20 minuti

Discorso ai Giovani II

Omelia

Autore: San Basilio Magno

VIII

Ma torniamo a quello che dicevo all’inizio, che cioè non bisogna accogliere tutto indistintamente, ma solo quanto torna utile. Sarebbe infatti vergognoso evitare i cibi dannosi e non fare invece alcun conto delle letture che nutrono la nostra anima, ingurgitando tutto ciò che ci capita come un torrente in piena. Che senso avrebbe che, mentre un timoniere non abbandona la nave al capriccio dei venti ma la dirige verso il porto, un arciere tenta di colpire il segno, un fabbro o un falegname cercano di realizzare la loro arte, noi invece restassimo indietro a tali artigiani nel saper riconoscere lo scopo del nostro agire? Non è infatti possibile che il lavoro degli artigiani abbia un fine, mentre la vita umana non abbia uno scopo, in vista del quale tutto deve fare e dire colui che non vuole assomigliare agli animali privi di ragione. Altrimenti, saremmo simili a navi senza ancora, perché nessun criterio razionale presiederebbe alla guida dell’anima, trasportati alla deriva qua e là lungo la vita.

È un po’ come avviene nelle gare sportive o, se vuoi, in quelle musicali, dove gli esercizi vengono fatti appunto in funzione di quelle gare per le quali ci sono in palio dei premi; e a nessuno che si eserciti nella lotta o nel pancrazio interessa suonare la cetra o il flauto. Non faceva di certo così Polidamante, ma, prima di partecipare ai giochi olimpici, si allenava fermando i carri in corsa e aumentava così la sua forza. Anche Milone non mollava la presa dal proprio scudo, che aveva per di più unto d’olio, ma resisteva agli urti quasi fosse una statua saldata col piombo. Insomma, tali esercizi servivano loro da preparazione alle gare. Se costoro, trascurando la polvere e le palestre, si fossero invece dedicati alle musiche dei cantori frigi Marsia e Olimpo, avrebbero ottenuto premi e gloria o piuttosto non avrebbero evitato una figuraccia nelle gare atletiche?

D’altro canto, nemmeno Timoteo perdeva il suo tempo nelle palestre, trascurando la musica. Altrimenti non gli sarebbe stato possibile eccellere fra tutti nella musica, dove raggiunse un livello tale da riuscire, a suo piacimento, ad esaltare l’anima con un’armonia grave e austera per poi calmarla e intenerirla con una tonalità più morbida. Si racconta ad esempio che, mentre suonava il flauto nel modo frigio davanti ad Alessandro, lo eccitò al punto che nel bel mezzo del banchetto questi corse alle armi e poi, addolcendo il tono, lo riportò tra i commensali. Tanta è l’efficacia che procura l’esercizio, sia nella musica sia nelle gare sportive, per il raggiungimento dello scopo!

Siccome ho parlato di premi e di atleti, vorrei ricordare che questi uomini, dopo aver sostenuto prove su prove, aver in mille modi accresciuto la loro forza, aver versato tanto sudore negli allenamenti e ricevuto tanti colpi a scuola di ginnastica e dopo essersi scelto come regime di vita non quello più comodo, ma quello prescritto dagli istruttori; insomma, per non farla troppo lunga, comportandosi in modo che tutta la vita prima della gara non sia altro che un esercizio preparatorio ad essa, solo allora affrontano lo stadio e si sottopongono ad ogni fatica e pericolo per conquistare una corona d’ulivo o di apio o d’altro del genere ed esser proclamati vincitori dall’araldo.

E noi, che per la gara della vita abbiamo in palio premi meravigliosi per quantità e grandezza tanto che è impossibile descriverli a parole, pensiamo di riuscire ad afferrarli con una mano, dormendo fra due guanciali e vivendo in tutta tranquillità? Ma allora nella vita avrebbe più valore la pigrizia; e il famoso Sardanapalo otterrebbe il primo posto tra gli uomini felici o anche, se vuoi, quel Margite, che Omero –se proprio di Omero è l’opera –disse non aver mai né arato né zappato né fatto alcunché di importante nella vita! Non è vero piuttosto il detto di Pittaco secondo cui è difficile essere virtuosi? Infatti, solo dopo esser passati attraverso molte prove, potremmo, e pure a stento, ottenere quei beni, che, come dicevo, non hanno paragone in questo mondo.

