Cristo vita e resurrezione
V settimana di Quaresima
Autore: Autori Cristiani
“Gesù disse: Questa malattia non è per la morte,
ma per la gloria di Dio,
perché per essa il Figlio di Dio venga glorificato”.
(Gv 11, 4)
INTRODUZIONE
Il peccato è la morte dell’anima, nella misura in cui rompe quel rapporto vitale che lega l’uomo a Dio. Credendosi autosufficiente, l’uomo falsifica l’immagine di Dio, concependolo in concorrenza con la propria libertà, e si sforza di decidere autonomamente del bene e del male. In tal modo egli si condanna ad una forma di solitudine, rifiutando Dio, gli uomini, il mondo creato. Il processo è graduale: Agostino ne parla interpretando allegoricamente tre episodi del Vangelo dedicati ad altrettanti casi di “morti”. La morte fisica è solo il segno di un’altra morte, quella spirituale, prodotta dal peccato: dal peccato di intenzione si passa a quello di azione, fino al grado ultimo del peccato legato all’abitudine. È un quadro fosco, che non deve spingere l’uomo sull’orlo della disperazione, perché il rimedio è alla sua portata. Solo Cristo morto e risorto può liberarlo da un simile “ottundimento dello spirito”: Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte? Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore! (Rom 7, 24-25).
DAL “COMMENTO AL VANGELO DI S. GIOVANNI” DI SANT’AGOSTINO, VESCOVO (In Io. Ev. tr. 49, 1.2.3)
Se hai peccato, pentiti e il Signore ti risusciterà e ti restituirà alla Chiesa
Fra tutti i miracoli compiuti da nostro Signore Gesù Cristo, quello della risurrezione di Lazzaro è forse il più strepitoso. Ma se consideriamo chi è colui che lo ha compiuto, la nostra gioia dovrà essere ancora più grande della meraviglia. Risuscitò un uomo colui che fece l’uomo; egli infatti è l’Unigenito del Padre, per mezzo del quale, come sapete, furono fatte tutte le cose. Ora, se per mezzo di lui furono fatte le cose, fa meraviglia che per mezzo di lui sia risuscitato uno, quando ogni giorno tanti nascono per mezzo di lui? È cosa più grande creare gli uomini che risuscitarli. Tuttavia egli si degnò creare e risuscitare: creare tutti e risuscitarne alcuni.
Apprendiamo dal Vangelo che tre sono i morti risuscitati dal Signore e ciò non senza un significato. Sì, perché le opere del Signore non sono soltanto dei fatti, ma anche dei segni. E se sono dei segni, oltre ad essere mirabili, devono pur significare qualcosa; e trovare il significato di questi fatti è alquanto più impegnativo che leggerli o ascoltarli.
Se dunque il Signore, per sua grande grazia e misericordia, risuscita le anime affinché non si muoia in eterno, ben possiamo supporre che quei tre che egli risuscitò nei loro corpi significano e adombrano la risurrezione delle anime, che si ottiene mediante la fede. Risuscitò la figlia del capo della sinagoga, che si trovava ancora in casa (cf. Mc 5, 41-42); risuscitò il giovane figlio della vedova, che era già stato portato fuori della città (cf. Lc 7 14-15); risuscitò Lazzaro, che era stato sepolto da quattro giorni. Esamini ciascuno la sua anima: se pecca muore, giacché il peccato è la morte dell’anima. A volte si pecca solo col pensiero: ti sei compiaciuto di ciò che è male, hai acconsentito, hai peccato; il consenso ti ha ucciso; però la morte è solo dentro di te, perché il cattivo pensiero non si è ancora tradotto in azione. Il Signore, per indicare che egli risuscita tal sorta di anime, risuscitò quella fanciulla che ancora non era stata portata fuori, ma giaceva morta in casa, a significare il peccato occulto. Se però non soltanto hai ceduto col pensiero al male, ma lo hai anche tradotto in opere, è come se il morto fosse uscito dalla porta; ormai sei fuori e sei un morto portato alla sepoltura. Il Signore tuttavia risuscitò anche quel giovane e lo restituì a sua madre vedova. Se hai peccato, pentiti! e il Signore ti risusciterà e ti restituirà alla Chiesa, che è la tua madre. Il terzo morto è Lazzaro. Siamo di fronte al caso più grave, che è l’abitudine perversa. Una cosa infatti è peccare, un’altra è contrarre l’abitudine al peccato. Chi pecca, ma subito si emenda, subito riprende a vivere; perché non è ancora prigioniero dell’abitudine, non è ancora sepolto. Chi invece