L'origine del peccato e lo Spirito salvifico
Tratto da "Dominum et Vivificantem" - Parte seconda - sezione 3 - 4
Autore: San Giovanni Paolo II
Carissimi Fratelli e Sorelle ,
33. È la dimensione del peccato che troviamo nella testimonianza dell’inizio, annotata nel Libro della Genesi. È il peccato che, secondo la Parola di Dio rivelata, costituisce il principio e la radice di tutti gli altri Ci troviamo di fronte alla realtà originaria del peccato nella storia dell’uomo e, al tempo stesso, nell’insieme dell’economia della salvezza.
Si può dire che in questo peccato ha inizio il «mistero dell’iniquità», ma anche che è questo il peccato, in ordine al quale la potenza redentrice del «mistero della pietà» diventa particolarmente trasparente ed efficace. Ciò esprime san Paolo, quando alla «disobbedienza» del primo Adamo contrappone l’«obbedienza» di Cristo, il secondo Adamo: «L’obbedienza fino alla morte». Stando alla testimonianza dell’inizio, il peccato nella sua realtà originaria avviene nella volontà – e nella coscienza – dell’uomo, prima di tutto, come «disobbedienza», cioè come opposizione della volontà dell’uomo alla volontà di Dio.
Questa disobbedienza originaria presuppone il rifiuto o, almeno, l’allontanamento dalla verità contenuta nella Parola di Dio, che crea il mondo. Questa Parola è lo stesso Verbo, che era «in principio presso Dio», che «era Dio» e senza il quale «niente è stato fatto di tutto ciò che esiste», poiché «il mondo fu fatto per mezzo di lui». È il Verbo che è anche eterna legge, fonte di ogni legge, che regola il mondo e specialmente gli atti umani. Quando dunque, alla vigilia della sua passione, Gesù Cristo parla del peccato di coloro che «non credono in lui», in queste sue parole, piene di dolore, vi è quasi un’eco lontana di quel peccato, che nella sua forma originaria si inscrive oscuramente nel mistero stesso della creazione.
Colui che parla, infatti, è non solo il Figlio dell’uomo, ma anche colui che è «il primogenito di fronte ad ogni creatura», «poiché per mezzo di lui sono state create tutte le cose:…. per mezzo di lui e in vista di lui». Alla luce di questa verità si capisce che la «disobbedienza», nel mistero dell’inizio, presuppone in certo senso la stessa «non-fede», quel medesimo «non hanno creduto», che si ripeterà nei riguardi del mistero pasquale. Come abbiamo detto, si tratta del rifiuto o, almeno, dell’allontanamento dalla verità contenuta nella Parola del Padre. Il rifiuto si esprime in pratica come «disobbedienza», in un atto compiuto come effetto della tentazione, che proviene dal «padre della menzogna». Dunque, alla radice del peccato umano sta la menzogna come radicale rifiuto della verità contenuta nel Verbo del Padre, mediante il quale si esprime l’amorevole onnipotenza del Creatore: l’onnipotenza ed insieme l’amore «di Dio Padre, creatore del cielo e della terra».
34. «Lo Spirito di Dio», che secondo la descrizione biblica della creazione «aleggiava sulle acque», indica lo stesso «Spirito, che scruta le profondità di Dio»; scruta le profondità del Padre e del Verbo-Figlio nel mistero della creazione. Non solo è il testimone diretto del loro reciproco amore, dal quale deriva la creazione, ma è egli stesso questo amore. Egli stesso, come amore, è l’eterno dono increato. In lui è la fonte e l’inizio di ogni elargizione alle creature. La testimonianza dell’inizio, che troviamo in tutta la Rivelazione, a cominciare dal Libro della Genesi, su questo punto è univoca. Creare vuol dire chiamare all’esistenza dal nulla; dunque, creare vuol dire donare l’esistenza. E se il mondo visibile viene creato per l’uomo, dunque all’uomo viene donato il mondo. E contemporaneamente lo stesso uomo nella propria umanità riceve in dono una speciale «immagine e somiglianza» di Dio. Ciò significa non solo razionalità e libertà come proprietà costitutiva della natura umana, ma anche, sin dall’inizio, capacità di un rapporto personale con Dio, come «io» e «tu» e, dunque, capacità di alleanza che avrà luogo con la comunicazione salvifica di Dio all’uomo. Sullo sfondo dell’«immagine e somiglianza» di Dio, «il dono dello Spirito» significa, infine, chiamata all’amicizia, nella quale le trascendenti «profondità di Dio» vengono, in qualche modo, aperte alla partecipazione da parte dell’uomo. Il Concilio Vaticano II insegna: «Dio invisibile (Col 1,15); (1 Tm 1,17) nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici (Es 33,11); (Gv 15,14) e si intrattiene con loro (Bar 3,38), per invitarli e ammetterli alla comunione con sé».