Perciò non dobbiamo darci all’ozio né barattare grandi speranze col benessere di un momento, se non vogliamo attirarci la vergogna e subire castighi, non tanto quaggiù tra gli uomini (per quanto anche questo non sarebbe di poco conto per chi ha un po’ di senno), quanto in quei luoghi di pena, sotto terra o in qualunque altro punto dell’universo si trovino. Chi dunque involontariamente viene meno al proprio dovere, potrà anche ricevere da Dio un qualche perdono; ma chi deliberatamente ha scelto il male, nessuna scusa potrà sottrarlo ad una pena ben più severa.

IX

Che faremo allora? domanderà qualcuno. Cos’altro se non avere cura dell’anima e trascurare tutto il resto? Non dobbiamo pertanto essere schiavi del corpo se non quanto è strettamente necessario. Bisogna invece dare all’anima il meglio, liberandola, attraverso una tensione morale, da quella specie di prigione in cui si trova per la comunanza con le passioni del corpo e, al tempo stesso, cercando di rendere il corpo più forte delle stesse passioni. Diamo sì al ventre il necessario, ma non quanto c’è di più piacevole, come fanno coloro che pensano solo a cercare organizzatori di banchetti e cuochi, setacciando tutta la terra e il mare, come se dovessero pagare un tributo ad un duro padrone. Fanno pena per questa loro frenesia, giacché non soffrono meno di coloro che sono condannati all’inferno: è come cardare lana nel fuoco, portare acqua con un colabrodo e versarla in un recipiente forato, senza vedere un termine a tali fatiche.

Aver poi eccessiva cura dei propri capelli e dell’abbigliamento è, come diceva Diogene, o da infelici o da delinquenti. E dico che dei ragazzi come voi dovrebbero ritenere vergognoso essere ed avere la nomea di bellimbusti esattamente come prostituirsi o insidiare le nozze altrui. Che differenza infatti potrebbe mai esserci, almeno per chi ha buon senso, tra l’indossare un abito di lusso o portare un cappotto di scarsa qualità, purché non gli manchi qualcosa che lo protegga dal freddo e dal caldo? Così, anche per le altre cose, non bisogna procurarsi niente oltre il necessario né occuparsi del corpo più di quanto lo richieda il bene dell’anima. Infatti, per un uomo, che sia veramente degno di questo nome, essere un vanesio tutto dedito all’aspetto fisico non è meno vergognoso che abbandonarsi senza dignità a qualsiasi altra passione.

In effetti, far di tutto affinché il corpo goda del maggior benessere possibile è tipico di chi non conosce sé stesso e non comprende quella saggia massima, secondo cui l’uomo non è quel che appare, ma occorre una saggezza superiore, in virtù della quale ciascuno di noi possa conoscere chi mai sia. E a chi non ha reso sgombra la propria mente raggiungere questa autocoscienza è più difficile che fissare il sole a chi è malato agli occhi. La purificazione dell’anima, poi, per dirvela in poche parole ma in modo esauriente, consiste nel disprezzare i piaceri dei sensi: non soddisfare gli occhi con le vuote esibizioni degli illusionisti oppure con spettacoli di corpi traboccanti di sensualità e non riempirsi le orecchie di una musica che ti rovina l’anima. Da una musica del genere infatti sono solite derivare passioni meschine e degradanti.

Noi dobbiamo cercare invece quell’altro genere di musica, che è migliore e che porta ad una condizione migliore, quella cioè usata da David, il poeta dei canti sacri, per placare, a quel che dicono, la follia del re. Raccontano che anche Pitagora, imbattutosi in un’allegra comitiva di ubriachi, chiese al flautista che li guidava di cambiare musica e di intonare il modo dorico: a quella melodia tornarono in sé al punto che, buttate via le corone, se ne ritornarono a casa pieni di vergogna. Altri invece al suono del flauto vanno in delirio come dei coribanti o delle baccanti. Tanta è la differenza tra l’ascoltare una musica sana ed una cattiva! Perciò dovete evitare la musica che oggi è di moda proprio come quanto c’è di più vergognoso al mondo.