pecca abitualmente, è già sepolto e ben si può dire che già emette fetore, nel senso che la cattiva fama che si è fatta comincia a diffondersi come un pestifero odore. Così sono coloro che ormai sono abituati a tutto e persi dietro ogni scelleratezza. Inutile dire a uno di costoro: non fare così! Come fa a sentirti chi è come sepolto sotto terra, corrotto, oppresso dal peso dell’abitudine? Né tuttavia la potenza di Cristo è incapace di risuscitare anche uno ridotto così. Abbiamo conosciuto, abbiamo visto e ogni giorno vediamo uomini che, cambiate le loro pessime abitudini, vivono meglio di altri che li rimproveravano. Tu, ad esempio, avevi molto da ridire sulla condotta del tale: ebbene, guarda la sorella stessa di Lazzaro (ammesso che sia lei la peccatrice che unse i piedi del Signore, e glieli asciugò con i suoi capelli dopo averglieli lavati con le sue lacrime); la sua risurrezione è più prodigiosa di quella del fratello, perché è stata liberata dal grave peso dei suoi cattivi costumi inveterati. Era infatti una famosa peccatrice e di lei il Signore disse: Le sono rimessi molti peccati, perché ha amato molto (Lc 7, 47). Abbiamo visto e conosciamo molti di questi peccatori: nessuno disperi, nessuno presuma di sé. È male disperare ed è male presumere di sé. Non disperare e scegli dove poter collocare la tua speranza.
Inizio
LUNEDÌ
“Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita”.
(1 Gv 3, 14a)
INTRODUZIONE
“Quando è che muore l’anima? Quando manca la fede. Quando è che muore il corpo? Quando viene a mancare l’anima. La fede è l’anima della tua anima […] Se in noi c’è fede, in noi c’è Cristo” (In Io. Ev. tr. 49, 15. 19).
DAL “COMMENTO AL VANGELO DI S. GIOVANNI” DI SANT’AGOSTINO, VESCOVO (In Io. Ev. tr. 49, 2)
Ogni uomo che crede, risorge
Abbiamo ascoltato il Vangelo che racconta come Lazzaro riebbe la vita, pieni di ammirazione come se quello spettacolo meraviglioso si svolgesse davanti ai nostri occhi. Se però rivolgiamo la nostra attenzione ad opere di Cristo più meravigliose di questa ci rendiamo conto che ogni uomo che crede risorge; se poi riuscissimo a comprendere l’altro genere di morte molto più detestabile, (quello cioè spirituale), vedremmo come ognuno che pecca muore. Se non che tutti temono la morte del corpo, pochi quella dell’anima. Tutti si preoccupano per la morte del corpo, che prima o poi dovrà venire, e fanno di tutto per scongiurarla. L’uomo destinato a morire si dà tanto da fare per evitare la morte, mentre non altrettanto si sforza di evitare il peccato l’uomo che pure è chiamato a vivere in eterno. Eppure quanto fa per non morire, lo fa inutilmente: al più ottiene di ritardare la morte, non di evitarla. Se invece si impegna a non peccare, non si affaticherà e vivrà in eterno. Oh, se riuscissimo a spingere gli uomini, e noi stessi insieme con loro, ad amare la vita che dura in eterno almeno nella misura che gli uomini amano la vita che fugge! Che cosa non fa uno di fronte al pericolo della morte? Quanti, sotto la minaccia che pendeva sul loro capo, hanno preferito perdere tutto pur di salvare la vita! Chi infatti non lo farebbe per non essere colpito? E magari, dopo aver perduto tutto, qualcuno ci ha rimesso anche la vita. Chi pur di continuare a vivere, non sarebbe pronto a perdere il necessario per vivere, preferendo una vita mendicante ad una morte anticipata? Se si dice a uno: se non vuoi morire devi navigare, esiterà forse a farlo? Se a uno si dice: se non vuoi morire devi lavorare, si lascerà forse prendere dalla pigrizia? Dio ci comanda cose meno pesanti per farci vivere in eterno e noi siamo negligenti nell’obbedire. Dio non ti dice: getta via tutto ciò che possiedi per vivere poco tempo tirando avanti stentatamente; ti dice: dona i tuoi beni ai poveri se vuoi vivere eternamente nella sicurezza e nella pace. Coloro che amano la vita terrena, che essi non possiedono né quando vogliono né finché vogliono, sono un continuo rimprovero per noi; e noi non ci rimproveriamo a vicenda per essere tanto pigri, tanto tiepidi nel procurarci la vita eterna, che avremo se vorremo e che non perderemo quando l’avremo. Invece questa morte che temiamo, anche se non vogliamo, ci colpirà.
