siccome non è vostro compito insegnare, potete dire loro le ricchezze che si guadagnano con l’apprenderla. Questo no stancatevi di ripeterlo, ma insistete anche con la pietà, con l’amore e con la preghiera perché ne traggano profitto e, avendo compreso quali grandi beni possano ricavarne, vadano a cercarsi un maestro che le istruisca. Non sarebbe piccola grazia che vi farebbe il Signore concedendovi di incitare un’anima al desiderio di questo bene.
Ma quante cose si presentano alla mente nel cominciare a trattare di questo cammino, anche se lo si è percorso così male come ho fatto io! Piaccia al Signore, sorelle, che nel parlarvene io abbia migliore capacità di quella che ho avuto nel percorrerlo! Amen.

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