Quanto poi a spruzzare nell’aria profumi di ogni tipo che danno piacere all’odorato e a spalmarsi di creme, mi vergogno anche solo di proibirvelo. Che cosa poi si potrebbe dire sul fatto che non bisogna cercare i piaceri del tatto e del gusto, se non che questi costringono chi li ricerca a vivere come animali, dediti come sono al ventre e a quel che c’è più giù?

In una parola, chi non vuole sprofondare nei piaceri sensuali come nel fango, non deve preoccuparsi del corpo o averne cura solo in quanto, come dice Platone, ci dà una mano per acquistare la sapienza. Analogo è il pensiero di Paolo, il quale ci ammonisce che non bisogna avere alcuna cura del corpo per non alimentare le passioni. Che differenza c’è tra chi si preoccupa del benessere del corpo senza avere alcuna stima dell’anima che pure ne è padrona, e chi si cura degli strumenti senza occuparsi per niente dell’arte che si esprime con essi? Occorre al contrario frenare il corpo, tenerne a bada gli assalti come quelli di una belva e usare la ragione come una frusta per placare i tumulti che da esso arrivano all’anima; e non, allentando ogni freno del piacere, lasciare che la ragione ne sia travolta, come un auriga trascinato dalla furia di cavalli sbrigliati.

Anche di Pitagora dovete ricordarvi, il quale, notando che uno dei suoi discepoli con la ginnastica e con la buona tavola ingrassava troppo, gli disse: «Allora, quando la smetterai di renderti il carcere più duro?». Proprio per questo dicono che anche Platone, prevedendo il danno che poteva derivare dal corpo, scelse a bella posta l’Accademia, luogo insalubre dell’Attica, per inibire la troppa floridezza del fisico come si fa con l’eccessivo rigoglio delle viti. Ed io stesso ho sentito dei medici dire che il troppo benessere è pericoloso. Poiché dunque la cura eccessiva del corpo è dannosa al corpo stesso e per di più è d’impaccio all’anima, è chiaramente una follia assoggettarsi ad esso e rendersene schiavi. Se invece ci abituassimo a ridimensionarlo, nessuna altra cosa al mondo sarebbe in grado di attrarci. A che potranno ancora servire infatti le ricchezze, una volta disprezzati i piaceri del corpo? Francamente non saprei, a meno che non procuri un qualche piacere far la guardia a tesori nascosti, come fanno i draghi nelle fiabe.

Chi è stato educato a rapportarsi a queste cose con lo spirito di una persona libera, sarà ben lontano dallo scegliere di fare, nelle parole e nei fatti, qualche cosa di basso e vergognoso. Poiché tutto ciò che va oltre la necessità –fossero anche le pepite della Lidia o il frutto delle formiche aurifere –, tanto più costui lo disprezzerà, quanto meno ne avrà bisogno. E determinerà lo stesso bisogno in base alle esigenze della natura, e non secondo i piaceri. Quelli che invece eccedono i limiti del necessario, analogamente a quanti scivolano lungo un pendio non avendo alcun punto d’appoggio, non smettono mai di correre a precipizio, ma quanto più accumulano, di altrettanto hanno bisogno o anche di più per il soddisfacimento dei loro piaceri, secondo quanto dice Solone, figlio di Esecestide: «Non esiste per gli uomini un termine stabilito alla ricchezza».

Su questo punto ci fa da maestro anche Teognide, quando dice: «Non amo arricchirmi né me lo auguro, ma mi sia concesso di vivere di poche cose e senza malanni».

Io ammiro anche in Diogene il disprezzo totale delle cose umane: egli si dimostrò più ricco perfino del Gran Re, perché gli occorreva molto meno di lui per vivere. E noi, se anche non abbiamo le ricchezze di un Pizio di Misia e tanti e tanti ettari di terreno e un numero infinito di capi di bestiame tanto da non potersi contare, non saremo comunque soddisfatti? In realtà io credo che non bisogna desiderare la ricchezza che non si ha; e quando la si possiede, non bisogna vantarsi tanto di possederla, quanto di saperla bene usare. A questo proposito calza bene l’aneddoto di Socrate, il quale ad un uomo ricco che si vantava dei propri beni disse che non lo avrebbe ammirato prima di aver dimostrato di saperne usare. E se Fidia e Policleto si fossero vantati dell’oro e dell’avorio, con cui fecero l’uno la statua di Zeus agli Elei e l’altro quella di Era agli Argivi, si sarebbero resi ridicoli nell’andar fieri di una ricchezza altrui anziché dell’arte che aveva reso quell’oro più bello e più prezioso. E noi, pensando che la virtù umana non basti da sola come ornamento, crediamo di agire con minor ridicolo?