Inizio
MARTEDÌ
“Io sono la resurrezione e la vita;
chi crede in me, anche se muore, vivrà;
chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno”.
(Gv 11, 25)
DAL “COMMENTO AL VANGELO DI S. GIOVANNI” DI SANT’AGOSTINO, VESCOVO (In Io. Ev. tr. 22, 6-8)
Risorgi nel tuo cuore: credi e confessa!
Compi fin d’ora il passaggio dalla morte alla vita. Quale è la tua vita? È la fede: Il giusto vive della fede (Ab 2, 4; Rm 1, 17). Che dire allora degli infedeli? Essi sono morti. A siffatti morti apparteneva, quanto al corpo, quel tale di cui il Signore disse: Lascia i morti seppellire i morti (Mt 8, 22). In questa vita, quindi, vi sono dei morti e dei vivi, anche se apparentemente tutti sono vivi. Chi sono i morti? Quelli che non credono. Chi sono i vivi? Quelli che credono. Cosa dice ai morti l’Apostolo? Svegliati, tu che dormi. Ma dirai: parla di sonno, non di morte. Ascolta come prosegue: Svegliati tu che dormi e risorgi dalla morte. E come se il morto chiedesse: e dove andrò? l’Apostolo continua: E Cristo ti illuminerà (Ef 5, 14). Quando, credendo in Cristo, sei da lui illuminato, tu passi dalla morte alla vita: permani nella vita alla quale sei passato e non incorrerai nel giudizio.
Così spiega il Signore, aggiungendo: In verità, in verità vi dico. Affinché non intendessimo le sue parole: è passato dalla morte alla vita, come riferite alla risurrezione futura, e volendo mostrare come nel credente si compia questo passaggio e che questo passaggio dalla morte alla vita è il passaggio dall’infedeltà alla fede, dall’iniquità alla giustizia, dalla superbia all’umiltà, dall’odio alla carità, egli con solennità dichiara: In verità, in verità vi dico: viene l’ora, ed è questa … Poteva essere più esplicito? In questo modo ci ha già chiarito il suo pensiero, che cioè si compie adesso il passaggio al quale Cristo ci esorta. Viene l’ora. Quale ora?… ed è questa, in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio e coloro che l’avranno ascoltata vivranno (Gv 5, 25). Si è già parlato di questi morti. Credete voi, miei fratelli, che in mezzo a questa folla che mi ascolta non ci siano di questi morti? Quelli che credono e operano in conformità alla vera fede, sono vivi e non morti; ma quelli che non credono, o credono alla maniera dei demoni, che cioè tremano di paura e vivono male (cf. Gc 2, 19), che confessano il Figlio di Dio e sono privi di carità, sono piuttosto da considerarsi morti. E certamente l’ora di cui parla il Signore è tuttora presente: non è una delle dodici ore del giorno. Da quando egli parlò fino al tempo presente, e sino alla fine del mondo, quest’ora è in corso. È l’ora di cui parla Giovanni nella sua epistola: Figlioli, è iniziata l’ultima ora (1Gv 2, 18). È questa l’ora, è adesso. Chi vive, viva; chi era morto, risorga; ascolti, chi giaceva morto, la voce del Figlio di Dio, si alzi e viva. Il Signore lanciò un grido verso il sepolcro di Lazzaro e colui che era morto da quattro giorni, risuscitò. Colui che già si decomponeva, uscì fuori all’aria libera; era sepolto sotto una grossa pietra, la voce del Signore penetrò la durezza della pietra; ma il tuo cuore è così duro che quella voce divina non è ancora riuscita a spezzarlo. Risorgi nel tuo cuore, esci fuori dal tuo sepolcro. Perché quando stavi morto nel tuo cuore, giacevi come in un sepolcro ed eri come schiacciato sotto il peso della cattiva abitudine. Risorgi e vieni fuori! Che significa: Risorgi e vieni fuori? Credi e confessa. Colui che crede risorge e colui che confessa esce fuori. Perché diciamo che colui che confessa viene fuori? Perché prima della professione di fede, era occulto; ma dopo la professione di fede, viene fuori dalle tenebre alla luce.