35. Pertanto, lo Spirito, che «scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio», conosce sin dall’inizio «i segreti dell’uomo». Proprio per questo egli solo può pienamente «convincere del peccato» che ci fu all’inizio, di quel peccato che è la radice di tutti gli altri e il focolaio della peccaminosità dell’uomo sulla terra, che non si spegne mai. Lo Spirito di verità conosce la realtà originaria del peccato, causato nella volontà dell’uomo ad opera del «padre della menzogna» – di colui che già «è stato giudicato». Lo Spirito Santo convince, dunque, il mondo del peccato in rapporto a questo «giudizio», ma costantemente guidando verso la «giustizia», che è stata rivelata all’uomo insieme con la Croce di Cristo: mediante l’«obbedienza fino alla morte». Solo lo Spirito Santo può convincere del peccato dell’inizio umano, proprio egli che è l’amore del Padre e del Figlio, egli che è dono, mentre il peccato dell’inizio umano consiste nella menzogna e nel rifiuto del dono e dell’amore, i quali decidono dell’inizio del mondo e dell’uomo.
36. Secondo la testimonianza dell’inizio, che troviamo nella Scrittura e nella Tradizione, dopo la prima (ed anche più completa) descrizione nel Libro della Genesi il peccato nella sua forma originaria è inteso come «disobbedienza», il che significa semplicemente e direttamente trasgressione di un divieto posto da Dio. Ma alla luce di tutto il contesto è pure palese che le radici di questa disobbedienza vanno ricercate in profondità nell’intera situazione reale dell’uomo. Chiamato all’esistenza, l’essere umano – uomo e donna – è una creatura. L’«immagine di Dio», consistente nella razionalità e nella libertà, dice la grandezza e la dignità del soggetto umano, che è persona. Ma questo soggetto personale è pur sempre una creatura: nella sua esistenza ed essenza dipende dal Creatore.
Secondo la Genesi, «l’albero della conoscenza del bene e del male» doveva esprimere e costantemente ricordare all’uomo il «limite» invalicabile per un essere creato. In questo senso va inteso il divieto da parte di Dio: il Creatore proibisce all’uomo e alla donna di mangiare i frutti dell’albero della conoscenza del bene e del male. Le parole dell’istigazione, cioè della tentazione, come è formulata nel testo sacro, inducono a trasgredire questo divieto – cioè a superare quel «limite»: «Quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio («come dèi») conoscendo il bene e il male». La «disobbedienza» significa appunto il superamento di quel limite, che rimane invalicabile alla volontà e libertà dell’uomo, come essere creato. Dio creatore è, infatti, l’unica e definitiva fonte dell’ordine morale nel mondo, da lui creato. L’uomo non può da se stesso decidere ciò che è buono e ciò che è cattivo – non può «conoscere il bene e il male, come Dio».