Oppure disprezzeremo le ricchezze e disdegneremo i piaceri dei sensi per poi cercare le adulazioni e le lusinghe, imitando così l’ipocrisia e la scaltrezza della volpe di Archiloco? Ma non c’è nulla che un uomo saggio debba evitare di più che vivere secondo l’opinione altrui e guardare a ciò che pensa la gente anziché farsi guidare nella vita dalla retta ragione. Cosicché, anche se dovesse contraddire il mondo intero, essere disprezzato e correre dei rischi per amore dell’onestà, niente lo distoglierebbe dallo scegliere ciò che ha riconosciuto come giusto.

Chi non fosse così, in che cosa potrebbe essere diverso da quel famoso mago egizio, il quale, tutte le volte che lo voleva, diventava pianta, animale, fuoco, acqua o qualsiasi altra cosa? Infatti, un individuo del genere ora loderà la giustizia davanti a quanti la onorano, ora invece sosterrà il contrario non appena s’accorge che è l’ingiustizia ad essere tenuta in onore, proprio come fanno gli adulatori. E come il polpo, a quel che si dice, cambia colore a seconda del fondale su cui si trova, così anche lui cambierà parere a seconda delle opinioni delle persone con cui si trova.

X

Ma queste cose noi le impareremo in maniera più completa nella nostra bibbia; per ora accontentiamoci di tracciare un abbozzo della virtù ricavandola dagli insegnamenti profani. Infatti, chi sa accuratamente raccogliere l’utile da ogni cosa fa come i grandi fiumi che arricchiscono la loro portata ricevendo l’acqua dai vari affluenti. Anche il detto di «aggiungere il poco al poco», conviene intenderlo in riferimento non tanto all’aumento delle ricchezze quanto a qualsiasi conoscenza. Così Biante al figlio, che salpava per l’Egitto e gli domandava che cosa dovesse fare per renderlo quanto mai felice, rispose: Procurati provviste per la vecchiaia», intendendo per provviste la virtù, pur limitandola entro piccoli confini, in quanto ne riduceva l’utilità ai ristretti termini della vita umana.

Per conto mio, se anche mi si parlasse della vecchiaia di Titono o di Argantonio o anche di quella del più longevo al mondo, cioè Matusalemme, il quale si dice che sia vissuto 970 anni, e se anche si calcolasse tutto il tempo dal momento in cui l’uomo cominciò ad esistere, ne riderei come di un pensiero puerile, considerando quella lunga età senza tramonto, di cui non è possibile col pensiero concepire un termine più di quanto non si possa supporre una fine per l’anima immortale. Per tale vita io vorrei esortarvi a procurarvi delle provviste, smuovendo ogni pietra, come dice il proverbio, da cui possa venirvi un qualche aiuto in tal senso.

E se ciò è difficile e richiede fatica, non per questo dobbiamo perderci d’animo; ma, ricordandoci del consiglio di chi disse che ciascuno deve scegliersi il tipo di vita più alto e aspettare che diventi piacevole con l’abitudine, dobbiamo puntare al meglio. Sarebbe infatti vergognoso trascurare l’occasione presente e rimpiangere poi il passato, quando lamentarsi non servirà più a nulla.

Ebbene, delle cose che considero più importanti alcune ve le ho dette, ma altre ve ne indicherò nel corso di tutta la vita. E voi, fra le tre tipologie di malati, cercate di non somigliare a quelli che sono incurabili e non fate che la malattia dell’animo sia analoga a quella di chi è malato nel corpo. Infatti, quelli che soffrono di lievi malattie, vanno da soli dai medici; quelli che sono affetti da malattie più gravi, li chiamano a casa loro; quelli infine che sono presi da una forma di delirio assolutamente incurabile non li fanno nemmeno entrare quando vanno a visitarli. Guardatevi che questo non succeda ora a voi, respingendo chi viene a darvi i consigli più saggi.

Link alla fonte »