Viene l’ora, ed è questa, in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio e quelli che l’avranno ascoltata vivranno. Come potranno vivere? In virtù della vita stessa. Di quale vita? Di Cristo? Come si dimostra che vivranno in virtù della vita che è Cristo? Io sono – egli dice – la via, la verità e la vita (Gv 14, 6). Vuoi tu camminare? Io sono la via. Vuoi evitare l’errore? Io sono la verità. Vuoi sfuggire alla morte? Io sono la vita. Questo ti dice il tuo Salvatore: Non hai dove andare se non vieni a me e non c’è via per cui tu possa camminare se io non sono la tua via.
Inizio
MERCOLEDÌ
“Chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato,
ha la vita eterna e non va incontro al giudizio”.
(Gv 5, 24)
INTRODUZIONE
Quando lo sguardo di Agostino si eleva verso l’alto per contemplare con gli occhi del cuore la vita eterna, la sua voce si colora di un intenso lirismo. Le sue pagine ci immettono in un’aurea mistica che tenta di descrivere la bellezza spirituale che ci attende. La fatica del pellegrinaggio terreno, la sete e la fame patite durante il viaggio, le sofferenze sopportate nella carne lasceranno il posto ad un indicibile delizia: “La nostra anima avrà allora il suo cibo: il Verbo stesso di Dio, per il quale tutte le cose sono state create” (En. in ps. 62, 10). E solo allora non vi sarà più nulla da chiedere o da desiderare.
DAI “DISCORSI”DI SANT’AGOSTINO, VESCOVO (Serm. 150, 8.9-8.10)
Cristo è la beatitudine e la via alla beatitudine
Tu desideravi la fortezza; di’: Signore, mia forza (Sal 45, 2). Desideravi la vita felice; di’: Beato l’uomo che tu istruisci, Signore (Sal 93, 12). Beato infatti il popolo la cui felicità non è il piacere carnale, non è la virtù propria, ma: Beato il popolo il cui Dio è il Signore (Sal 143, 15). Questa è la patria della beatitudine che tutti vogliono; ma non tutti la desiderano con rettitudine. Noi, invece, non intendiamo aprirci, per così dire, con artificio, nel nostro cuore, una via verso tale patria e approntare sentieri che portano all’errore; di lì viene anche la via.
Dunque l’uomo felice vuole altro che non essere ingannato, non morire, non soffrire? E che desidera? Avere più fame e mangiare di più? Perché, se è meglio non aver fame? Nessuno è felice se non chi vive in eterno senza alcun timore, senza alcun inganno. Infatti l’anima detesta d’essere ingannata. […] Perciò, in quella patria, ci sarà la verità, non si troverà mai l’inganno e l’errore. Ma ci sarà la verità e non ci sarà il pianto; poiché ci sarà e l’autentico ridere e il godere della verità, perché ci sarà la vita. Infatti se ci sarà dolore, non ci sarà la vita; poiché neppure va chiamata vita un perpetuo, inestinguibile tormento […] ma chiamò vita quella che è felice ed eterna. In conseguenza, quel ricco domandava al Signore: Che devo fare di buono per ottenere la vita eterna? Ma il Signore chiamava veramente vita eterna solo la vita felice; poiché gli empi avranno la vita eterna, ma non la vita felice, in quanto piena di tormenti. Così quello disse: Signore, che devo fare di buono per ottenere la vita eterna? Il Signore gli parlò dei comandamenti. Quello, di rimando: Ho osservato tutte queste cose. Ma [il Signore], nel parlare dei comandamenti, come si espresse? Se vuoi giungere alla vita (Mt 19, 16-17). Non gli disse: “felice”, perché una vita piena di miserie non va chiamata vita. Non gli aggiunse: “eterna”, perché neppure va chiamata vita quando c’è il timore della morte. Quindi, quanto alla vita, che è degna di questo nome, così che si chiami vita, non si tratta che della vita felice; e non è felice se non è eterna. Questa vogliono tutti, questa vogliamo tutti: la verità e la vita; ma per dove si giunge ad un possesso di così grande valore, ad una così grande felicità? I filosofi si costruirono vie di errore; alcuni dissero: Per di qua; altri: Non per di qua ma per di là. Si tenne nascosta a loro la via, perché Dio resiste ai superbi. Sarebbe nascosta anche a noi se non fosse venuta a noi. Per questo il Signore: Io – disse – sono la via. Pigro viandante, non volevi giungere alla via; è venuta a te la via. Cercavi per dove andare: Io sono la via. Cercavi dove giungere: Io sono la verità e la vita (Gv 14, 6). Non finirai nell’errore se andrai a lui per mezzo di lui. Questa è la dottrina dei Cristiani.