Sì, Dio nel mondo creato rimane la prima e suprema fonte per decidere del bene e del male, mediante l’intima verità dell’essere, la quale è il riflesso del Verbo, l’eterno Figlio, consostanziale al Padre. All’uomo creato ad immagine di Dio lo Spirito Santo dà in dono la coscienza, affinché in essa l’immagine possa rispecchiare fedelmente il suo modello, che è insieme la sapienza e la legge eterna, fonte dell’ordine morale nell’uomo e nel mondo. La «disobbedienza», come dimensione originaria del peccato, significa rifiuto di questa fonte, per la pretesa dell’uomo di diventare fonte autonoma ed esclusiva nel decidere del bene e del male. Lo Spirito, che «scruta le profondità di Dio» e che, al tempo stesso, è per l’uomo la luce della coscienza e la fonte dell’ordine morale, conosce in tutta la sua pienezza questa dimensione del peccato, che si inscrive nel mistero dell’inizio umano. E non cessa di «convincerne il mondo» in rapporto alla Croce di Cristo sul Golgota.
37. Secondo la testimonianza dell’inizio, Dio nella creazione ha rivelato se stesso come onnipotenza, che è amore. Nello stesso tempo ha rivelato all’uomo che, come «immagine e somiglianza» del suo Creatore, egli è chiamato a partecipare alla verità e all’amore. Questa partecipazione significa una vita di unione con Dio, che è la «vita eterna». Ma l’uomo, sotto l’influenza del «padre della menzogna», si è distaccato da questa partecipazione. In quale misura? Certamente non nella misura del peccato di un puro spirito, nella misura del peccato di Satana. Lo spirito umano è incapace di raggiungere una tale misura. Nella stessa descrizione della Genesi è facile notare la differenza di grado tra «il soffio del male» da parte di colui che «è peccatore (ossia permane nel peccato) fin dal principio» e che già «è stato giudicato», ed il male della disobbedienza da parte dell’uomo. Questa disobbedienza, tuttavia, significa pur sempre il voltare le spalle a Dio e, in un certo senso, il chiudersi della libertà umana nei suoi riguardi. Significa anche una certa apertura di questa libertà – della conoscenza e della volontà umana – verso colui che è il «padre della menzogna».
Questo atto di scelta consapevole non è solo «disobbedienza», ma porta con sé anche una certa adesione alla motivazione contenuta nella prima istigazione al peccato e incessantemente rinnovata durante tutta la storia dell’uomo sulla terra: «Dio sa che, quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male». Ci troviamo qui al centro stesso di ciò che si potrebbe chiamare l’«anti-Verbo», cioè l’«anti-verità». Viene, infatti, falsata la verità dell’uomo: chi è l’uomo e quali sono i limiti invalicabili del suo essere e della sua libertà. Questa «anti-verità» è possibile, perché nello stesso tempo viene falsata completamente la verità su chi è Dio. Il Dio creatore viene posto in stato di sospetto, anzi addirittura in stato di accusa, nella coscienza della creatura. Per la prima volta nella storia dell’uomo appare il perverso «genio del sospetto». Esso cerca di «falsare» il Bene stesso, il Bene assoluto, che proprio nell’opera della creazione si è manifestato come il bene che dona in modo ineffabile: come bonum diffusivum sui, come amore creativo. Chi può pienamente «convincere del peccato», ossia di questa motivazione della disobbedienza originaria dell’uomo, se non colui che solo è il dono e la fonte di ogni elargizione, se non lo Spirito, che «scruta le profondità di Dio» ed è l’amore del Padre e del Figlio?
38. Infatti, malgrado tutta la testimonianza della creazione e dell’economia salvifica ad essa inerente, lo spirito delle tenebre è capace di mostrare Dio come nemico della propria creatura e, prima di tutto, come nemico dell’uomo, come fonte di pericolo e di minaccia per l’uomo. In questo modo viene innestato da Satana nella psicologia dell’uomo il germe dell’opposizione nei riguardi di colui che «sin dall’inizio» deve essere considerato come nemico dell’uomo – e non come Padre. L’uomo viene sfidato a diventare l’avversario di Dio! L’analisi del peccato nella sua originaria dimensione indica che, ad opera del «padre della menzogna», vi sarà lungo la storia dell’umanità una costante pressione al rifiuto di Dio da parte dell’uomo, fino all’odio: «Amore di sé fino al disprezzo di Dio», come si esprime sant’Agostino.
L’uomo sarà incline a vedere in Dio prima di tutto una propria limitazione, e non la fonte della propria liberazione e la pienezza del bene. Ciò vediamo confermato nell’epoca moderna, nella quale le ideologie atee tendono a sradicare la religione in base al presupposto che essa determini una radicale «alienazione» dell’uomo come se l’uomo venisse espropriato della propria umanità, quando, accettando l’idea di Dio, attribuisce a lui ciò che appartiene all’uomo, ed esclusivamente all’uomo! Di qui un processo di pensiero e di prassi storico-sociologica, in cui il rifiuto di Dio è pervenuto fino alla dichiarazione della sua «morte». Un’assurdità, questa, concettuale e verbale! Ma l’ideologia della «morte di Dio» minaccia piuttosto l’uomo, come indica il Vaticano II, quando, sottoponendo ad analisi la questione dell’«autonomia delle cose temporali», scrive: «La creatura… senza il Creatore svanisce… Anzi, l’oblio di Dio priva di luce la creatura stessa». L’ideologia della «morte di Dio» nei suoi effetti dimostra facilmente di essere, sul piano teoretico e pratico, l’ideologia della «morte dell’uomo».
39. Lo Spirito, che scruta le profondità di Dio, è stato chiamato da Gesù nel discorso del Cenacolo il Paraclito. Infatti, sin dall’inizio «viene invocato» per «convincere il mondo quanto al peccato». Egli viene invocato in modo definitivo per mezzo della Croce di Cristo. Convincere del peccato vuol dire dimostrare il male in esso contenuto. Il che equivale a rivelare il mistero dell’iniquità. Non è possibile raggiungere il male del peccato in tutta la sua dolorosa realtà senza «scrutare le profondità di Dio». Sin dall’inizio l’oscuro mistero del peccato è apparso nel mondo sullo sfondo del riferimento al Creatore della libertà umana. Esso è apparso come un atto di volontà della creatura-uomo contrario alla volontà di Dio: alla volontà salvifica di Dio; anzi, è apparso in opposizione alla verità, sulla base della menzogna ormai definitivamente «giudicata»: menzogna che ha posto in stato di accusa, in stato di permanente sospetto, lo stesso amore creativo e salvifico.
L’uomo ha seguito il «padre della menzogna», ponendosi contro il Padre della vita e lo Spirito di verità. Il «convincere del peccato» non dovrà, dunque, significare anche il rivelare la sofferenza? Rivelare il dolore inconcepibile ed inesprimibile, che, a causa del peccato, il Libro sacro nella sua visione antropomorfica sembra intravvedere nelle «profondità di Dio» e, in un certo senso, nel cuore stesso dell’ineffabile Trinità? La Chiesa ispirandosi alla Rivelazione, crede e professa che il peccato è offesa di Dio. Che cosa nell’imperscrutabile intimità del Padre, del Verbo e dello Spirito Santo corrisponde a questa «offesa», a questo rifiuto dello Spirito che è amore e dono? La concezione di Dio, come essere necessariamente perfettissimo, esclude certamente da Dio ogni dolore, derivante da carenze o ferite; ma nelle «profondità di Dio» c’è un amore di Padre che dinanzi al peccato dell’uomo, secondo il linguaggio biblico, reagisce fino al punto di dire: «Sono pentito di aver fatto l’uomo».
«Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra… E il Signore si pentì di aver fatto l’uomo sulla terra e se ne addolorò in cuor suo… Il Signore disse: “Sono pentito di averli fatti”». Ma più spesso il Libro sacro ci parla di un Padre, che prova compassione per l’uomo, quasi condividendo il suo dolore. In definitiva, questo imperscrutabile e indicibile «dolore» di padre genererà soprattutto la mirabile economia dell’amore redentivo in Gesù Cristo, affinché, per mezzo del mistero della pietà, nella storia dell’uomo l’amore possa rivelarsi più forte del peccato. Perché prevalga il «dono»! Lo Spirito Santo, che secondo le parole di Gesù «convince del peccato», è l’amore del Padre e del Figlio e, come tale, è il dono trinitario e, al tempo stesso, l’eterna fonte di ogni elargizione divina al creato. Proprio in lui possiamo concepire come personificata e attuata in modo trascendente quella misericordia, che la tradizione patristica e teologica, sulla linea dell’Antico e del Nuovo Testamento, attribuisce a Dio.