Inizio
GIOVEDÌ
“Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù,
dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio;
pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra”.
(Col 3, 1-2)
DALLE “ESPOSIZIONI SUI SALMI” DI SANT’AGOSTINO VESCOVO (En. in Ps. 62, 6)
La promessa della resurrezione della carne
Come alla nostra anima è promessa la beatitudine, così alla carne nostra è promessa la resurrezione. Sì, la resurrezione della carne ci è stata promessa. Ascoltate e imparate; e tenete a mente quale sia la speranza dei cristiani e per qual motivo noi siamo diventati cristiani. Non siamo infatti cristiani per cercare la felicità terrena che molti possiedono, anche i delinquenti e gli scellerati. Per un’altra felicità noi siamo cristiani: per una felicità che otterremo quando sarà finita completamente la vicenda di questo mondo. Ebbene, sì, ci è promessa la resurrezione della carne: e il significato di tale resurrezione promessaci è che questa carne che ora noi portiamo alla fine risorgerà. Non vi sembri incredibile. Se Dio ci ha creati, quando non eravamo, non potrà ricomporre una carne che già esisteva? Non vi sembri dunque incredibile, anche se vedete imputridire i morti, anche se li vedete ridotti a polvere e cenere; anche se un cadavere viene bruciato, oppure se i cani lo dilaniano, non per questo dovrete credere che esso non risorgerà. Tutti i corpi che, per essersi o disgregati o marciti, sono divenuti minutissime particelle, per Dio sono integri. Ritornano infatti in quegli elementi del mondo donde dapprima erano venuti quando l’uomo venne creato. Noi non vediamo tali elementi primordiali; Dio tuttavia, nella maniera che egli conosce, li rintraccerà, così come, prima che noi fossimo, ci ha formati conforme alla sua sapienza. Orbene, la resurrezione della carne che ci è promessa è tale che, pur risorgendo con la stessa carne che ora portiamo, la carne però non avrà più quella corruttibilità che ora possiede. Ora infatti, fragili e corruttibili come siamo, se non mangiassimo ci sentiremmo stanchi e avremmo fame; se non bevessimo, verremmo meno e avremmo sete. Se rimaniamo svegli per molto tempo, ci stanchiamo e dobbiamo dormire; e quando siamo stanchi di dormire ci svegliamo. Se mangiamo e beviamo troppo, anche se mangiamo e beviamo per ristorarci, questo esagerato protrarsi della refezione diviene causa di debolezza. Se stiamo molto tempo in piedi, ci stanchiamo e ci dobbiamo mettere seduti; ma anche di stare troppo a lungo seduti ci stanchiamo e dobbiamo alzarci. Osservate inoltre come per la nostra carne non si dia alcuna stabilità. L’infanzia se ne vola passando nella fanciullezza; tu cerchi l’infanzia ed essa non c’è più, perché già al suo posto c’è la fanciullezza. Ma questa in un attimo vola nell’adolescenza; cerchi la fanciullezza e non la trovi. L’adolescente diventa giovane; cerchi l’adolescente e non c’è più. Il giovane diventa vecchio; cerchi il giovane e non c’è. Il vecchio muore: cerchi il vecchio e non lo trovi più. La nostra vita, nelle sue varie età, non si arresta; e dovunque c’è fatica, dovunque stanchezza, dovunque deterioramento. Mirando però alla speranza della resurrezione che Dio ci ha promessa, in tutte queste fasi del nostro decadere noi abbiamo sete di quella incorruttibilità; e così la nostra carne ha sete di Dio in molte maniere. In molti modi ci si stanca, e in molti modi si ha sete di quella incorruttibilità che non conosce stanchezza.
Inizio
VENERDÌ
“Beato chi abita la tua casa:
sempre canta le tue lodi!”.
(Sal 84, 5)
INTRODUZIONE
Leggiamo un brevissimo discorso pronunciato da Agostino nel tempo di Quaresima, costruito sulla contrapposizione tra la vita di quaggiù, segnata dalle fatiche del tempo presente, e la vita di lassù, simboleggiata dal riposo del tempo futuro. Un tale riposo non sarà dominato dall’ozio o dall’inattività, ma contraddistinto da tre atteggiamenti che Agostino esprime con altrettanti verbi a lui tanto cari: vedere, amare e lodare Dio.
DAI “DISCORSI”DI SANT’AGOSTINO, VESCOVO (Serm. 211/A)
La promessa della resurrezione della carne
Il Signore nostro Gesù Cristo con la sua passione ha dato un significato alle fatiche e alle tribolazioni della vita del tempo presente; con la sua risurrezione ci ha garantito la vita eterna e beata del tempo futuro. Sopportiamo pertanto gli inconvenienti della vita presente e speriamo nei beni futuri. In questo periodo [di Quaresima] viviamo i nostri giorni – che simboleggiano le fatiche del tempo presente – nei digiuni e nell’osservanza quaresimale non risparmiando la nostra vita; il periodo che verrà poi simboleggia il tempo futuro. Ancora non ci siamo; infatti ho detto “simboleggia” e non “sarà”. Fino alla Passione dunque è tempo di penitenza, dopo la risurrezione sarà tempo di lode.
In quella vita eterna infatti, nel regno di Dio, la nostra occupazione sarà questa: vedere, amare, lodare. Che cosa faremo lì? Delle azioni che si compiono in questo mondo alcune sono imposte dalla necessità, altre sono delittuose. Quali sono le azioni imposte dalla necessità? Seminare, arare, piantare vigneti, navigare, macinare, cuocere, tessere e altre azioni simili, ugualmente necessarie. Ma anche le nostre opere buone rientrano tra le azioni necessarie. Spezzare il pane all’affamato: tu non lo fai per necessità, ma ne ha bisogno colui al quale spezzi il pane. Accogliere il viandante, vestire l’ignudo, riscattare il prigioniero, visitare l’ammalato, consigliare il dubbioso, liberare l’oppresso: tutte queste azioni rientrano nell’elemosina. Sono azioni necessarie. Quali sono le azioni delittuose? Rubare, depredare, ubriacarsi, giocare a dadi, esigere interessi: ma chi può contare tutti i possibili delitti? Nel regno celeste invece non ci saranno azioni necessarie da compiere, perché non ci sarà alcuna miseria, e non ci saranno azioni delittuose perché nessuno darà fastidio all’altro. Dove non c’è miseria non ci sono azioni da compiere per venire incontro alla necessità; dove non c’è cattiveria non ci sono azioni delittuose. Che cosa dovrai fare infatti per poter mangiare, quando nessuno ha fame? Come potrai compiere le stesse opere di misericordia? A chi spezzerai il pane se nessuno ne avrà bisogno? Quale malato visiterai se lì la salute non verrà mai meno? Quale morto seppellirai se l’immortalità non finirà mai? Verranno meno dunque le azioni fatte per necessità. Per quanto riguarda invece le azioni delittuose, se le avrai fatte in questa vita non perverrai alla vita eterna. Ditemi allora: che cosa faremo lì? Dormiremo? In questa vita infatti quando non si sa che cosa fare si va a letto. Ma lì non ci sarà sonno, perché non ci sarà alcuna stanchezza. Non faremo azioni imposte dalla necessità. Non dormiremo. Ma che cosa faremo? Nessuno abbia timore di annoiarsi, nessuno creda che anche lì ci sarà noia. Forse ora ti annoi a star bene? Ogni cosa in questa vita alla fine stanca; la salute però non stanca mai. Se la salute non ti stanca, ti stancherà l’immortalità? Che cosa faremo dunque? Canteremo Amen e Alleluia. Qui infatti facciamo certe cose, lì ne faremo altre. Non dico: di giorno e di notte, ma: nel giorno senza fine. Faremo ciò che ora fanno le potenze dei cieli, i serafini; senza stancarsi dicono: Santo, santo, santo il Signore Dio degli eserciti (Is 6, 3); lo dicono senza annoiarsi. Si stanca forse ora il pulsare delle tue vene? Finché vivi la tua vena pulsa; tu fai una cosa e facendola ti stanchi, ti riposi un poco e ritorni alla tua opera, ma la tua vena non si stanca. Come la tua vena non si stanca nel lavorare per la tua salute, così la tua lingua e il tuo cuore non si stancheranno nella lode di Dio, quando sarai immortale. Ascoltate una testimonianza sulla occupazione che avrete. Ma che significa “sull’occupazione che avrete”? Questa occupazione sarà un riposo. In che cosa consisterà questa occupazione riposante? Nel lodare il Signore. Ascoltate dunque la testimonianza: beati coloro che abitano nella tua casa. Il Salmo dice così: beati coloro che abitano nella tua casa. E come se chiedessimo: Perché beati? Avranno molto oro? Ma coloro che hanno molto oro sono molto infelici. Beati costoro che abitano nella tua casa. Perché dunque beati? Questa è la loro beatitudine: Ti loderanno nei secoli eterni (Sal 84, 5).