Nell’uomo la misericordia include dolore e compassione per le miserie del prossimo. In Dio lo Spirito-amore traduce la considerazione del peccato umano in una nuova elargizione di amore salvifico. Da lui, nell’unità col Padre e col Figlio nasce l’economia della salvezza, che riempie la storia dell’uomo con i doni della redenzione. Se il peccato, rifiutando l’amore, ha generato la «sofferenza» dell’uomo che in qualche modo si è riversata su tutta la creazione, lo Spirito Santo entrerà nella sofferenza umana e cosmica con una nuova elargizione di amore, che redimerà il mondo. E sulla bocca di Gesù Redentore, nella cui umanità si invera la «sofferenza» di Dio, risuonerà una parola in cui si manifesta l’eterno amore, pieno di misericordia: «Misereor». Così da parte dello Spirito Santo il «convincere del peccato» diventa un manifestare davanti alla creazione «sottomessa alla caducità» e, soprattutto, nel profondo delle coscienze umane, come il peccato viene vinto mediante il sacrificio dell’Agnello di Dio, il quale è divenuto «fino alla morte» il servo obbediente che, riparando alla disobbedienza dell’uomo, opera la redenzione del mondo. In questo modo lo Spirito di verità, il Paraclito, «convince del peccato».
40. Il valore redentivo del sacrificio di Cristo è espresso con parole molto significative dall’autore della Lettera agli Ebrei, il quale, dopo aver ricordato i sacrifici dell’Antica Alleanza, in cui «il sangue dei capri e dei vitelli… purifica nella carne», soggiunge: «Quanto più il sangue di Cristo, il quale con uno Spirito eterno offrì se stesso senza macchia a Dio, purificherà la nostra coscienza dalle opere morte, per servire il Dio vivente»? Pur consapevoli di altre possibili interpretazioni, le nostre considerazioni sulla presenza dello Spirito Santo in tutta la vita di Cristo ci portano a ravvisare in questo testo come un invito a riflettere sulla presenza del medesimo Spirito anche nel sacrificio redentore del Verbo Incarnato. Riflettiamo prima sulle parole iniziali che trattano di questo sacrificio e, in seguito, separatamente, sulla «purificazione della coscienza», da esso operata. È, infatti, un sacrificio offerto «con (= per opera di) uno Spirito eterno», il quale da esso «attinge» la forza di «convincere del peccato» in ordine alla salvezza.
È lo stesso Spirito Santo che, secondo la promessa del Cenacolo, Gesù Cristo «porterà» agli apostoli il giorno della sua risurrezione, presentandosi loro con le ferite della crocifissione, e che «darà» loro «per la remissione dei peccati»: «Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi». Sappiamo che «Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nazareth», come diceva Simon Pietro nella casa del centurione Cornelio. Conosciamo il mistero pasquale della sua «dipartita», secondo il Vangelo di Giovanni Le parole della lettera agli Ebrei ora ci spiegano in quale modo Cristo «offrì se stesso senza macchia a Dio» e come ciò fece «con uno Spirito eterno». Nel sacrificio del Figlio dell’uomo lo Spirito Santo è presente ed agisce così come agiva nel suo concepimento, nella sua venuta al mondo, nella sua vita nascosta e nel suo ministero pubblico.
Secondo la Lettera agli Ebrei, sulla via della sua «dipartita» attraverso il Getsemani e il Golgota, lo stesso Cristo Gesù nella propria umanità si è aperto totalmente a questa azione dello Spirito-Paraclito, che dalla sofferenza fa emergere l’eterno amore salvifico. Egli è stato, dunque, «esaudito per la sua pietà. Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza dalle cose che patì». In questo modo tale Lettera dimostra come l’umanità, sottomessa al peccato nei discendenti del primo Adamo, in Gesù Cristo è diventata perfettamente sottomessa a Dio ed a lui unita e, nello stesso tempo, piena di misericordia verso gli uomini. Si ha così una nuova umanità, che in Gesù Cristo mediante la sofferenza della Croce è ritornata all’amore, tradito da Adamo col peccato. Essa si è ritrovata nella stessa fonte divina dell’elargizione originaria: nello Spirito, che «scruta le profondità di Dio» ed è amore e dono egli stesso. Il Figlio di Dio Gesù Cristo, come uomo, nell’ardente preghiera della sua passione, permise allo Spirito Santo, che già aveva penetrato fino in fondo la sua umanità, di trasformarla in un sacrifcio perfetto mediante l’atto della sua morte, come vittima di amore sulla Croce. Da solo egli fece questa oblazione. Come unico sacerdote, «offrì se stesso senza macchia a Dio».
Nella sua umanità era degno di divenire un tale sacrificio, poiché egli solo era «senza macchia». Ma l’offrì «con uno Spirito eterno»: il che vuol dire che lo Spirito Santo agì in modo speciale in questa assoluta autodonazione del Figlio dell’uomo, per trasformare la sofferenza in amore redentivo.
41. Nell’Antico Testamento più volte si parla del «fuoco dal cielo», che bruciava le oblazioni presentate dagli uomini. Per analogia si può dire che lo Spirito Santo è il «fuoco dal cielo», che opera nel profondo del mistero della Croce. Provenendo dal Padre, egli indirizza verso il Padre il sacrificio del Figlio, introducendolo nella divina realtà della comunione trinitaria. Se il peccato ha generato la sofferenza, ora il dolore di Dio in Cristo crocifisso acquista per mezzo dello Spirito Santo la sua piena espressione umana. Si ha così un paradossale mistero d’amore: in Cristo soffre un Dio rifiutato dalla propria creatura: «Non credono in me!». ma, nello stesso tempo dal profondo di questa sofferenza – e, indirettamente, dal profondo dello stesso peccato «di non aver creduto» – lo Spirito trae una nuova misura del dono fatto all’uomo e alla creazione fin dall’inizio.
Nel profondo del mistero della Croce agisce l’amore, che riporta nuovamente l’uomo a partecipare alla vita, che è in Dio stesso. Lo Spirito Santo come amore e dono discende, in un certo senso, nel cuore stesso del sacrificio che viene offerto sulla Croce. Riferendoci alla tradizione biblica, possiamo dire: egli consuma questo sacrificio col fuoco dell’amore, che unisce il Figlio col Padre nella comunione trinitaria. E poiché il sacrificio della Croce è un atto proprio di Cristo, anche in questo sacrificio «egli riceve lo Spirito Santo». Lo riceve in modo tale, che poi egli – ed egli solo con Dio Padre – può «darlo» agli apostoli, alla Chiesa, all’umanità. Egli solo lo «manda» dal Padre. Egli solo si presenta davanti agli apostoli riuniti nel Cenacolo, «alita su di loro» e dice: «Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi», come aveva preannunciato Giovanni Battista: «Egli vi battezzerà nello Spirito Santo e nel fuoco».
Con quelle parole di Gesù lo Spirito Santo è rivelato ed insieme è reso presente come amore che opera nel profondo del mistero pasquale, come fonte della potenza salvifica della Croce di Cristo, come dono della vita nuova ed eterna. Questa verità sullo Spirito Santo trova quotidiana espressione nella liturgia romana, quando il sacerdote, prima della comunione, pronuncia quelle significative parole: «Signore Gesù Cristo, Figlio del Dio vivo, che per volontà del Padre e con l’opera dello Spirito Santo morendo hai dato la vita al mondo…».
E nella III Preghiera Eucaristica, riferendosi alla stessa economia salvifica, il sacerdote chiede a Dio che lo Spirito Santo «faccia di noi un sacrificio perenne a te gradito».
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