Inizio
SABATO
“Possa Dio davvero illuminare gli occhi della vostra mente
per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati,
quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi”.
(Ef 1, 18)
INTRODUZIONE
“La virtù teologale della speranza da una parte spinge il cristiano a non perdere di vista la meta finale che dà senso e valore all’intera sua esistenza e, dall’altra, gli offre motivazioni solide e profonde per l’impegno quotidiano nella trasformazione della realtà per renderla conforme al progetto di Dio” (Giovanni Paolo II, TMA nr. 46). Occorre alimentarci della speranza, desiderando nella fede il Regno dei cieli e la vita eterna, ben sapendo che in noi, nel battesimo, è già stato posto il germe della partecipazione alla vita divina. La speranza è il sostegno e l’incoraggiamento per chi è in cammino sulla terra; nella casa di Dio invece essa è destinata ad eclissarsi, cedendo il posto alla carità, alla piena comunione con Dio Trinità.
DALLE “ESPOSIZIONI SUI SALMI” DI SANT’AGOSTINO VESCOVO (En. in Ps. 41, 10-12)
Perseveriamo nella speranza
Vivi frattanto nella speranza. La speranza che si vede non è speranza; ma se speriamo ciò che non vediamo è per mezzo della pazienza che noi l’aspettiamo (cf. Rom 8, 24-25).
Spera in Dio. Perché spera? Perché ancora potrò dar lode a Lui. Come lo loderai? Salvezza del mio volto, Dio mio. La salvezza non mi può venire da me stesso; questo dirò, questo confesserò: Salvezza del mio volto, Dio mio. Infatti, temendo quelle cose che in qualche modo ha conosciuto, le esamina di nuovo perché non si insinui il nemico, e ancora, dice, non sono salvo da ogni parte. Avendo infatti le primizie dello Spirito, gemiamo in noi stessi aspettando l’adozione e la redenzione del nostro corpo (cf. Rom 8, 23). Perfezionata in noi quella salvezza, saremo nella casa di Dio e vivremo senza fine e senza fine loderemo colui al quale è detto: Beati coloro che abitano nella tua casa, nei secoli dei secoli ti loderanno (Sal 83, 5). Questo non è ancora accaduto, perché non è ancora venuta quella salvezza che è promessa; ma lodo il mio Dio nella speranza e gli dico: Salvezza del mio volto, Dio mio. Perché nella speranza già siamo salvati; ma la speranza che si vede non è speranza. Persevera dunque per giungere alla salvezza; persevera finché la salvezza non verrà. Ascolta il tuo stesso Dio che ti parla dal tuo intimo: spera nel Signore, comportati da uomo, e si conforti il tuo cuore, e spera nel Signore (Sal 26, 14); perché chi avrà perseverato fino alla fine, costui sarà salvo (Mt 10, 24; 24, 13). Orbene perché sei triste, anima mia, e perché mi turbi? Spera in Dio perché ancora potrò dar lode a Lui. Questa è la mia lode: Salvezza del mio volto, Dio mio.
Ascolta più chiaramente questo concetto. Non sperare in te, ma nel tuo Dio. Infatti, se speri in te, la tua anima si preoccupa per te; perché non è ancora sicura di te stesso. Ebbene poiché l’anima mia si è turbata per me, che mi resta se non l’umiltà, in modo che l’anima non presuma troppo di se stessa? Che le resta, se non che si faccia piccolissima, che si umili, se vuol meritare di essere esaltata? Non attribuisca nessun merito a se stessa, in modo che sia attribuito tutto a Colui dal quale è vantaggioso tutto attenderci.
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